Guardando la mappa del consenso online verso l’Isis, i paesi cui prestare maggiore attenzione sono Gran Bretagna, Spagna e penisola balcanica. È lì, secondo Voices from the Blogs, che dovrebbero concentrasi gli sforzi di intelligence e le battaglie culturali
Alla luce dei recenti episodi di violenza legati al terrorismo jihadista, in Belgio come in Pakistan, la prima tentazione è quella di chiedersi se ci sia modo di sapere quale paese sarà (o non sarà) il prossimo. Fare previsioni non è mai semplice e quando si tratta di terrorismo tutto diventa ancor piùdelicato. Anche e soprattutto perché, in fatto di attentati, spesso si finisce per non formulare giudizi esatti nemmeno ex-post. Nel corso della storia non mancano infatti gli esempi di episodi frettolosamente etichettati come atti di terrorismo, né le vicende dai contorni troppo poco chiari, e ildirottamento di un aereo egiziano è solo l’ultimo di una lunga lista. Quello che i big data e la rete ci permettono di fare è di arricchire le informazioni che abbiamo a disposizione utilizzando nuove fonti di dati, sia per smontare alcune false credenze che troppo spesso circolano, sia per sviluppare unquadro sul futuro che forse ci aspetta.
Se avessimo dato ascolto alle discussioni in rete avremmo per esempio saputo, già in tempi non sospetti, che il Belgio era una zona calda per quanto riguarda il livello di sostegno all’Isis. Da una analisi relativa a oltre due milioni di post effettuata da Voices from the Blogs per il Guardian nella seconda metà del 2014, quando ancora c’erano solo contenuti segnali di aggressività dell’Isis nei confronti dell’Occidente (almeno sul territorio europeo), emergeva che la percentuale di commenti simpatetici nei confronti dello Stato islamico e delle sue attività scritti in arabo su Twitter e provenienti dal Belgio era decisamente superiore al resto dell’Europa. Con un sentiment positivo pari al 31%, la comunità araba online in Belgio appariva infatti al terzo posto a livello mondiale, subito dopo il Qatar e il Pakistan.
Heat map del sostegno all’Isis online in Europa
(Sentiment a fine 2014; dati Le Monde a ottobre 2015)
In questo senso la Rete, mostrandoci quali comunità arabe (in Occidente) esprimono maggior sostegno ai terroristi, può anche aiutarci a capire dove la soglia di attenzione andrebbe tenuta più alta. Guardando per esempio la heat map del sostegno online verso l’Isis e correlando tale sentiment, nei paesi del mondo occidentale (Europa, Nordamerica, ma anche Oceania e Giappone), con il dato sulleviolenze terroristiche effettuate dall’Isis (che trovate più in basso), possiamo osservare che, tra i paesi principali, Gran Bretagna e Spagna sono gli unici in cui l’Isis non abbia finora effettuato attacchi, nonostante in quelle zone il sentiment positivo sia superiore alla soglia di guardia (20%) e nonostante il fatto che entrambi i paesi erano già stati in passato vittime del terrorismo jihadista, seppur di diversa matrice da quello dell’Isis. Ma anche nell’area dei Balcani, dove il sentiment pro-Isis raggiunge livelli ancora più elevati, la situazione andrebbe forse ulteriormente monitorata. Insomma, dall’analisi dei big data il messaggio è chiaro: più alto il sentiment positivo, maggiori dovrebbero probabilmente essere gli sforzi dell’intelligence e le battaglie culturali (online e offline) per soffocare le risorse e togliere argomentazioni ai fiancheggiatori dell’Isis.
D’altra parte, la Rete è ricca di informazioni che potrebbero aiutarci anche ad evitare di formularegiudizi troppo avventati. Nella stessa analisi discussa più sopra emergevano infatti altri spunti degni di nota. Prima di tutto, per quanto elevato il livello di consenso potesse essere (o sembrare), le comunità arabe online esprimevano, a netta maggioranza, opinioni nettamente contrarie all’Isis: i giudizi negativi in Rete sfioravano complessivamente l’80%. Il dato, che è in linea anche con alcunisondaggi effettuati nei mesi successivi, è netto e non lascia spazio a fraintendimenti. Chi accusa dunque il mondo arabo di aperto sostegno all’Isis, da questo punto di vista, commette un errore, perché la volontà di condannare il terrorismo è evidente. Rimane, è vero, una area grigia minoritaria di sostegno all’Isis che, aspetto interessante, rimane sostanzialmente stabile (pur con le ovvie oscillazioni del caso) a livello complessivo durante sia la prima che, parzialmente, anche la seconda parte del 2015, e questo nonostante la crescente attenzione rivolta da parte delle istituzioni (e non: si pensi all’attività del gruppo di Anonymous a riguardo) verso i commenti online a favore dell’Isis.
Heat map del sostegno all’Isis online nel mondo
(Sentiment a fine 2014; dati Le Monde a ottobre 2015)
Anche la relazione tra Islam e terrorismo è da considerare più complessa di quanto appaia a prima vista. Se è vero che chi esprime sentiment positivo in Rete cita la difesa dell’Islam come la principale ragione per sostenere l’Isis, è altrettanto vero che un terzo dei commenti negativi (la maggioranza relativa) accusa l’Isis di strumentalizzare la religione islamica per interessi di potere. E proprio il composito mondo islamico è, al momento, la prima vittima dell’Isis. Alcuni dati riportati da Le Mondesottolineano come la maggioranza delle vittime dell’Isis sia di fede islamica piuttosto che cristiana, e gli attentati compiuti dallo Stato Islamico abbiano colpito più le moschee, rispetto a chiese e sinagoghe. Islamici di fede sciita e Imam sunniti che si sono opposti ad al-Baghdadi figurano infatti tra i principali bersagli della violenza dell’Isis.
Il terzo mito da smontare (o, per lo meno, da ripensare), riguarda invece coloro che parlano di due pesi e due misure. Se analizziamo la serie temporale del sentiment pro-Isis notiamo infatti un netto aumento dei giudizi negativi ogni qualvolta vengano colpite moschee o vengano uccisi Imam dissidenti. Al contrario, le decapitazioni di giornalisti occidentali non hanno inciso in modo sistematico sul sentiment, e questo vale anche per gli attentati avvenuti in occidente. Dopo i tragici fatti di Charlie Hebdo a Parigi, per esempio, il sentiment negativo è cresciuto, ma si è trattato di una reazione tanto immediata quanto effimera, che è poi scemata col passare delle settimane quando il livello di sostegno all’Isis è tornato sui suoi valori medi. Chi, come l’Imam di Catania, accusa gli occidentali di non piangere per gli islamici vittime dei jihadisti dovrebbe forse interrogarsi su quanto generalizzata sia questa assenza di empatia.