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Problemi di comunicazione alla Casa Bianca

Karine Jean-Pierre, addetta stampa della Casa Bianca, interrogata sui documenti riservati trovati nella casa e nell’ex ufficio di Biden, ha un’unica risposta: “I would refer you to the White House Counsel’s Office”. Come riporta Paul Farhi del Washington Post, durante l’incontro con la stampa di venerdì 27 gennaio, Jean-Pierre è ricorsa a questa frase per ben otto volte. Si è mostrata diffidente verso i giornalisti anche quando le hanno chiesto se la Casa Bianca fosse stata “trasparente” sull’indagine. A peggiorare la situazione, i suoi tentativi di eludere anche elementi marginali della storia durante i suoi briefing televisivi quasi quotidiani, sollevando il sospetto di ostruzionismo per alcuni critici. È evidente che la strategia messa in atto si è rivelata assolutamente controproducente. La scorsa settimana l’ex consigliere della Casa Bianca di Obama, David Axelrod, ha scritto che sono state violate tutte le regole della comunicazione di crisi. La vicenda ha anche sollevato dubbi, almeno tra i giornalisti, su quanto sia preparata la Jean-Pierre. L’anno scorso ha preso il ruolo di addetto stampa sostituendo Jen Psaki, che era apprezzata dai giornalisti per la sua ampia conoscenza del pensiero di Biden. Ma anche prima che i documenti riservati diventassero una notizia, alcuni sostenevano che, a differenza di Psaki, Jean-Pierre non sempre sa cosa succede alla Casa Bianca: “She doesn’t appear to be in the room where it happens”, ha detto un corrispondente senior, parlando a condizione di anonimato. Come hanno notato i funzionari della Casa Bianca, ci sono valide ragioni per cui Jean-Pierre non può dire molto. La gestione dei documenti da parte di Biden, come quella di Trump, è oggetto di indagine speciale supervisionata dal Dipartimento di Giustizia, che potrebbe perseguire qualsiasi falsa dichiarazione come prova di manomissione. Altri professionisti della comunicazione ed ex addetti stampa dei precedenti presidenti difendono Jean-Pierre, sostenendo che le sue opzioni sono limitate. Secondo Lockhart, ex addetto stampa di Bill Clinton, bisogna attendere i risultati delle indagini, e non il flusso quotidiano di informazioni, per avere un quadro completo della situazione.

Il burattinaio di Washington

La campagna di McCarthy, attuale speaker della Camera dei Rappresentanti, è stata manovrata e gestita da Jeff Miller, uno dei più importanti lobbisti repubblicani di Washington che rappresenta anche una serie di aziende di prim’ordine, come Apple, Blackstone e Space X. Come raccontato dal New York Times, il suo ruolo è profondamente intricato ed enigmatico: negli anni si è mosso a sostegno di Trump e di una parte del partito repubblicano che però adesso, con l’elezione di McCarthy, è ancora più spaccato internamente. Nelle sue attività Miller cerca di creare accordi, legami e guadagni a partire dalle sue relazioni che, tra politica, denaro e mondo delle imprese, giocano un ruolo fondamentale nelle dinamiche sociali e nazionali. Il posto di rilievo assunto in questo ultimo periodo da Miller ha attirato però un maggiore controllo da parte dei gruppi di vigilanza che monitorano l’influenza politica dei gruppi di pressione e da parte dei conservatori stessi che lo vedono come una persona con un grande potere dietro il trono. Tra comunicazione, persuasione e influenza, Miller ha la possibilità di decidere attraverso il suo lavoro il destino di persone e imprese.

Il dilemma del giornalismo in Ucraina

Come racconta un articolo di Politicoil giornalismo ucraino non si è mai trovato in un contesto così complesso: da un lato,  c’è il racconto della pura guerra, degli attimi di terrore che da tempo attanagliano l’Ucraina; dall’altro, i recenti scandali di corruzione. Tra i giornalisti sorgono spontanee certe domande: “Come devo comportarmi rispetto a questi casi? Come potrebbero essere percepiti dagli alleati? Come evitare che il nemico ci indebolisca sfruttando queste notizie?”. Una guerra nella guerra, quella alla corruzione, che provoca disagio e timore ma che è essenziale combattere e vincere e dai cui dipende l’esito del conflitto contro la Russia, spiega Mykhailo Tkach, uno dei più importanti giornalisti investigativi ucraini. Come la Russia anche l’Ucraina si trova a sfidare i propri demoni interni. La pronta risposta del Paese guidato da Volodymyr Zelensky nei confronti di questi scandali ha dimostrato quanto l’Ucraina sia diversa dalla Russia, dove lo Stato non dà la caccia ai funzionari corrotti ma ai giornalisti che riportano i casi di corruzione.

Perché Zelensky non canta a Sanremo

Non si sono fatte attendere le polemiche sulla partecipazione del presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Sanremo 2023. Le voci contrarie sarebbero sintomo, secondo Vice, di una crescente insofferenza degli italiani verso il leader ucraino: stando ai sondaggi, almeno la metà di loro non sopporterebbe Zelensky e gli imputerebbe alcune colpe circa l’origine della guerra, giudizi che si baserebbero sull’immagine distorta data da alcuni media italiani. Alla base di tali giudizi negativi ci sarebbero principalmente tre motivi. Il primo è il filoputinismo radicato in Italia, tra i più alti d’Europa. Le radici di questo fenomeno possono ritrovarsi tanto nella simpatia di alcuni leader italiani verso Putin quanto nell’idea che il leader russo rappresenti la “tradizione” e la “cristianità”. Il secondo motivo è una diretta conseguenza del primo, l’antiamericanismo. In particolare, sarebbe diffusa l’opinione per cui la guerra sia scoppiata per volere degli Stati Uniti e della Nato che userebbero Zelensky come una mera pedina, stessa teoria sostenuta da Putin e dai suoi ministri. Infine, la terza e ultima ragione sarebbe la più diffusa: a Zelensky non si perdona di non essersi arreso. Circa la metà degli italiani, secondo un sondaggio Ipsos dello scorso ottobre, è contraria al sostegno militare dell’Ucraina e spinge per concessioni territoriali alla Russia così da porre fine al conflitto. L’idea che sta alla base è che la guerra, in termini egoistici, sarebbe la causa del rialzo dei prezzi e della crisi energetica che hanno colpito anche l’Italia, peccato che la sconfitta dell’Ucraina causerebbe ulteriore instabilità all’Europa.

Dal calcio alle teorie cospirazioniste

RedIssue, un account Twitter con quasi 60.000 follower dedicato ai tifosi del Manchester United, da gennaio 2020 – come riporta The Economist – ha iniziato a parlare di Covid, criticando le autorità sia per non aver cancellato gli eventi sportivi sia per non aver fornito al personale sanitario nazionale l’equipaggiamento protettivo. A settembre, tuttavia, la pagina ha iniziato a cambiare opinione mettendo in discussione le restrizioni particolarmente dure ed esortando gli studenti dell’Università di Manchester a protestare. Non solo: quando è stato annunciato il secondo lockdown nazionale, RedIssue ha cominciato a fare il tifo per gli imprenditori che sfidavano gli ordini della polizia in merito alla chiusura dei locali. Con il passare dei mesi l’account continuava a insistere sul fatto che non si trattava di un virus ma del “manuale del governo”. A un certo punto alcuni follower hanno reagito chiedendosi se il profilo fosse stato hackerato, altri – influenzati dai suoi messaggi – hanno iniziato a elaborare teorie cospirazioniste contro il virus. A questo proposito, gli psicologi hanno dimostrato che la teorizzazione delle cospirazioni nasce dal desiderio di dare un senso al mondo che ci circonda, desiderio che aumenta nei momenti di crisi sociale come quelli vissuti in quei mesi.

I siti di news in UK perdono visibilità

Secondo i dati Sistrix, durante il 2022 i siti di news in UK hanno registrato un calo significativo, in termini di visibilità, nelle ricerche effettuate su Google. L’analisi degli esperti di SEO, riportata da PressGazette, rivela che nel gennaio 2023 45 dei 68 di questi siti hanno registrato numeri peggiori rispetto allo stesso mese del 2022. Tra i grandi nomi, in termini assoluti, guardian.com ha avuto un calo del 36%, seguito da thesun.co.uk con un calo del 48% e nytimes.com con un -34%. Gli editori, negli ultimi anni, hanno ampliato le loro offerte digitali per includere più contenuti relativi giochi e ricette di cucina. Tali contenuti, secondo Steve Paine di Sistrix, hanno contribuito a incrementare la visibilità di coloro che hanno guadagnato maggiormente nel 2022. PressGazette sottolinea anche come il cambiamento dell’algoritmo da parte di Google possa influenzare i risultati nei motori di ricerca. Lo scorso settembre, infatti, 10 dei 25 principali siti di notizie in Regno Unito hanno visto ridursi la loro visibilità a seguito di un importante aggiornamento dell’algoritmo di Google.

L’hype intorno all’intelligenza artificiale

La popolarità di ChatGPT è stata una grande sorpresa anche per i dipendenti di OpenAI e ha dato il via a una “corsa agli armamenti” nel campo dell’intelligenza artificiale. Lo riporta il New York Times ripercorrendo la parabola della nascita del chatbot: realizzato in tredici giorni, il suo nome completo è “Chat with GPT-3.5” e non si tratta del modello più recente; è stato infatti rilasciato per collezionare feedback utili a migliorare GPT-4, la versione più sofisticata in lavorazione fino a questo cambio di programma. Ciò non ha rappresentato un ostacolo per la popolarità del chatbot, diventato nei mesi seguenti al debutto un fenomeno globale, capace di attirare gli investimenti della Silicon Valley e non esente da controversie, come quelle relative al suo impiego a scuola, che per qualche giorno ha generato un dibattito sulla stampa italiana. Del resto, questa ambivalenza emerge anche dalle parole del CEO di OpenAI Sam Altman, che ritiene l’intelligenza artificiale portatrice di benefici per l’umanità talmente grandi da essere difficilmente immaginabili per lui da un lato e, dall’altro, secondo lo scenario peggiore possibile, in grado di ucciderci tutti. Aspettative, in ogni caso, notevoli, ed è proprio Altman a essere preoccupato delle possibili conseguenze di un hype eccessivo nei confronti di ChatGPT, che, teme, potrebbe portare a un contraccolpo normativo o creare aspettative eccessive verso future versioni del software. Ciò che è certo è che i concorrenti della corsa all’intelligenza artificiale stanno scaldando i motori: tra loro, il colosso cinese Baidu, Anthropic e Google. C’è, inoltre, attesa anche per l’uscita di GPT-4, rimasta in programma quest’anno: sarà sorprendente come quella di GPT-3.5?

*Storyword è un progetto editoriale a cura di un gruppo di giovani professionisti della comunicazione che con diverse competenze e punti di vista vogliono raccontare il mondo della comunicazione globalizzato e in costante evoluzione per la convergenza con il digitale. Storyword non è una semplice rassegna stampa: ogni settimana fornisce una sintesi ragionata dei contenuti più significativi apparsi sui media nazionali ed internazionali relativi alle tecniche e ai target di comunicazione, sottolineando obiettivi e retroscena. Per maggiori informazioni: www.storywordproject.com

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