Nell’utilizzo dei social media Donald Trump si pone anni luce avanti rispetto a un Salvini, a un Di Maio, a un Renzi e a un Berlusconi. Ecco come
Un anno fa, il 20 gennaio 2017, un baldanzoso Donald Trump giurava da 45° presidente degli Stati Uniti d’America sul palco di Capitol Hill, a Washington, dando inizio all’anno da incubo di tutti i liberal d’America e d’Europa. Nel suo discorso accusava il vecchio establishment di aver protetto se stesso, ma non i cittadini, e prometteva che quella data sarebbe stata ricordata come il giorno in cui il popolo era tornato di nuovo al potere. Poco dopo ribadirà il concetto in un tweet:
January 20th 2017, will be remembered as the day the people became the rulers of this nation again.
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) January 20, 2017
Da quel famoso 20 gennaio il ciclone Trump si è abbattuto su tutto ciò che poteva rappresentare un ostacolo per la sua avanzata. Il primo a essere spazzato via è stato il direttore dell’FBI James Comey che stava indagando sulle influenze russe nelle elezioni; l’ultimo a cadere, il fido stratega alt-right Steve Bannon, colui che dalla stampa era considerato come il deus ex machina del neo presidente. Nel mezzo, scontri su clima e immigrazioneconclusi da gare al bottone nucleare più grosso con il nordcoreano Kim Jong-Un, ma soprattutto sparate ad alzo zero contro i media, rei a suo dire di diffondere fake news per distruggerlo.
Lo strumento preferito per esprimere sentenze e lanciare accuse? Sempre Twitter. Moderni cinguettii che ricordano il metallico gracchiare di più tristi altoparlanti. È attraverso i 140 caratteri che Trump comunica decisioni, strizza occhiolini, inveisce, ammonisce e zittisce giornalisti.
E così, quelli che dovrebbero essere i watchdog della democrazia, finiscono per essere cani guardati a vista.
Brian Ross, the reporter who made a fraudulent live newscast about me that drove the Stock Market down 350 points (billions of dollars), was suspended for a month but is now back at ABC NEWS in a lower capacity. He is no longer allowed to report on Trump. Should have been fired!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) January 6, 2018
Jake Tapper of Fake News CNN just got destroyed in his interview with Stephen Miller of the Trump Administration. Watch the hatred and unfairness of this CNN flunky!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) January 7, 2018
The Failing New York Times has a new publisher, A.G. Sulzberger. Congratulations! Here is a last chance for the Times to fulfill the vision of its Founder, Adolph Ochs, “to give the news impartially, without fear or FAVOR, regardless of party, sect, or interests involved.” Get…
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) January 2, 2018
Big Donald eccita gli animi dei suoi sostenitori e sgomenta quelli dei suoi detrattori. Come scrive Jason Stanley in “How propaganda works”, per Hitler “la propaganda doveva fare effetto sulle emozioni della gente, non sui suoi ragionamenti, magari ripetendo formule e stereotipi”. Trump sembra seguire il consiglio alla lettera, ed ecco che un “America First!”, buttato lì a caso, fa sempre la sua figura.
AMERICA FIRST!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) January 13, 2018
Crooked Hillary, la corrotta Hillary, ama definirla Trump utilizzando un termine che ricorda Richard Nixon (“I’m not a crook”), al quale in America è spesso accostato. Un paragone che fa venire i brividi, ma che diventa addirittura inquietante se pensiamo che la stessa moglie di Nixon aveva predetto la carriera di Trump.
Tante le similitudini con il famigerato presidente del Watergate, ma soprattutto la paranoia e le barricate difensive verso avversari politici e giornalisti, attaccati senza mezze misure da entrambi. Sfruttando i suoi quasi 50 milioni di follower, Trump ricorda ai media che li sta osservando, ne critica comportamenti, uscite e analisi, e li espone al pubblico ludibrio dell’uccellino lanciando addirittura Gli awards delle fake news
And the FAKE NEWS winners are…https://t.co/59G6x2f7fD
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) January 18, 2018
A farne le spese il premio Nobel 2008 per l’economia Paul Krugman, columnist del New York Times, Brian Ross di ABC News, il Time, il Washington Post, la CNN, Newsweek, cioè i baluardi dell’informazione americana. Tutti concordi nel condannare l’atteggiamento, tutti incapaci però di opporre una reazione esemplare.
Coloro che non avrebbero scommesso un centesimo neanche su un suo passaggio alle primarie, probabilmente non avevano calcolato bene la natura del fenomeno. Trump si inserisce come un antigene nei nostri tempi: promette risposte ai delusi dal sistema, oppone il politicamente scorretto all’ipermoralismo dell’establishment, mette in dubbio l’informazione autorevole strizzando l’occhio ai complottisti, eleva i social media a comunicazione politica standard. Tutto ciò che nessun altro del suo livello riesce a fare, né in America né altrove.
Tanto per fare un paragonare con l’Italia, nell’utilizzo dei social Trump si pone anni luce avanti rispetto a un Salvini, a un Di Maio, a un Renzi e a un Berlusconi. Se anagraficamente solo dieci anni lo separano dal Silvio nazionale che ha imposto in politica i canoni della tv commerciale, sembrano quasi tre le generazioni di differenza nel modo di concepire e utilizzare i nuovi sistemi di comunicazione. Dove il biscione per difendersi dagli attacchi nemici preferisce schierare giornali e tv lasciando il compito a fidi scudieri, Trump ama occuparsene personalmente con il suo account.
Nella giornata ufficiale del presidente americano la prima parte è definita “executive time”, ma secondo Axios, che giura di essere in possesso del vero programma, consiste principalmente nel guardare programmi televisivi e twittare. Un’attenzione ai media che occuperebbe almeno quattro ore della sua giornata tipica secondo il New York Times e che dimostrerebbe ancora una volta la paura che avrebbe dei giornalisti, gli unici nella sua visione che potrebbero togliergli il giocattolo.
Fu così con Nixon, lo sarà anche con Trump? Qualche dubbio c’è. Come i democratici non hanno saputo opporre un’alternativa valida alla sua scalata, così i giornalisti americani, spiazzati, non sembrano avere quel sacro fuoco che incendiò animi e pagine negli anni ’70. Anche questo in fondo è lo spirito dei tempi. Troppo moderati, troppo timorosi, troppo superficiali. È il conformismo da social media, quelli che invece Trump usa come una mitragliatrice inchiodando avversari in cerca di alibi.
Ridete, e un tweet vi seppellirà.