Secondo il sito anti-bufale Aos Fatos soltanto le principali dodici notizie false circolate nel fine settimana delle elezioni sono state condivise 1,17 milioni di volte su Facebook
RIO DE JANEIRO – L’influenza di WhatsApp sulla corsa presidenziale, con il trionfo delle fake news, ha raggiunto un livello non più tollerabile e andrebbe contrastata, sostiene il Tribunale elettorale brasiliano. Bisogna «stabilire una qualche forma di controllo sul flusso di informazioni per impedire che si ripeta quanto accaduto al primo turno, quando bugie e montature hanno causato danni notevoli ad alcuni candidati», scrive il consiglio di esperti dell’Authority elettorale. Con alcuni dei suoi membri suggerendo addirittura «misure dure». Inutile continuare a ignorare la realtà, dicono: WhatsApp da «messaggero» di informazioni e opinioni personali si è trasformato esso stesso in un social network, e deve essere responsabilizzato per i propri contenuti. L’opinione è però assai controversa.
Elezione falsata?
Secondo il sito Aos Fatos, implacabile cacciatore di bufale in Rete, soltanto le principali dodici notizie false circolate nel fine settimana delle elezioni sono state condivise 1,17 milioni di volte su Facebook. Campione di clic un video taroccato dove si vede l’urna elettronica con la quale si vota in Brasile che da sola compone il numero del candidato di sinistra Fernando Haddad (al ballottaggio del 28 ottobre col 28% dei voti), a testimoniare una frode elettorale imbastita dalla sinistra. «Non possiamo stimare la diffusione su WhatsApp, in quanto network chiuso. Ma riteniamo che le persone esposte in Brasile alle principali fake news che abbiamo controllato sono nell’ordine delle decine di milioni di elettori», dicono i fact checkerbrasiliani. «Il dirompente effetto WhatsApp in Brasile non credo sia dovuto ai bassi indici di lettura e scolarità, come qualcuno sostiene – spiega Tai Nalon, giornalista fondatrice di Aos Fatos -. Indagini dimostrano che la pseudonotizia arrivata da un familiare, un amico, la tua chiesa è ritenuta più plausibile in un momento di cattiva reputazione dei media tradizionali, come questo, in tutte le classi sociali». Un altro fattore decisivo sono le offerte degli operatori telefonici. «WhatsApp ormai è gratis, è l’unica cosa che funziona bene dove il segnale è di bassa qualità e molti non possono nemmeno cliccare su un link per controllare la notizia, perché pagherebbero».
Pime azioni
La campagna di Haddad (l’erede di Lula) è riuscita finora ad ottenere dal Tribunale elettorale che vengano rimossi dalla rete i video con i riferimenti al cosiddetto «kit gay», uno dei pezzi da novanta dalla propaganda di Jair Bolsonaro (che al primo turno ha vinto con quasi il 47% dei voti). Secondo il candidato di estrema destra, negli anni di Haddad come ministro dell’Educazione venne distribuito nelle elementari un libro, «una collezione di assurdità che stimolava precocemente i bambini ad interessarsi al sesso, alle diverse opzioni sessuali, vale a dire una porta aperta per la pedofilia». La leggenda circola da un paio di anni, è stata smentita numerose volte ma ha continuato a girare in Rete. Da qui la richiesta all’Authority elettorale. Haddad ha anche querelato un noto opinionista di destra che di recente lo ha accusato di essere «a favore dell’incesto». Come si vede, siamo al vale tutto. Ma quella del «kit gay» è stata un’arma potente di diffusione del pensiero di Bolsonaro. Indagini hanno dimostrato che la stragrande maggioranza delle famiglie in Brasile ritiene che l’educazione sessuale è compito esclusivo dei genitori.
Il network chiuso
Quanto all’ipotesi di una azione forte su WhatsApp, non è ancora chiaro se i giudici del Tribunale elettorale accoglieranno le tesi dei loro consiglieri, e ancor meno prevedere che misure concrete si potrebbero adottare a meno di un paio di settimane dal ballottaggio elettorale. Come è noto gli scambi di messaggi su WhatsApp – e app simili – avvengono tra singole utenze telefoniche o tra loro gruppi, e la società ha sempre negato di avere il benché minimo controllo sui contenuti criptati. Molto meno che su Facebook e Twitter, dove testi e foto o gli stessi account possono essere rimossi in caso di reclami di utenti che i sistemi di controllo ritengano fondati. L’unica decisione presa di recente da WhatsApp è indicare quando un messaggio è un forward rispetto ad uno scritto di proprio pugno dalla persona che lo invia. Il problema è ormai universale, ma il Brasile (quarto Paese con più iscritti al mondo, 120 milioni di utenti, 6 volte più che negli Usa) è un caso a sé. Negli ultimi anni, giudici locali sono arrivati a bloccare WhatsApp per alcune ore in tutto il Paese, come rappresaglia contro la casa madre americana che si era rifiutata di fornire dati di utenti utili a indagini criminali.