Il capo delle rinnovabili di Shell si dimette perché Shell non ha nulla di rinnovabile
Il responsabile delle rinnovabili di Shell si è dimesso perché la società anglo-olandese ha deciso di ridurre i suoi precedenti piani sulle fonti verdi.
Il responsabile delle rinnovabili di Shell si è dimesso perché la società anglo-olandese ha deciso di ridurre i suoi precedenti piani sulle fonti verdi.
Il capo responsabile del comparto energie rinnovabili della nota società di combustibili fossili Shell, Thomas Brostrom, ha annunciato di voler abbandonare l’azienda dopo che il Ceo dell’azienda, Wael Sawan, ha ridimensionato i piani di transizione energetica.
Brostrom è entrato a far parte di Shell nell’agosto 2021 e proveniva dal gigante dell’energia eolica offshore Orsted, con il compito di guidare l’espansione degli investimenti verso le rinnovabili in Shell: il piano del colosso anglo-olandese era stato sostenuto dal precedente Ceo, Ben van Beurden.
Brostrom è diventato rapidamente responsabile delle energie rinnovabili nel febbraio 2022, dopo le dimissioni di Elisabeth Brinton, che aveva assunto il ruolo meno di due anni prima. Ma il nuovo Ceo Sawan, entrato in carica a gennaio, ha annunciato una retromarcia sulle energie pulite: il 14 giugno ha detto che Shell si sarebbe concentrata di nuovo sulla produzione di petrolio e gas, riducendo gli investimenti nelle energie rinnovabili a seguito della pressione degli investitori per concentrarsi sulle attività più redditizie.
Shell ha abbandonato l’obiettivo precedente di ridurre la produzione di petrolio del 20 per cento entro il 2030: secondo il nuovo piano, gli investimenti sul petrolio si manterranno stabili fino al 2030. Per convincere anche i soci più scettici, Shell aumenterà la distribuzione complessiva agli azionisti al 30-40 per cento del flusso di cassa dalle operazioni, rispetto al 20-30 per cento precedente, secondo un nuovo quadro finanziario annunciato durante la conferenza per gli investitori a New York.
E i mercati danno ragione a Shell: le azioni della società hanno chiuso in rialzo dello 0,4 per cento, in contrasto con l’andamento dell’indice delle società europee del settore petrolifero e del gas (Sxep). La spesa di capitale sarà compresa tra 22 e 25 miliardi di dollari all’anno nel 2024 e 2025, dopo un range pianificato di 23-27 miliardi di dollari nel 2023.
Shell prevede di spendere circa 40 miliardi di dollari per la produzione e il commercio di petrolio e gas tra il 2023 e il 2025, rispetto ai 35 miliardi di dollari per le sue attività nell’ambito delle soluzioni energetiche rinnovabili e a basso consumo energetico.
Tra l’altro Shell non è l’unica, anzi il suo annuncio segue un’iniziativa simile intrapresa dal concorrente BP (British Petroleum) all’inizio di quest’anno, quando il Ceo Bernard Looney ha ritrattato i piani di riduzione del 40 per cento della produzione di petrolio e gas entro il 2030.
“Investiremo nei modelli che funzionano, quelli con i più alti rendimenti che sfruttano i nostri punti di forza”, ha aggiunto Sawan durante la conferenza. E tanti saluti agli impegni per il clima, anche se Shell continua ad affermare di essere impegnata a ridurre le emissioni a zero entro il 2050. Il fatto è che non si capisce come farà a rispettare tali obiettivi: gli scienziati sostengono che il mondo deve ridurre le emissioni di gas serra di circa il 43 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019 per avere una qualsiasi possibilità di realizzare l’Accordo di Parigi del 2015. Si può dire che le promesse di Shell rientrino nel calderone del greenwashing.