Pietro Rosernwirth è un portatore di handicap “eccezionalmente normale”. 42 anni, affetto da una grave menomazione fisico-motoria, da sempre attivo come volontario sul fronte della difesa dei diritti umani, lo scorso 1° maggio è partito da Trieste per un viaggio che aveva il sapore di una sfida impossibile: da solo, attraverso 6 nazioni, Pietro ha affrontato il difficile viaggio a bordo di uno scooter-trike opportunamente modificato, e regolarmente omologato presso la Motorizzazione Civile. Dalle autostrade alle provinciali, attraverso montagne e metropoli, Piero ha dimostrato che un handicappato, messo nelle migliori condizioni possibili e con la fornitura dei necessari ausili e l’adeguata assistenza socio-sanitaria, può fare cose che risulterebbero impegnative anche per i cosiddetti ‘normo-dotati’. L’abbiamo intervistato al rientro dalla Sua folle traversata d’Europa, anche in relazione al Suo rapporto con Suzuki, azienda che a livello internazionale vanta di essere impegnata in concrete politiche di responsabilità sociale.
D: Pietro, qual è il senso della sfida che ha lanciato con questo viaggio?
R: Con questa iniziativa voglio tentare di far aprire gli occhi sia alle pubbliche amministrazioni che agli altri cittadini cosiddetti ‘normali’, che spesso non si rendono conto di quanto le nostre città non siano a misura di ‘qualunque uomo’. E’ questo il vero razzismo: ragionare ‘escludendo’, come se fosse una cosa naturale vedersi interdire di fatto i propri più elementari diritti.
D: Tu provocatoriamente ti definisci “handicappato”, una parola spesso connotata negativamente.
R: Purtroppo, quando mi definisco “handicappato non lo considero affatto una “provocazione” bensì l’uso del termine più adatto e realistico. Infatti, fino a quando le persone saranno considerate un ‘costo’ dalle Pubbliche Amministrazioni e fino a quando l’abbattimento delle barriere – architettoniche e mentali – saranno vissute come “una seccatura da risolvere”, invece di una cosa naturale per offrire pari opportunità di movimento e di espressione a tutti, la parola ‘handicappato’ sarà il termine sicuramente più appropriato per definire la mia situazione fisica e sociale.
D:Quali aiuti hai trovato per affrontare questa sfida?
R: In diversi si sono fatti avanti, per piccoli ma sostanziali contributi. Per quanto riguarda il mezzo, dopo aver contattato i principali adattatori di auto e moto per handicappati in Italia, ho trovato fortunatamente Alessandro della “Dal Bo Mobility”, da subito disponibile a tentare quest’avventura dell’assemblaggio ed omologazione del 1° scooter-trike in Italia. Mi è anche venuto spontaneo pensare al top di gamma della Suzuki, avendo usato per alcuni anni un Suzuki Burgman 150 di serie, comprato perché l’unico con l’altezza sella idonea alle mie esigenze, circa 70cm.
D: Quindi hai contattato la Suzuki Italia?
R: Si. Per prima cosa ho inviato al settore tecnico della Suzuki tutte le informazioni tecniche relative al kit di ruote supplementari prodotto dall’americana Danson-Trike ricevendo autorizzazione scritta all’installazione del suddetto kit: come unico ineludibile vincolo, il divieto assoluto di apportare modifiche al telaio dello scooter. Ho allora ordinato un Suzuki Burgman 650 An Executive, prezzo chiavi in mano €.10.200: mi è stato venduto dal concessionario Suzuki & Ducati “Dolomiti Racing” di Trieste, con l’intervento della loro sede principale a Conegliano, al prezzo leggermente scontato di €.9.000. Dopo circa 11 mesi di lavoro, sotto strettissimo controllo da parte di un ingegnere della Motorizzazione Civile di Treviso, lo scooter-trike mi è stato consegnato dalla Dal Bo Mobility a dicembre 2010.
D: Poi cosa è successo?
R: Il 3 febbraio ho presentato ufficialmente lo scooter-trike a Trieste con ottimi riscontri mediatici. Nel frattempo mi arriva l’agognata convocazione presso la sede della Suzuki Italia. Per una persona nelle mie condizioni il viaggio è stato impegnativo, ma sono volentieri partito per Torino con molte aspettative. Il 6 febbraio ho incontrato l’allora Amministratore Delegato dott. Savini, la Responsabile nazionale Marketing dott. ssa Procacci e un loro responsabile tecnico.
D: Com’è andata la riunione?
R: Mi hanno chiesto di riassumere loro il progetto.
D: Perché, non era chiaro?
R: Nelle molteplici e-mail che avevo inviato per ottenere l’incontro era chiarissimo. E’ stato assai mortificante per me dover rispiegare tutto. Anche perché a quel punto è partita la responsabile marketing con una lunga descrizione delle difficoltà in cui versa da ogni punto di vista la Suzuki Italia, e sul fatto che lavorano a compartimenti stagni, cioè per Paese e tutti, separatamente, rispondono poi alla Suzuki-Giappone, eccetera, per farmi capire che era “molto difficile” per loro aiutarmi. A quel punto, il dott. Savini si alza e fa capire che la riunione per Lui era conclusa.
D: Sconcertante. Tu come hai reagito a quel punto?
R: Ero basito. Hanno fatto spostare un handicappato apposta da Trieste a Torino – per giunta a proprie spese – per che cosa? Quindi sono rimasto seduto e ho detto testualmente “Scusatemi, ma forse non ho colto bene le Vostre risposte ai miei quesiti… potreste gentilmente chiarirmi?” Il loro Amministratore Delegato ha ripreso la parola dicendo: “Esattamente, cosa vuole sapere?”. Ero davvero allibito, mi sentivo preso in giro. Comunque a quel punto volevo andare fino in fondo, e ho posto domande ancor più stringenti: “Rispetto alla mia iniziativa ed al viaggio in programma…supporto mediatico?” Risposta: “Nessuno”. “Supporto tecnico, cioè tagliandi e cambi gomme?” Risposta: “Nessuno, deve trovare i centri autorizzati e farseli fare da se” “A mie spese, cioè senza poter contare su un vostro appoggio o rimborso?” Risposta: “Esatto”. “E rispetto al budget complessivo dell’operazione, in quale proporzione potreste sostenermi?” Risposta: “In nessun modo”. Al che ho chiesto perché mi avessero fatto andare fino a lì apposta: “Per conoscerla di persona e sentire da lei tutto quello che ci ha spiegato e raccontato”.
D: Ma quale pensi fosse il loro interesse, vista l’assoluta indisponibilità ad aiutarti in qualsivoglia modo?
R: Bhe, la prima parte della riunione per certi versi mi è parso più “un interrogatorio” che un incontro: ho avuto la netta sensazione che fossero chiaramente interessati a comprendere di che entità numerica fosse il potenziale mercato per un mezzo come quello da me elaborato. Infatti mi hanno chiesto di spiegare come sono riuscito ad omologare lo scooter-trike, ed hanno insistito affinché reinviassi loro copia dell’autorizzazione che mi avevano all’epoca mandato insieme alla copia del libretto del mio scooter, che pur avendo 4 ruote ha l’omologazione come scooter, con possibilità di andare in autostrada e minori costi assicurativi e di bollo. Penso fosse questo l’unico loro interesse…
D: Con che umore sei ripartito?
R: Non sapevo se ridere o piangere. Non ho chiesto decine di migliaia di euro. Ho chiesto un aiuto, di qualunque genere, e mi pareva giusto, dato che avrei portato il loro marchio in giro per l’Europa. Una porta sbattuta in faccia così non me la sarei proprio aspettata.
D: A parte queste “disavventure” con Suzuki, pensi che qualcosa possa cambiare, a seguito di iniziative come quella da te promossa?
R: Me l’auguro, anche se il mio è un piccolissimo contributo in termini di sensibilizzazione, ma che spero non vada inesitato. Innanzitutto gli Enti pubblici possano attivarsi per inserire nei propri bilanci fondi per aiutare concretamente chi è alla ricerca di una propria autonomia negli spostamenti quotidiani: il movimento è parte essenziale della vita, e l’indifferenza di amministratori pubblici ‘normali’ condanna spesso quelli come noi ad un esistenza da reclusi. Poi spero che anche le aziende possano farsi parte diligente: a volte basta pochissimo, ma anche quel pochissimo è difficile da ottenere, come la vicenda Suzuki ha dimostrato. Il contributo delle grandi imprese sarebbe invece fondamentale per portare ovunque sia possibile un messaggio tanto semplice quanto significativo: è possibile abbattere le barriere dell’indifferenza e della discriminazione. Quest’avventura ne è la dimostrazione concreta.
Nota: ho contattato Suzuki Italia, al fine di raccogliere il loro punto di vista sulla questione esposta dall’intervistato, e volentieri pubblico qui sotto la loro lettera di precisazioni.
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