Rating Esg e reputazione: le aziende italiane hanno un problema
Su Il Sole 24 Ore, Luca Poma, Professore di Reputation Management all’Università LUMSA di Roma, commenta i sistemi di attribuzione dei rating ESG
Su Il Sole 24 Ore, Luca Poma, Professore di Reputation Management all’Università LUMSA di Roma, commenta i sistemi di attribuzione dei rating ESG
Negli ultimi anni sempre più investitori hanno deciso di implementare le proprie politiche ESG: secondo lo studio pubblicato su ESGToday realizzato da Deloitte e The Fletcher School, il 79% degli investitori ha dichiarato di avere in atto una politica di investimento sostenibile, una percentuale in netto aumento rispetto a cinque anni fa, quando era ferma al 20%.
L’indagine di livello globale, svolta tra gennaio e dicembre 2023, ha coinvolto oltre mille proprietari di asset, gestori di asset e consulenti di investimento, inclusi CEO e CIO sparsi tra Nord America, Europa e Asia, e solo l’1% degli intervistati ha dichiarato di non avere un piano di investimento ESG. In particolare i più attivi sono gli statunitensi con l’83% degli investitori che prevede politiche di investimento ESG in aumento rispetto al 27% di cinque anni fa.
Gli investitori europei sono, invece, leggermente indietro e si fermano al 75%. Tra i principali motivi che spingono a integrare i fattori di sostenibilità nei processi decisionali di investimento ci sono il rispetto dei requisiti normativi (39%), il miglioramento delle performance finanziarie (36%) e l’influenza o la pressione degli stakeholder (34%).
Se da un lato gli investitori puntano su politiche sostenibili, dall’altra le aziende devono farsi trovare pronte a rispettare i rating ESG, ma da questo punto di vista i dati non sono confortanti: una recente ricerca finanziata dal Parlamento Europeo dimostra come il 70% delle aziende italiane con rating ESG non si sia sottoposte ad alcun “audit” presso le proprie sedi, essendosi limitate a far “certificare” dalle agenzie e società di consulenza le proprie stesse dichiarazioni.
Una scelta, questa, che espone a gravi rischi reputazionali, come dimostra la grave crisi della Giorgio Armani Operation, recentemente commissariata dal Tribunale di Milano. Rischi che dimostrano come la reputazione sia un asset intangibile primario e vitale per qualunque azienda, un vero e proprio patrimonio da tutelare.
Per questi motivi, emergono soluzioni innovative a supporto di imprese di ogni tipologia, da quelle di grandi dimensioni alle piccole e medie, come l’assessment specialistico made in Italy denominato CompanyCheckUp, customizzabile e sartoriale, in grado di trarre vantaggio dall’analisi e dalla messa a sistema delle migliori pratiche in campo reputazionale documentate in letteratura scientifica come anche nella pratica professionale.
La finalità del progetto è quella di permettere la valorizzazione concreta di decenni di esperienza maturata nel settore della gestione della reputazione e della risoluzione delle crisi reputazionali, grazie a uno strumento diagnostico facilmente e rapidamente accessibile. Tale strumento consente una mappatura delle aree di forza e di debolezza sotto il profilo della reputazione dell’organizzazione oggetto di indagine. Ad esempio, capacità di crisis response, gestione delle relazioni pubbliche e delle media-relation, clima interno, supply chain, punti di criticità nei rapporti con l’esterno, qualità della rendicontazione ESG e capacità dell’azienda di operare e di raggiungere la propria mission, mappando e anticipando, tra l’altro, i rischi reputazionali.