La sufficienza di Standard Ethics a Rheinmetall. Anche in Italia?
L’agenzia di rating non-finanziario fa rientrare nel novero della sostenibilità la grande produttrice tedesca di armamenti
L’agenzia di rating non-finanziario fa rientrare nel novero della sostenibilità la grande produttrice tedesca di armamenti
Una ventata “sufficiente” di sostenibilità per Rheinmetall AG, grazie al rating non-finanziario assegnatole da Standard Ethics. La prima, con sede a Düsseldorf, è la produttrice tedesca di armamenti che, attraverso il proprio sito, presenta questi numeri: 27.700 dipendenti, 132 insediamenti di varia natura nel mondo, 6,4 miliardi di euro di fatturato, 138 Paesi acquirenti. Valori di massima, però, in continua oscillazione. La seconda, con sede a Londra, analizza aziende top, per assegnare loro rating che compongono l’Open Free Sustainability Index, utilizzabile come benchmark. In questo caso, la valutazione è del 6 luglio scorso, nell’ambito Corporate. Ed assegna al marchio tedesco la “EE-”, ovvero “adequate”, cioè “sufficiente”.
Come ricorda Standard Ethics, che si definisce “Self-Regulated Sustainability Rating Agency”, il suo Standard Ethics Rating (Ser) rappresenta un’opinione. Essa fotografa «la distanza tra un ente (o una emissione) e le indicazioni internazionali sulla sostenibilità». Ragione dell’internazionalismo? L’algoritmo, che è «uniformato alle indicazioni e linee guida dell’Unione Europea, dell’Ocse e delle Nazioni Unite».
La tipologia valutativa agisce su quattro gambe: “solicited”, “standard”, “independent” e “unsolicited”. Quest’ultima emessa per «mantenere o aggiornare indici o per aggiornare il ranking delle nazioni Ocse». In questa chiave, Standard Ethics interpreta il proprio approccio “ethically neutral”.
Sono trascorsi quattro mesi dai primi passi della tedesca delle armi verso il look sostenibile. Infatti, il marchio fa già capolino nello Standard Ethics German Index Review – April 2023. Appare in fondo all’elenco, con l’Isin DE0007030009 (International Securities Identification Number, codice identificativo degli strumenti finanziari sui mercati e nelle transazioni, ndr). È nel limbo del rating, indicato con “pending”, cioè in attesa di essere definito. Dal 6 luglio, invece, la crisalide diventa farfalla: “adequate”, sufficiente. Resta da capire se il cliente che ha chiesto la valutazione sia la stessa Rheinmetall AG. Se ciò fosse, rientrerebbe tranquillamente nel recente dinamismo della sua dirigenza.
Dirigenza che viaggia sulle ali del conflitto russo-ucraino. L’ultimo fiore all’occhiello risale al 13 luglio scorso, quando Rheinmetall AG annuncia l’ennesimo accordo di cooperazione: è con Ukroboronprom State Concern, produttore strategico di armi e hardware in Ucraina, controllato direttamente dall’esecutivo di Volodymyr Zelensky. Il gruppo di Kiev, in logica unitaria, concentra aggregati aziendali e statali, vantando 67mila lavoratori.
Dopo un paio di montagne russe in Borsa, verso la fine di giugno, il marchio tedesco fila dritto alla meta. Punta ad essere tra i principali produttori di armamenti del Vecchio Continente, per ora in chiave anti-Mosca. Necessaria, quindi, un’eccellente comunicazione per garantirsi una buona reputazione.
Questo coinvolge anche l’Italia, dove il gruppo annovera la filiale RWM, base a Ghedi, in provincia di Brescia, stabilimenti in località Matt´ è Conti, Domusnovas, provincia di Carbonia-Iglesias. Qui, una recentissima sentenza del Tar Sardegna (ordinanza n. 00147/2023 – 21 giugno u.s. – prima Sezione) continua a stoppare l’avvio di nuovi impianti della RWM. Nel novembre 2021, era stato il Consiglio di Stato ad impedirne l’apertura, dedicando due sentenze distinte. In sostanza – si afferma – l’ampliamento dello stabilimento è stato realizzato con modalità ritenute illegittime. Di più: si richiede anche lo smantellamento dei manufatti ed il ripristino dello stato dei luoghi esistente. Dulcis in fundo, e sullo sfondo, presso il Tribunale di Cagliari un processo penale ancora in corso, contro i dirigenti del marchio tedesco. Un bel problema di reputazione.
Intanto, con l’Act in support of ammunition production (ASAP), l’Unione europea spinge però per la produzione di munizioni e, se richiesto, anche di missili. Da parte sua, con circa 400 lavoratori, il centro di produzione italiano calza perfettamente alla bisogna. Avrebbe commesse per oltre 500 milioni di euro (bilancio 2022, ndr): dai proiettili di artiglieria di diversi calibri ai droni-killer, questi ultimi in sinergia con gruppo israeliano.
Ce n’è da fare, insomma, nonostante qualche piccolo problema burocratico e di reputazione. Meno male che c’è guerra alle porte di casa, e quella dose “sufficiente” di sostenibilità di Standard Ethics: sembra proprio una manna dal cielo, altro che bombe.