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Si discute molto, nella nostra professione – e in senso più estensivo nel settore scientifico-disciplinare delle scienze della comunicazione e nelle comunità professionali dei relatori pubblici e dei comunicatori – dell’importanza di costruire relazioni.

Un pioniere di questa disciplina è senz’altro Toni Muzi Falconi (spesso dagli amici abbreviato in TMF), docente in Italia e USA, decano delle relazioni pubbliche italiane, con oltre sessant’anni di esperienza (le sue prime attività professionali risalgono alla fine degli anni ‘50 del secolo scorso), una carriera semplicemente spettacolare e un intensa attività di mentorship della quale hanno beneficiato intere generazioni di suoi colleghi.

Tra i tantissimi lavori di Toni, un’articolata ricerca presentata nel 2019 in occasione di BledCom, il simposio internazionale sulle Relazioni Pubbliche che si tiene ogni anno nella bellissima cittadina sull’omonimo lago, in Slovenia. Nel documento, Toni, insieme ad altri validi specialisti del nostro settore, analizzava lo scenario relativo al terremoto del 2012 in Emilia Romagna dal punto di vista della comunicazione e della governance delle relazioni pubbliche: “si è infatti trattato di un caso di studio assolutamente straordinario, soprattutto se visto alla luce di quanto era successo soltanto qualche anno prima con il disastroso terremoto de L’Aquila”, ha dichiarato TMF in un’intervista.

Nel 2012 l’area colpita fu infatti quella di Modena, con epicentro tra i paesi di Mirandola e di Medolla, dove già dagli anni ‘60 si era formato un importante agglomerato di imprese e di attività in parte connesse al settore dell’industria biomedica, un distretto già allora riconosciuto come uno dei più importanti in Europa in termini di produzione, di fatturato, di laboratori di sviluppo e di personale. Il sisma danneggiò gravemente l’intero distretto: enti di ricerca, impianti industriali, centri logistici, uffici amministrativi.

“Fu un disastro senza precedenti – procede Muzi Falconi – ma immediatamente venne attivato un piano di gestione della crisi basato sugli strumenti del dialogo e del confronto continui; non solo con le autorità e gli enti locali, ma anche con gli ospedali, con i rappresentanti del sistema produttivo, con i sindacati dei lavoratori, persino con le comunità religiose. Già nei primi confusi momenti successivi al terremoto, i rappresentanti di questi stakeholders si incontrarono per definire una strategia coordinata, decidendo il tipo di comunicazione da adottare e in che misura e con quali modalità coinvolgere i vari attori. Si formarono diversi gruppi di lavoro e iniziò un intenso processo di governance relazionale, con l’obiettivo di informare i soggetti interessati, ascoltarne le aspettative, capirne bisogni e interagire con loro per trovare soluzioni comuni. E fu un successo: lo sforzo collettivo non solo permise di affrontare in modo efficace la contingenza del terremoto, ma pose anche le basi per la crescita economica e sociale che si ebbe poi negli anni successivi, ed è indicativo che proprio quell’area abbia reagito così bene alla pandemia Covid-19. È chiaro che la funzione delle relazioni pubbliche, in particolare di quella figura che io chiamo ‘tessitore sociale’, abbia avuto un ruolo centrale in tutto questo. Grazie al lavoro fatto, dal 2012 a seguire, la zona del distretto biomedicale è ora una delle più importanti in Italia in termini di crescita economica e sociale. Ho avuto modo di parlarne con l’amministratore delegato di una delle più grandi aziende del distretto, Medtronic, il quale mi ha confermato che tutti i dati in suo possesso – quelli relativi al passato così come quelli stimati per i prossimi mesi – mostrano l’area di Medolla come quella di maggiore crescita economica non solo in Italia, ma addirittura in Europa. Quello che voglio dire è che se il lavoro di comunicazione e di tessitura sociale viene fatto seriamente, allora funziona, non c’è alcun dubbio.

Toni  si è soffermato a più riprese proprio sulla figura del tessitore sociale, termine da lui stesso coniato, e in grado di dare nuovo senso e nobilitare una figura, quella del relatore pubblico, troppo spesso impropriamente e riduttivamente percepito come “lobbista” o “comunicatore”.

Da molto tempo si discute, in ambito accademico e aziendale, della classificazione e della rendicontazione del capitale immateriale delle imprese, dei singoli influencer – politici, artisti, sportivi, etc. – così come delle ONG o del settore pubblico ed istituzionaleri. Il capitale relazionale – strettamente connesso a quella reputazionale, nonché uno dei principali motori di esso – è una delle dimensioni nelle quali le organizzazioni complesse realizzano la propria missione, ed il relatore pubblico nella sua funzione di tessitore sociale è colui che governa modi e tempi della costruzione delle relazioni, incidendo concretamente sul profilo quali-quantitativo di esse.

È anche interessante apprezzare – adottando un modello di pensiero circolare che come sostengo da sempre è l’unica in grado di supportare la generazione di valore nella nostra professione – gli stimoli e le convergenze che dal mondo delle scienze dure contaminano le scienze sociali.

Come riportato in un articolo del Washington Post dalla dott.sa Trisha Pasricha, medico  al Massachusetts General Hospital e docente all’Harvard Medical School, tenersi per mano non è solo una gestualità antica ma ha degli effetti straordinari sul nostro organismo: “contribuisce ad abbassare la pressione, a ridurre il dolore e a mitigare le esperienze stressanti”, conferma Pasricha. “È un gesto semplice, ma che può limitare l’impatto dello stress sul sistema nervoso autonomo, regolando funzioni corporee involontarie come la dilatazione delle pupille. Stringere le mani di una persona cara riduce l’attività delle regioni cerebrali responsabili della risposta emotiva”.

I risultati di queste ricerche sono stati confermati anche da James Coan, psicologo clinico e direttore del Laboratorio di neuroscienze affettive dell’Università della Virginia: “la risonanza magnetica cerebrale dimostra che stringere la mano di una persona conosciuta o ancor più amata, riduce lo stress e fa diminuire la paura”.

Pasricha ricorda che per molti scienziati la regolazione delle emozioni è governata dalla corteccia prefrontale, la regione del cervello che ci aiuta a controllare gli istinti: non per niente, come ricordo spesso ai discenti nelle mie lezioni in università, utilizzare l’intelligenza emotiva significa anche trovare il giusto accordo ed equilibrio tra ragione e sentimento.

Ma le ricerche che abbiamo richiamato, e molte altre di questo tipo, confermano anche un solo apparente dettaglio: il cervello non percepisce il gesto di stringere la mano come una “novità” rispetto ad una situazione precedente di assenza di contatto, bensì – sorprendentemente – esattamente il contrario: la condizione neuropsicofisiologica di base è proprio il senso di contatto, di vicinanza e di comunanza con gli altri, e la situazione “anomala” è invece il senso di solitudine, che destabilizza noi e – conseguentemente – l’intero nostro ecosistema.

I nostri neuroni si aspettano quindi del tutto naturalmente che esistano delle relazioni e dei rapporti di reciproca connessione, e questo vale per il cervello umano ed anche – a mio avviso, per estensione – per le aziende e le organizzazioni sociali complesse in genere, e di qui il ruolo fondamentale di quel tessitore di relazioni descritto da Toni Muzi Falconi.

Più in generale, come tra le persone, sono le connessioni virtuose tra organizzazioni a generare valore, ed è anche per questo che nel – per l’epoca innovativo – metodo di mappatura degli stakeholder da me ideato nel 2008, applicato per la prima volta ad un’azienda italiana nel 2012, e successivamente presentato al congresso International Marketing Trend Conference di Parigi, avevo posto al centro del mio approccio proprio la misurazione della qualità delle relazioni tra un’organizzazione e i suoi pubblici.

Avevo poi riflettuto anche sull’impatto di questi concetti, entrati poi di buon grado tra i principi fondamentali del reputation management, sui singoli individui: l’uomo e le organizzazioni da esso create nascono per condividere, ovvero dividendo con, sinonimo di possedere insieme, partecipare, offrire del proprio ad altri, e viceversa, all’estenuante ricerca del giusto equilibrio che ci permetta di essere utili come anche di trarre sopravvivenza da chi circonda, per proseguire nella nostra personale missione, quale che sia, nella quale coinvolgere sempre più altre persone, sempre più altre parti di noi.

In definitiva, le relazioni sono quindi un vero e proprio solvente universale, forse il più potente che esiste, in grado di permetterci di risolvere più velocemente qualunque crisi, di portare a buon fine qualunque piano di comunicazione, di gestire con successo qualunque processo di change management, nella professione e sul lavoro come anche nella vita.

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