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FIMIC muove i primi passi nel 1963, grazie a nonno Giuseppe, nato in una famiglia di contadini: all’ennesima tempesta con conseguente distruzione del raccolto, stufo di non avere il controllo del proprio destino, decise di aprire una officina meccanica. Ora è un’azienda in forte espansione, che ha superato i 20 milioni di fatturato, e che vuole dimostrare che è possibile prendersi cura del Pianeta e anche costruire valore economico-finanziario come impresa.

FIMIC dove, cosa e quando: genesi, missione e visione dell’azienda

Nonno Giuseppe all’inizio realizzava un po’ di tutto: scale, cancelli, lampioni, anche i chiodi se li faceva da solo, finché a 17 anni, entrò in azienda mio padre Antonio. Dopo alcuni tentativi che non diedero i risultati sperati, notarono che nella nostra zona c’erano moltissime aziende produttrici di componenti di plastica o specializzati nel riciclo, così entrarono in quel mondo, grazie alla costruzione della loro prima ghigliottina per il taglio di bobine di plastica da recupero, e poi di un cambiafiltro autopulente, uno dei primi a quell’epoca. Questo è stato il primo step della FIMIC di oggi, conosciuta anche per questo macchinario innovativo che permette il riciclo di materiali plastici contaminati post consumo, portandoli a nuova vita.

A un certo punto della storia di FIMIC, Erica Canaia: perché ha deciso di prendere le redini dell’impresa, e cos’è cambiato con lei sul ponte di comando?

Nel 2011 entrai in azienda a sorpresa: avevo studiato giurisprudenza e l’idea iniziale era una carriera un po’ diversa. Poi, a fine studi, mi sono resa conto che volevo restare in famiglia, proseguire ciò che aveva iniziato il nonno. Non sapevo quale sarebbe stata la mia figura manageriale, c’erano solo due dipendenti al lavoro in quel momento, oltre a mia madre e mio padre. Così sono partita dalla base e ho semplicemente cercato quale fosse il mio posto: ho iniziato sistemando i documenti che trovavo in disordine, ho fatto pulizia in magazzino di ciò che era obsoleto; ho organizzato la logistica dei ricambi, realizzato un nuovo sito internet, imparato a gestire la parte amministrativa e contabile. Dopo 6 mesi di lavoro, scoprii il mio vero amore: le vendite. Partecipai alla prima fiera, creai una rete vendite estera che non esisteva, organizzai fiere, e man mano feci conoscere il nome FIMIC in tutto il mondo. Al tempo vendevamo solo in Italia, poco in Spagna e Francia. C’era molto lavoro da fare! Questa espansione ha creato ovviamente la necessità di assumere nuovo personale: mentre io giravo per vendere, in azienda c’era la necessità di produrre e fatturare. Tuttavia, raggiunto il numero di 10 persone da gestire e coordinare, sono andata in tilt; confesso che non ero in grado, non avevo le competenze per la gestione delle persone. Così ho ricominciato a studiare, a imparare, e non ho più smesso. Una delle prime attività che ho realizzato quando ho iniziato a strutturare me stessa come imprenditrice – e di conseguenza l’azienda – è stata una introspezione sulla vision e mission aziendale: 10 anni fa era molto diversa da ora, perché anche la mission e la vision evolvono e crescono. Ora siamo più di 50 persone in azienda e siamo conosciuti in tutto il mondo con la nostra tecnologia e la nostra innovazione, ma restiamo quell’azienda familiare a cui piacciono le parole “fiducia” e “libertà”: un gruppo di persone che vive la propria vita in modo completo con la liberà di essere ciò che sono, e la fiducia reciproca a sostegno – e a protezione – di un mondo migliore, al quale cerchiamo di dare il nostro contributo attraverso la produzione di macchinari per il riciclo della plastica.

Il tema del ricambio generazione le sta particolarmente a cuore, ed è anche al centro di una sua intensa campagna di sensibilizzazione e di dialogo con le nuove generazioni: perché?

Il mio stesso cambio generazionale è stato intenso, quanto in qualsiasi altra azienda del territorio. Siamo italiani, siamo passionali, siamo legati alla famiglia e siamo fieri di ciò che abbiamo costruito. Quando ho iniziato a studiare per migliorarmi come imprenditrice ho scoperto immediatamente, ad esempio, la difficoltà della comunicazione, e quanto poco viene studiata in generale. Ci sono tantissime sfaccettature a riguardo, e ogni anno trovo qualche spunto nuovo di studio e approfondimento. Sono convinta che oltre ad una differente tipologia di comunicazione che varia a seconda della cultura e sulla propria personalità, ci sia anche un differente approccio comunicativo anche in base all’età. Le generazioni che hanno creato le nostre aziende hanno una modalità comunicativa diversa dalla nostra, come le generazioni più giovani si differenziano dalla mia. In famiglia ho tutte le tipologie comunicative possibili: mia suocera non parla e mantiene tutte le emozioni dentro sé; mio marito è molto simile a sua madre sta ancora lavorando molto per migliorarsi e parlare più apertamente delle proprie emozioni; mio suocero parla senza filtro alcuno, quello che gli viene in mente lo butta fuori; mia madre non ha nessuna diplomazia comunicativa e va dritta al punto, al suo obiettivo, senza pensare ai risvolti emotivi della controparte; mio padre è talmente delicato e ha paura di disturbare o offendere qualcuno che dice solo le cose davvero importanti; mio figlio, infine, ciò che decide fa, e quindi ti dice ciò che vuole senza mezzi termini… e ha solo 4 anni! Con una famiglia con così tanti stili comunicativi ed età differenti, sono sopravvissuta solo imparando ad adattarmi alla comunicazione dell’altro. E in azienda è lo stesso. Parlo spesso con amici che non riescono a gestire un cambio generazionale pacifico, e quando chiedo loro come comunicano in famiglia, in poco tempo realizzano che semplicemente non comunicano, e così ci sono tante aziende che vengono vendute a fondi di investimento o che implodono, solo per mancanza di comunicazione. Dal canto mio, cerco di condividere ciò che ho capito con gli altri, per evitare la sofferenza familiare ed aziendale che ne comporta, che crea seri problemi anche ai collaboratori che restano bloccati da queste dinamiche familiari. Quindi, spero che anche questa intervista possa aiutare e sostenere qualche azienda, e magari contribuire così, con una piccola cosa, a realizzare un mondo migliore.

La sostenibilità secondo Fimic

È un tema molto sentito da FIMIC, è parte della nostra missione aziendale, dal momento che contribuiamo al riciclo della plastica. Abbiamo creato il progetto AreyouR ormai 10 anni fa, abbiamo più di 90mila followers in tutta Europa su Facebook: è un progetto diretto a realizzare consapevolezza sul riciclo e ad evitare la demonizzazione della plastica tout-court, assolutamente inutile e deleteria per l’ambiente. La plastica non ha le gambe! Per noi però sostenibilità riguarda anche le nostre persone. Sosteniamo la maternità con il progetto Mater novissima (nei primi 3 anni di vita della madre paghiamo l’asilo nido al suo bambino, e ai padri diamo 25 ore libere di permessi retribuiti in azienda come tempo dedicato alla paternità e al sostegno della famiglia). Oltre a questo progetto, nel quale credo moltissimo, sosteniamo e realizziamo la formazione del personale sia per le soft che per le hard skills: abbiamo corsi di lingua straniera, coaching, assistenza psicologica, corsi dedicati per l’inserimento delle nuove risorse, corsi di mindfulness, corsi di intelligenza emotiva e molti altri. La crescita delle competenze dei nostri dipendenti è per noi strettamente legata alla crescita aziendale e alla nostra mission familiare: vogliamo delle persone serene in azienda, felici di venire al lavoro.

La tutela della reputazione secondo Fimic (e secondo lei)

In passato ho sofferto molto – nel nostro settore – per l’imitazione dei nostri macchinari, e non solo. Ci hanno copiato video aziendali, pubblicità, gadgets, i modelli delle offerte… Purtroppo la giustizia dal punto di vista legale è lunga e tende a prediligere il principio di libera concorrenza. Dimostrare che copiare è sleale è talmente complesso e comporta una spesa non solo economica, ma soprattutto di energie e tempo, che dopo molti anni di duro lavoro sto abbandonando le attività legali e spostando tutte le risorse in ricerca e sviluppo. Non posso controllare l’invidia e la slealtà degli altri, ma posso innovare e stare sempre un passo avanti rispetto agli altri, questo si. La concorrenza quindi è una spinta a migliorarsi ed è molto utile. In tutto questo, la reputazione ha certamente un ruolo centrale.

Lei è donna, giovane, CEO di un’azienda metalmeccanica: sfata molti stereotipi. Come vive la sua condizione professionale, e come la sua professione impatta sulla sua sfera personale?

È una sfida giornaliera che ho imparato ad accettare. Me la prendevo molto in passato, ma è stato molto utile affrontare stereotipi di genere, di età e pure di competenze, perché mi ha dato la spinta per dimostrare ciò che potevo fare, imparare sempre di più e fare meglio. Mi è successo anche di recente, la mia giovane età ha creato un bias agli occhi di un gruppo di persone che non mi ha trovato all’altezza di un compito a cui tenevo molto. Quando poi avrò 60 anni, forse sarò troppo vecchia per altri. Come dicevo, ci rido su, e semplicemente proseguo per la mia strada. Non posso piacere a tutti, questo è ovvio, ma sono molto grata del mio gruppo di persone, quelli con cui lavoro insieme, e con cui ho un rapporto amichevole, di fiducia e rispetto. Loro sanno che possono sempre contare su di me. Devo dire che non ho mai fatto una divisione netta fra sfera professionale e personale: ho un solo telefono e un solo computer. Dentro ci sta personale e professionale, e sono come sono sia in famiglia che sul lavoro. A lavoro sanno tutto di me, e in famiglia sanno tutto del lavoro, perché trovo che i segreti uccidano le relazioni. Comunque è stato difficile all’inizio esser donna giovane in un ambiente maschile, certo, ma è stato anche divertente e sfidante. Ad esempio mi scambiavano per la hostess durante le fiere, e mi chiedevano di parlare con un tecnico. Chiedevo 10 minuti del loro tempo per dimostrargli che potevo rispondere anche senza il tecnico: si mettevano a ridere, ma nessuno mi ha mai detto di no. E dopo 10 minuti nessuno mi chiedeva più del tecnico… Come ho detto, l’importante è come vedi tutto ciò che ti accade: come un problema, una sfortuna o una difficoltà, oppure come una opportunità da cogliere. Io ho sempre preferito pensare che fosse il secondo caso.

Che significato dà lei ai termini “autenticità” e “coerenza”?

Non sopporto la falsità e non sopporto l’incoerenza: minano la fiducia, il mio valore personale principale. Preferisco sentirmi dire in faccia cosa ho sbagliato, per potermi migliorare a livello personale ed aziendale. E penso che dai miei post di Linkedln si capisca che non sopporto le falsità, visto che cerco di smascherare il greenwashing e le fake news sulla plastica. Non è sempre facile esserlo, perché essere più “politica” (quindi meno sincera) in certi ambiti sarebbe utile, ma a lungo andare, il tempo dimostra sempre che ne vale la pena.

Il suo più grande successo in azienda, e in suo più grave errore…

Il mio più grande successo è anche il mio più grande errore: do sempre molta fiducia alle persone perché, sempre per coerenza, se dichiaro essere il mio valore principale, non potrei non darla al massimo a tutti, e nella maggior parte dei casi è molto ben riposta. Le persone in FIMIC crescono ed evolvono, sia dal punto di vista personale che professionale. Danno il massimo per il bene del gruppo, sono felici di venire a lavoro, si sentono parte di qualcosa di importante e sanno che sono tutti parte di un ingranaggio che si collega ad un altro per un fine comune. Ma non sempre la fiducia è stata riposta correttamente, in alcuni rari casi – in passato – ho sbagliato nella scelta di persone da inserire che hanno approfittato di una mia certa ingenuità emotiva. Succede di sbagliare, ma è parte della vita dell’imprenditore provare e ritentare. E in ogni caso questi errori hanno sempre lasciato spazio all’ingresso di una nuova persona meravigliosa in azienda.

Cosa cambierebbe nel vostro settore industriale?

Mi piacerebbe molto che ci fosse una lobby più forte in grado di misurarsi costruttivamente con l’Unione Europea e le direttive comunitarie, con una voce comune. Comprendo la volontà dell’UE di migliorare l’ambiente, ma al contrario, hanno demonizzato la plastica e imposto delle regole troppo severe sul riciclo e il riuso. Hanno permesso l’importazione di materiale riciclato extra europeo, non certificato ma più economico. Hanno permesso il crollo del costo della plastica vergine e hanno fatto collassare così l’acquisto del materiale riciclato. Comprano tutti materiale plastico vergine, perché costa meno! Siamo in sofferenza da 18 mesi ormai, un altro anno in questa situazione e molte aziende del settore non riusciranno a sopravvivere, causando un danno ambientale ulteriore. Serve un deciso cambio di passo.

FIMIC tra 10 anni… 

Quando ho iniziato in FIMIC avevo 25 anni e avevo creato una lista di sogni da poter raggiungere in 10 anni. C’era un figlio, una azienda strutturata, un elenco di paesi da “conquistare”, e molto altro. 10 anni dopo, l’avevo ultimata per davvero, e mi sono sentita svuotata: come se non potessi fare altro, perché avevo già raggiunto tutto! Questo è il motivo per il quale non faccio più liste così a lungo termine: per non risentirmi nuovamente “già arrivata”. Le faccio allora a 2-3 anni, ed è una lista aperta, dove poter aggiungere, e aggiungere ancora. In questo momento stiamo studiando nuovi prodotti, nuove collaborazioni e magari una acquisizione. Ciò che so per certo, è che voglio che tutti vivano FIMIC come una famiglia, un posto sereno da vivere insieme.

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