Avevano iniziato vendendo gomitoli, hanno finito per costruire un impero. Ma ora quella che fu una straordinaria avventura imprenditoriale rischia di tramutarsi in un calvario senza uscita.
I BENETTON E IL PONTE MORANDI
Di fronte a questa tragedia, è come se i Benetton avessero girato la testa altrove. Il colpevole ritardo nel far sentire la loro voce, il continuare a vivere come se niente fosse (compresa la sciagurata grigliata cortinese come da tradizione nel giorno di Ferragosto), il pensare che in ultima istanza fossero fatti che non riguardavano l’azionista il quale, avendo delegato in toto la gestione ai manager, si ritiene per questo esente da responsabilità. È stato come una rimozione del reale, una presa di distanze come se la vicenda del ponte Morandi fosse un brutto film che non li riguardava. Purtroppo per loro non può essere così. La distinzione tra proprietà e gestione è buona per i manuali di sano capitalismo, ma nei momenti come quelli di Genova è un alibi inammissibile dietro il quale coprirsi. Nei momenti come questi, ci devi mettere la faccia e non rifiutarti di guardare.
È stato come una rimozione del reale, una presa di distanze come se la vicenda del ponte Morandi fosse un film
I LIMITI GESTIONALI DEI BENETTON
Nella immane tragedia di Genova, questi limiti si sono palesati in tutta la loro drammatica evidenza. Raccontano che in queste ore una tragica consapevolezza si sta facendo largo tra i rappresentanti della numerosa dinastia, e che qualcuno arriva esplicitamente a evocare il rischio di poter passare alla storia come “gli assassini del ponte”, non come gli abili imprenditori che sono stati. Se fossi a Ponzano, una sola cosa direi a Luciano e Gilberto: metteteci la faccia, mostratevi, piangete come sta facendo tutto il Paese per quelle vittime, dite che nessuna compensazione basterà a lenire il dolore dei sopravvissuti. Poi, se ne avrete la forza, pur sapendo che dal 14 agosto il mondo vi è ostile, ricominciate.