Philip Morris ha creato una Fondazione, la Foundation for a Smoke-Free World, a capo della quale ha messo quello che era il nemico pubblico numero uno del tabacco, Derek Yach dell’Oms, per favorire la propria attività di lobbyng, influenzare i ricercatori e soprattutto promuovere l’alternativa alla sigaretta tradizionale, la Iqos. A raccontare la “guerra segreta di Philip Morris contro l’Organizzazione della sanità” è l’inchiesta firmata da Stéphane Horel per Le Monde realizzata insieme a Ties Keyzer, Tim Luimes ed Eva Schram di “The Investigative Desk” (Paesi Bassi) e con la collaborazione di “Follow the Money” (Paesi Bassi) e “Knack” (Belgio).
Derek cambia vita
Nel lungo racconto pubblicato dal quotidiano francese un ruolo centrale lo gioca Derek Yach medico sudafricano, esperto di salute pubblica di fama mondiale che ha guidato per anni la Tobacco Free Initiative dell’Oms. Considerato una “rockstar nel controllo al tabacco” è stato uno dei principali artefici di uno storico trattato internazionale che blocca l’accesso della lobby del tabacco ai decisori pubblici, Oms in testa. Nel 2017 però la vita e il ruolo di Derek Yach cambiano radicalmente: come ricostruisce Le Monde, dopo aver avuto modo di incontrare l’amministratore delegato di Philip Morris André Calantzopoulos Derek Yach annuncia a settembre la creazione della Foundation for a Smoke-Free World, di cui ha accettato di assumere la presidenza. Completamente finanziata da Philip Morris per un importo di 80 milioni di dollari l’anno (67,22 milioni di euro) per dodici anni, ovvero quasi 1 miliardo di dollari (840 milioni di euro), la fondazione mira a “porre fine al fumo in una generazione”. La dotazione economica è, scrive la Horel, in gran parte destinata a finanziare la “ricerca indipendente”.
Una valanga di proteste accoglie la nascita della fondazione. “Corruzione da 1 miliardo di dollari“, lamenta l’Unione internazionale contro la tubercolosi e le malattie polmonari, una storica organizzazione scientifica. La prestigiosa American Cancer Society mette in guardia dalla tentazione “immorale” di prendere i soldi facili della fondazione, “guadagnati con la principale causa di morte prevenibile nel mondo”. Più di 400 organizzazioni di sanità pubblica, università, istituti di ricerca e riviste scientifiche hanno da allora annunciato di aver rifiutato tutte le sovvenzioni della fondazione, che i presidi delle principali scuole di sanità pubblica del Nord America considerano “finanziamento dell’industria”.
La difesa: “Philip Morris non incide sulla Fondazione”
Le parole più dure vengono proprio dall’Oms dove Yach aveva costruito la sua carriera. Qualsiasi collaborazione con la fondazione, afferma il segretariato della Convenzione quadro per il controllo del tabacco, “costituirebbe una palese violazione dell’articolo 5.3” che stabilisce come “Funzionari della sanità pubblica e difensori della salute concordano sul fatto che l’industria del tabacco non debba avere voce in capitolo per quanto concerne la definizione delle politiche per la salute”.
In base a quell’articolo è difficile per le compagnie del tabacco fare pressioni se vengono bandite dal tavolo di discussione. La Convenzione quadro è stata firmata da 182 paesi, quasi l’intero pianeta.
Ma l’Oms riserva parole molto dure anche per Derek Yach. Tramite posta elettronica, infatti sollecita il suo ex direttore esecutivo a rimuovere dal sito web della fondazione ogni menzione del suo precedente ruolo.
Sentito da Le Monde, Derek Yach “assicura che lo statuto della fondazione, la sua organizzazione no-profit e le regole per l’assegnazione delle sovvenzioni vietano a Philip Morris di partecipare alla sua governance, decisioni, strategie o attività”. Sarà proprio così?
Chi è stato finanziato
L’inchiesta condotta da Le Monde e The Investigative Desk sulla base di documenti interni, moduli fiscali, procedimenti giudiziari e analisi dei ricercatori delle università di Bath (Regno Unito) e California (Stati Uniti) dimostra per la prima volta che la fondazione serve soprattutto gli interessi dell’azienda.
Nel mese di maggio 2019 è cessata la pubblicazione on line dei verbali delle riunioni del consiglio della Fondazione for a Smoke-Free World. “L’identità dei membri del suo consiglio scientifico, sciolto in data ignota, non è mai stata resa nota“, precisa Le Monde. Per quanto riguarda i 40 milioni di euro di contributi concessi dalla fondazione in più di tre anni di esistenza e i 96 milioni promessi, non solo gli importi e i nomi dei beneficiari non sono pubblici, ma i criteri di aggiudicazione sono sconosciuti.
In totale, circa 100 entità in tutto il mondo hanno ricevuto finanziamenti. Il gruppo di ricerca sul controllo del tabacco dell’Università di Bath ha estratto i dati dalle dichiarazioni della fondazione alle autorità fiscali statunitensi. Scrive la Horel: “La sua analisi sul sito web di riferimento di Tobacco Tactics mostra che i beneficiari più dotati sono tre ricercatori incaricati di creare ‘centri di eccellenza’ attorno alla questione della riduzione del danno. Negli Stati Uniti quello guidato da Jed Rose, inventore del cerotto alla nicotina, ha ricevuto 4 milioni di euro. Il Centro neozelandese di Marewa Glover sulla ‘sovranità degli indigeni e il fumo’ ha ricevuto poco più di 6 milioni di dollari per promuovere la riduzione del danno tra le popolazioni indigene”.
Poi c’è l’Università di Catania e in particolar modo il “Centro di eccellenza per l’accelerazione della riduzione dei rischi, che ha ricevuto 6,8 milioni di euro dalla Fondazione, che si è impegnata a versarle ulteriori 18 milioni, secondo i documenti fiscali del 2019″. Nel 2017, poi Philip Morris, prosegue l’inchiesta de Le Monde “ha affidato a Riccardo Polosa quasi 1 milione di euro per valutare la sigaretta elettronica e Iqos”. Il professor Polosa, è personaggio noto nel mondo del tabacco. Scrive di lui TobaccoTactics: “È un sostenitore della riduzione del danno da tabacco ed è stato descritto come uno degli autori accademici ‘più prolifici’ nel settore delle sigarette elettroniche. Ha fatto pressioni sui governi a favore di una regolamentazione meno restrittiva per i prodotti a rischio potenzialmente ridotto e ha una storica collaborazione con le aziende del tabacco”.
“Siamo indipendenti dal nostro finanziatore. Questa non è un’affermazione, è un fatto legale, etico e non negoziabile “, ha tuttavia assicurato Derek Yach sulla rivista The Lancet nel 2019.
Gli interessi sul tabacco high-tech
Facciamo una pausa e cerchiamo di capire cosa succede sul mercato e quali sono le strategie di Big Tobacco. In una decina d’anni, le vendite complessive di sigarette sono diminuite del 20% nei paesi ad alto reddito, il loro mercato principale. Quindi, senza rinunciare alla propria attività, le principali aziende hanno investito nella nicotina high-tech, sigarette elettroniche e sistemi a tabacco riscaldato come l’Iqos.
Il business delle sigarette elettroniche, apparso nel 2009, è dominato, scrive ancora Le Monde, dalle aziende del tabacco che hanno gradualmente acquisito piccoli produttori. La casa madre di Philip Morris Usa, Altria, ha così acquisito il 35% di Juul Labs, leader negli Stati Uniti, “che le autorità americane accusano di aver creato una “epidemia” di vaping tra i giovani attraverso un marketing aggressivo”. Dal 2014 il produttore di Marlboro si è affidato principalmente al suo Iqos, un dispositivo che utilizza la tecnologia heat not burn: riscaldati senza arrivare alla combustione, Heets, mini sigarette di tabacco, emettono tra il 90% e il 95% di componenti nocivi in meno rispetto al fumo di sigaretta, assicura Philip Morris con i propri studi. Le vendite del dispositivo generano quasi 6 miliardi di euro all’anno, ovvero quasi un quarto del fatturato della multinazionale.
La posizione dell’Oms sulle “alternative” alla sigarette tradizionali è molto netta: “Ci sono ancora molte domande senza risposta sulle alternative al fumo. Ma la ricerca necessaria per rispondere non dovrebbe essere finanziata dalle compagnie del tabacco“. Tuttavia la Convenzione quadro dell’Organizzazione mondiale della sanità è contraria ai prodotti del tabacco elettronici. Dunque, prosegue l’inchiesta di Le Monde “anche se la Fda negli Usa ha concesso lo status di ‘tabacco a rischio modificato‘ nel 2020, Iqos deve essere monitorato. Quanto all’Oms, che dà l’indirizzo al resto del mondo, disapprova l’uso di prodotti alternativi”.
Dividere i ricercatori
Per far passare la linea del “rischio ridotto” e della “riduzione del danno”, Big Tobacco ha intrapreso in questi anni varie strategie: innanzitutto ha amplificato le posizioni dei sostenitori della “riduzione del danno” contro quella dei proibizionisti cercando di far passare “il concetto di riduzione del danno come legittima politica pubblica nella regolamentazione del tabacco”.
Inoltre, spiega ancora Le Monde, si è cercato di “stabilire la legittimità dei produttori di tabacco a partecipare al dibattito normativo sui ‘prodotti a rischio ridotto’”. L’obiettivo dichiarato? Cancellare l’articolo 5.3 della Convenzione. Ruth Malone, ricercatore accreditato del settore, ha spiegato a Le Monde: “Accedere alla Convenzione quadro e sbarazzarsi dell’articolo 5.3 che ostacola la loro capacità di influenzare i decisori politici: questo è il vero obiettivo di Philip Morris“.
Nel maggio 2020 ci pensa ancora una volta Derek Yach a dare il suo contributo: “descrive la Convenzione quadro come ‘congelata nel tempo’ e bisognosa di ‘modernizzazione‘. ‘Essendo diventato un ostacolo al cambiamento‘, l’articolo 5.3 ‘perpetua lo status quo’, e i governi – insiste – ‘devono impegnarsi in un dialogo sostenuto con le compagnie del tabacco per accelerare la loro trasformazione’”.
L’accusa dell’ex capo della comunicazione
L’accusa più imbarazzante di “connivenza” tra la Fondazione e la multinazionale viene dall’interno. Scrive Le Monde: “In un contenzioso per licenziamento ingiusto, l’ex direttore dei media digitali e social della Fondazione accusa l’organizzazione di ‘riferire a Philip Morris e Altria’, società madre di Philip Morris USA. La Fondazione, afferma Lourdes Liz nella sua denuncia, datata gennaio 2021, ‘dirotta il suo status di organizzazione no-profit esentasse per agire come organizzazione di facciata per l’industria del tabacco e promuovere un messaggio a favore dello svapo tra i giovani e gli adolescenti, dannoso per la salute pubblica’”.
“Durante l’estate del 2018 – prosegue – Derek Yach ha incontrato rappresentanti di Altria e ha voluto inserire elementi del linguaggio dell’azienda nella comunicazione della Fondazione. Pochi mesi dopo la partenza del dipendente, a settembre 2020, l’accordo è stato aggiornato e si è aggiunta una frase: ora la fondazione è libera di ‘scambiare informazioni o interagire con terzi’… Come Altria o Philip Morris”, aggiunge maliziosamente la giornalista del quotidiano parigino.
Il piano Sunrise: “Rompere il fronte dei ricercatori”
A giugno 2020 l’autorevole rivista scientifica American Journal of Public Health pubblica un numero speciale sulle sigarette elettroniche. Il movimento antifumo scopre con stupore un articolo a difesa degli aromi degli e-liquidi firmato da Derek Yach, Patricia Kovacevic, ex dipendente di Philip Morris, e Brian Erkkila, vicepresidente della fondazione responsabile salute, scienza e tecnologia (che diventerà – scrive Le Monde – direttore degli affari normativi presso Swedish Match, un produttore di tabacco svedese, nel marzo 2021). Mentre i direttori in capo della rivista si sono giustificati sostenendo che “le imprese e i loro interessi hanno voce in capitolo nel processo di regolamentazione”, dozzine di scienziati hanno protestato contro il “pericoloso precedente” rappresentato da questa “legittimazione” dell’industria del tabacco in una rivista dedicata alla promozione della salute pubblica.
Ma la causa viene portata avanti da molti anni e l’articolo sull’American Journal of Public Health è solo l’ultimo tassello di una strategia decennale. Documenti interni analizzati da Ruth Malone “descrivono un piano che Philip Morris stava promuovendo nel 1995 per ‘dividere e conquistare meglio’: il progetto Sunrise. Per rompere l’unità all’interno del movimento anti-tabacco ‘sfruttando le differenze di opinione’ tra moderati e ‘proibizionisti’, l’azienda ha quindi progettato di ‘creare una scissione tra i diversi gruppi anti-tabacco’ e ‘promuovere un dibattito che divide gli antiproibizionisti’”.
Più di vent’anni dopo Philip Morris è riuscita nell’intento: le divisioni all’interno del movimento antifumo sono evidenti e sul tema dei nuovi prodotti i sostenitori della riduzione del rischio hanno superato i “proibizionisti”.