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La trascrizione integrale del discorso tenuto da Luca Poma il 02/12/2011 al convegno “L’INFORMAZIONE, L’UNIVERSO E LA VITA”, Milano, Università IULM
SLIDE INIZIALE:
“Se la bellezza della terra dovesse venir distrutta dall’aumento illimitato della ricchezza, allora io spero sinceramente per amore dei posteri che essa sarà contenta di rimanere stazionaria, molto tempo prima di esservi costretta dalla necessità”
 
Chi ha scritto questa frase? Un moderno imprenditore illuminato? La domanda non è retorica: se qualcuno conosce la risposta può rispondere…
John Stuart Mill, “Principi di economia politica”, siamo metà ‘800, Cassandra inascoltata dagli esperti di Wall Street, direi… La lasciamo li come monito, per l’intera durata del mio intervento.
Comunque, inizia così, con questa frase di Mill, l’ultimo provocatorio saggio di Serge Latouche, “Breve trattato sulla decrescita serena”. Ovvio che il pianeta non potrà mai “decrescere”, forse il lavoro di Latouche ha un approccio troppo utopistico, ma ciò che è sicuramente vero è che è arrivato il momento di interrogarci su come crescere con maggiore equilibrio, e questa priorità non è più rinviabile. Comunque, inascoltato Latouche, e inascoltati nel nostro piccolo anche noi, tanto che siamo tutti impegnati proprio in questi mesi – nessuna nazione esclusa – a raccogliere i cocci di anni disastrosi dal punto di vista economico-finanziario.
Il punto è che fino a poco prima di questa grande crisi internazionale ci lanciava l’allarme finiva inascoltato, come se predicasse dei principi astratti: ora invece si sta facendo largo a tutti i livelli la consapevolezza che il paradigma dell’ottimizzazione massima del guadagno a breve termine era un principio buono e profittevole solo per  coloro che ne godevano tutti i vantaggi. Noi, che nutrivamo dei dubbi, passando ancora per ignoranti e non “a la page”, inadeguati a cogliere i frutti del bengodi borsistico – siamo infine rimasti con il cerino in mano.
Cosa ci racconta il Professore di scienze economiche dell’Università di Paris-Sud? Che siamo tutti a bordo di un bolide senza pilota, lanciato in corsa, e i cui freni sono stati disattivati da noi stessi, che sta andando dritto dritto a fracassarsi contro i limiti del pianeta, e anche che siamo perfettamente al corrente della situazione, ma la sottovalutiamo per convenienza, perché ammettere questo tipo di consapevolezza turberebbe assai i nostri sonni di occidentali opulenti.
Sembrava impossibile ignorare le raccomandazioni del Club di Roma, che già negli anni ’70 scriveva che il proseguimento indefinito della crescita è incompatibile con i ‘fondamentali’ del pianeta. Ma noi – finchè siamo sicuri del nostro pasto di stasera – facciamo orecchie da mercante…
Dire che una crescita dopata ed infinita del sistema Terra è del tutto incompatibile con l’esistenza di un mondo “finito” nei suoi confini e nella sua capacità di produrre risorse, è cosa talmente ovvia da non poter che raccogliere consensi. Meno accettabile dai più, è tirarsi su maniche, connettere i cervelli, ed incominciare a discutere di “cosa tagliare”, iniziando magari da un ridimensionamento del nostro stile di vita.
Siamo tutti parte – aziende ed individui – di una rete neurale complessa, che è la nostra società, e con essa volente o nolente interagiamo quotidianamente: da questa rinnovata consapevolezza deve nascere l’impulso ad un differente paradigma di crescita del pianeta.
Facendo la media ponderata delle affermazioni, intenzioni, progettualità e proclami di tutti, e distillando il meglio da ognuno, è certamente possibile stabilire una “agenda” collettiva, e prima ancora personale, per tentare di invertire la rotta.
Che ruolo hanno la comunicazione e l’informazione in tutto ciò? Più che di comunicazione e informazione mi piace però parlare di “condivisione di informazioni”, di “veicolazione di saperi”, di “co-management”, che puoi vuol dire costruire conoscenza assieme.
Sviluppiamo questi concetti apparentemente “astratti” con qualche esempio:
Alessandro Pizzoccaro, imprenditore di successo nel settore farmaceutico, parlerà più tardi della sua esperienza alla guida di un’azienda nata in un magazzino e ora presente in 30 paesi del mondo – primo al mondo – decide di rinunciare i suoi brevetti ed al copyright sulle ricerche scientifiche e sulle produzioni editoriali, mettendo le conoscenze dei propri laboratori di ricerca a disposizione della collettività, dà certamente un segnale.
Una seconda case-history che ritengo pertinente quando parliamo di rapporto tra informazione nel III millennio e reti sociali, è quella dei politici italiani. La politica è l’Agorà con la A maiuscola, dovrebbe essere la massima espressione “social” di un paese, dal momento che determina e condiziona non solo lo stato di salute dell’ambiente nel quale viviamo, ma anche le modalità stesse con le quali ci interconnettiamo l’uno con l’altro, e un gruppo con un altro gruppo, e una zona geografica con l’altra, e determina anche il “clima” con il quale ci relazioniamo (di paura, diffidenza, timore per il futuro, o al contrario di speranza, di voglia di costruire nuovo futuro, guardate che differenza al riguardo tra gli anni ’60 e i primi 10 anni del 2000). Ebbene, la politica, o meglio, la classe politica: che rapporto c’è tra questo gruppo sociale di vertice e il mondo dell’informazione, segnatamente quella digitale?
Il passato governo Berlusconi era libertario nel DNA (figuriamoci gli altri allora…). Al di la della battuta, il partito si chiamava Popolo della Libertà: ebbene, il nome è uno dei fattori che definisce il DNA di un oggetto. Comunque, in controtendenza rispetto agli esecutivi di tutto il resto del mondo tranne i paesi a regime totalitarista come la l’Iran, Cina, la Corea e la Birmania, quel Governo dichiarò di avere in programma una nuova stretta su Internet: tra emendamenti inseriti nel pacchetto sicurezza, articoli del Disegno di Legge sulle intercettazioni telefoniche e clausole restrittive contro il Wi-Fi ed il livestreaming, sono stati ben sette i tentativi di quel Governo – per fortuna non andati a buon fine – di censurare o bloccare la Rete.
Tradizionalmente, si cerca di controllare ossessivamente ciò che non si conosce, e quello che vi sto raccontando ne è l’esatta conferma. Quando Berlusconi venne aggredito in piazza Duomo la notizia volò sui social network, anche con apprezzamenti di pessimo gusto per l’aggressore (figli del livello di sopportazione ormai ai minimi termini per l’ex Premier, ma comunque ingiustificabili).  Ecco però alcune chicche, dichiarazioni rilasciate dai nostri politici:
–                       “Facebook è più pericoloso dei gruppi eversivi degli anni ‘70” (Renato Schifani, Presidente del Senato)
–                       “Facebook andrebbe chiuso, è un luogo di paranoia e violenza” (Emilio Fede, iscritto all’Ordine dei Giornalisti e portavoce informale del Governo)
–                       “L’aggressore del Presidente Berlusconi è vicino ad ambienti del social network” (Bruno Vespa, iscritto all’Ordine dei Giornalisti, collaboratore RAI e intrattenitore televisivo)
–                       “Ormai i social network sono armi in mano a pochi delinquenti che sfruttando l’anonimato incitano alla violenza, all’odio sociale ed alla sovversione” (Gabriella Carlucci, ex show-girl televisiva delle reti Mediaset ed oggi Parlamentare del Popolo della Libertà)
–                       “Internet è un’ambaradan, un luogo di confusione e di disordine” (Pierluigi Bersani, Segretario del Partito Democratico, come vedete l’idiozia è bipartisan e ce n’è per tutti)
Penso che queste affermazioni non meritino commenti.
La libertà comporta sempre dei rischi: permettere ai cittadini di circolare liberamente di notte senza controllo darà modo a qualche fanatico squilibrato di scrivere a caratteri cubitali sui muri frasi pedo-pornografiche, offensive, diffamanti e volgari. Ma si arresta il maniaco o si abbattono tutti i muri della città?
La “guerra al contenitore” è un vecchio vizio sia fascista che comunista: rassicura la coscienza del borghese medio sapere che la gente malintenzionata non ha più – apparentemente – un luogo dove ritrovarsi a tramare. Peccato che oscurare tutti i siti Internet sospetti in Italia nulla impedirà a chi lo desidera di attivare un dominio all’estero per il proprio “blog sovversivo”, e – premesso che i filtri automatici sul web sono inefficaci su larga scala ed hanno dimostrato tutti i propri limiti – lo scenario cinese, che prevede oltre 40.000 esperti impegnati giorno e notte a setacciare il web è semplicemente folle, nonché economicamente insostenibile
E mai possibile che l’Italia sia uno dei pochi paesi del mondo occidentale nel quale stentano moltissimo a decollare autostrade superveloci per la Rete, nel quale il Wi-fi è raro e quando esiste è a pagamento, contrariamente a quanto accade ovunque nel mondo occidentale, nel quale non esiste un piano nazionale per la banda larga, e dove la tensione ideale della classe politica in tema di libertà d’informazione è indirizzata verso il “fermare” invece che verso il “facilitare”?
Come per l’Iran e gli altri paesi citati all’inizio di questo articolo, Internet forse fa paura, perché la verità rende liberi ed Internet a differenza della televisione – con tutte le pecche che ha il web – è un luogo di libertà, dove la verità prima o poi emerge sempre.
Questo ci porta dritti alla terza case-history. L’australiano 39enne Julian Assange è fondatore del sito rivelatore di dossier segreti “Wikileaks”, arrestato con fumose accuse di stupro, poi ridimensionate in “rapporto sessuale non protetto”. Stretto d’assedio dai Governi di tutto il mondo, ma ancora on-line, come tutti sappiamo il sito aveva come missione quella di selezionare e diffondere dossier “top secret” piuttosto imbarazzanti per le cancellerie di mezzo mondo: 77.000 documenti segreti sulla guerra in Afghanistan, 400.000 documenti sull’Iraq – alcuni dei quali accusano militari USA di aver chiuso gli occhi di fronte a torture e abusi nei confronti di civili compiute da militari iracheni – e centinaia di migliaia di documenti secretati a firma delle più importanti diplomazie occidentali.
Al di là della cronaca, quello che è già stato definito “il dossier web del decennio” chiama a mio avviso in causa ognuno di noi su keywords quali “libertà di informazione”, reti sociali, condivisione trasparente di conoscenza”.
Diversi intellettuali noti in tutto il mondo, tra cui l’americano Noam Chomsky, hanno firmato una lettera aperta al premier Australiano Julia Gillard, perche’ garantisca “un sostegno forte” ad Assange. Anche i Verdi italiani hanno lanciato una petizione per supportare il sito “libertario” per definizione.
Il fenomeno Wikileaks è solo la punta dell’iceberg di ciò che sta succedendo al mondo della comunicazione nell’era digitale. Migliaia di nuovi soggetti, associazioni, movimenti e singoli cittadini oggi trovano nella rete la possibilità di esprimersi in maniera diretta, democratica e senza filtri, accedendo direttamente a documenti e risorse in una maniera che non ha precedenti nella storia.
Assange ha saputo sollecitare – anche ruffianamente, se vogliamo – la “netiquette” più consolidata, la sensibilità del popolo del web con riguardo a valori come la trasparenza, la libertà di informazione, il diritto dell’utente a conoscere la verità, e con questa strategia di comunicazione non convenzionale Wikileaks è uscita vincente sul web ancora prima di iniziare la battaglia.
Tentiamo però un’analisi più “alta”, in fondo siamo in un’Università.
La teoria dei segnali – che in parte è alla base della teoria dell’informazione – studia appunto le proprietà matematiche e statistiche dei segnali intesi come variazioni per un certo tempo dello stato fisico di un sistema o di una particolare grandezza fisica, come è ad esempio una variazione dei parametri di campo elettromagnetico per i segnali radio. Tali variazioni consentono di rappresentare e trasmettere messaggi, in altre parole di trasferire informazione a distanza. In natura abbiamo diversi tipi di segnali, ma sono tutti accomunati dall’essere in larga misura “casuali”, mentre la teoria dei segnali ne studia la rappresentazione al fine di poterli poi manipolare in modo artificiale, ad uso e consumo dell’uomo, trattandoli anche matematicamente.
Dal momento che il sistema oggetto d’attenzione di questa teoria può essere il più disparato, inclusa ad esempio una Rete Sociale, in un mio saggio del 2010 mi chiedevo perché non applicare questo tipo di teorie anche al campo della comunicazione convenzionale e non convenzionale e alle relazioni tra persone e tra gruppi. “Incertezza” e “informazione” sono due facce della stessa medaglia: senza incertezza non c’è informazione che valga qualcosa, perchè quanta più incertezza c’è nel segnale, tanto più “informativo” è rivelare qual è la reale tendenza del segnale stesso.
Come noto, l’entropia è originariamente un concetto proprio della teoria termodinamica: il termine tedesco Entropie deriva dal greco “dentro”, “cambiamento”, “rivolgimento”: indica quindi “dove va a finire” l’energia fornita a un certo sistema, con riguardo al legame tra movimento interno al corpo ed energia interna o calore.
Questo concetto, oltre che in ambito termodinamico, è stato applicato anche nella teoria dell’informazione, che misura la quantità di “incertezza” presente in un impulso o in un segnale, ed è esattamente l’accezione che voglio prendere in esame.
L’entropia così intesa può essere descritta come il “minimo livello di complessità” di una certa variabile o di uno scenario: in poche parole, potremmo dire che l’entropia è “la misura del caos” (banalizzando, più entropia è uguale a più caos).
Per meglio comprendere il concetto di entropia applicata alla teoria dell’informazione, consideriamo per semplificare un sistema fisico in date condizioni di temperatura, pressione e volume, e stabiliamone il valore dell’entropia, ovvero il grado di “disordine” relativo e quindi l’ammontare delle informazioni a noi disponibili. Supponiamo ora – lasciando invariati gli altri parametri fisici – di abbassare la temperatura del sistema: osserveremo che la sua entropia diminuisce, poiché con il diminuire della temperatura si rallenta il movimento delle molecole, e quindi – come diretta conseguenza – il grado di “ordine” del sistema aumenta.
Si tratta di un ordine statico, che corrisponde alla mancanza di movimento e di lavoro all’interno del sistema stesso: diminuendo l’entropia, diminuisce il caos, quindi aumenta l’ordine, e aumentando l’ordine invariabilmente aumenterà la quantità di informazioni disponibili sul sistema, perché esso risulterà “leggibile” con più facilità e ci trasmetterà maggiori certezze rispetto ad un sistema con un’entropia superiore, ovvero con un livello di caos maggiore e quindi con un più alto numero di variabili ipotizzabili. Per proseguire con il nostro esempio, ad una temperatura prossima allo zero assoluto, tutte le molecole saranno quasi ferme: l’entropia tenderà al minimo, l’ordine sarà il massimo possibile, e con esso si avrà la massima certezza d’informazione.
Al contrario, alte temperature aumentano la “frenesia” all’interno del sistema, moltiplicano il numero di variabili possibili, e fanno quindi crescere esponenzialmente l’incertezza relativa dell’informazione, facendo tendere il sistema verso uno stato virtuale di “informazione zero”. Possiamo dire che per un comunicatore un numero di variabili eccessive rende di difficile interpretazione uno scenario: troppe informazioni sono eguali a nessuna informazione.
In ogni caso, questo genere di riflessioni sono state già fatte proprie dalle scienze sociali, e guarda caso nell’ambito dell’economia applicata alla responsabilità sociale d’impresa: Nicholas Georgescu-Roegen, applicando il secondo principio della termodinamica all’economia, e in particolare all’economia della produzione, ha elaborato una teoria economica che mette in discussione i “fondamentali” della decrescita: ogni processo produttivo non diminuisce l’entropia del pianeta, ma o la incrementa irreversibilmente o perlomeno la lascia uguale, ovvero: tanta più energia si trasforma in uno stato “indisponibile”, tanta più energia sarà sottratta alle generazioni future, e quindi tanta più entropia (disordine proporzionale) sarà riversato sull’ambiente che ci circonda.
E’ interessante in definitiva notare come discipline totalmente differenti – come ad esempio la termodinamica, l’informazione, la comunicazione, l’economia – abbiano molti più punti di contatto di quanto apparentemente si potrebbe sospettare…
L’ipotesi di ricerca che più mi stimola, per venire al dunque, è quella che prevede che – se è vero che siamo tutti, individui ed aziende, parte di una rete sociale articolata, come ipotizzavo nel mio saggio “Reti Neurali complesse” – il livello di sanità mentale e di benessere di un gruppo umano non può prescindere dal grado di sanità mentale e di benessere del singolo, ed esso è a sua volta in strettissima correlazione con la sua capacità di immaginare scenari futuri.
Come ci ricorda Anna Oliverio Ferraris, ricercatrice di grande esperienza, docente alla Sapienza di Roma e autrice – tra le sue numerose pubblicazioni – del bel manuale “Le età della mente”, sono editi a profusione studi sugli aspetti negativi e patologici dell’umore – depressioni, disturbi bipolari, psicosi, eccetera – mentre sono rarissimi quelli sugli stati “positivi”: tutta la tradizionale ricerca psicobiologica ruota intorno all’infelicità umana, mentre il tema della felicità e dei meccanismi che la generano – sia essa la felicità di un singolo che di un’intera comunità – sono da sempre sorprendentemente trascurati.
Emilia Costa, Professore emerito di Psichiatria della Sapienza di Roma e ricercatrice di fama in Italia e nel mondo, nel suo saggio “Il cervello e la mente: dal neurone al comportamento”, conferma che il sistema nervoso esprime in termini somatici la nostra condizione psico-emotiva, garantendo un “controllo sulla risposta allo stimolo”, mediante un feedback basato sul rilascio e sul metabolismo di ormoni, neurotrasmettitori, endorfine ed altri mediatori chimici. Un ambiente ricco di stimolazioni positive quindi fa aumentare lo spessore corticale delle cellule, migliora l’attività modulatrice degli impulsi nervosi e conseguentemente le prestazioni comportamentali dell’individuo e la sua capacità di relazionarsi positivamente con gli altri.
In realtà, le più recenti ricerche paiono dimostrarci che la genetica, le dinamiche neurochimiche e cerebrali e l’ambiente, sono variabili molto più strettamente interdipendenti di quanto fino a non troppo tempo fa si era ipotizzato. La psicobiologia ha dimostrato che alcune aree del sistema nervoso centrale esercitano un ruolo importante sugli stati umorali dell’individuo, che valuta la situazione in cui si trova, i messaggi provenienti dall’ambiente e le aspettative derivanti dai rapporti sociali e professionali, definendo poi ogni scenario in termini positivi o negativi, e reagendo con un differente grado di apprensione o di capacità di rispondere allo stress a seconda di una molteplicità di fattori, tra i quali spiccano certamente il temperamento, i fattori cognitivi e l’interpretazione della realtà.
Potremmo allora discutere della “suprema rete neurale”, la rete complessa che a livello planetario pone in relazione ognuno di noi con l’altro, ogni istituzione con un’altra istituzione, ogni azienda con le altre aziende, e tutti questi elementi organicamente tra loro.
Francois Michelin – l’uomo che portò la sua fabbrica di pneumatici ad essere leader mondiale assoluta nel proprio settore – in una bella intervista rilasciata anni fa ad un periodico italiano affermò convinto che “tagliare pietre” e “costruire cattedrali”, ancorché atti fattualmente simili, sono invece azioni ben diverse. Per questo quando parlo di impegno etico delle persone, delle aziende e delle istituzioni, dico che non si tratta di diventare “ecologicamente sostenibili” per ragioni di marketing e di immagine, ma parlo di “Human Social Responsibility”: si tratta di prendersi cura del tipo di pianeta che lasceremo ai nostri figli, mettendo L’UOMO al centro di ogni processo.
In definitiva, “sintonizzarci” meglio, più armonicamente, più efficacemente con questa rete neurale non potrà che migliorare il grado di benessere e sanità mentale nostro, del nostro gruppo, della comunità alla quale apparteniamo, e quindi – come pezzi di un grande puzzle – del pianeta intero.
Allora, facciamo un favore a noi stessi e al gruppo sociale al quali apparteniamo, quali che siano: apriamo la nostra mente, rimuoviamo barriere, condividiamo informazioni, veicoliamo conoscenza. Smettiamola di “FERMARE”, “facciamo scorrere”…
Costruiamo futuro. Tutti assieme. Grazie.
Breve bibliografia scientifica (in ordine per cognome):
– Bonazzi R., Catena R., Collina S., Formica L., Munna A., Tesini D., Telecomunicazioni per l’ingegneria gestionale. Codifica di sorgente. Mezzi di trasmissione e collegamenti – Pitagora Editrice, 2004, ISBN 88-371-1561-X;
– Chen X., Brent F., McKinnon B., Seker A., A Theory of Uncheatable Program Plagiarism Detection and Its Practical Implementation – 2002-05-05;
– Clausius R., Abhandlungen über die mechanische Wärmetheorie, 1864;
– E. Costa, “Il cervello e la mente: dal neurone al comportamento” – in “La Formazione in Psichiatria e Psicologia Clinica”, di Emilia Costa e Maria Di Giusto – CIC Edizioni Internazionali, Roma 2004;
– E. Costa et al., “Dallo stress psicosociale alla malattia” – Psiche Donna – Vol. 4, n. 3, CIC Edizioni Internazionali, Roma 2003;
– E. Costa, “La comunicazione efficace, ovvero il contrario del Brain Washing”– CIC Ed. Internazionali, Roma 2001;
– Cover T. M., J. A. Thomas, Elements of Information Theory – Wiley, 1991;
– Davidson R. J. et al, “Approach-withdrawall and Cerebral asymmetry: emotional expression and brain physiology”, in “Journal of Personality and Social Psychology” – 58(2), 1990, pag. 330-341;
– De Beauregard O., Irreversibilità, entropia, informazione: il secondo principio della scienza del tempo – Di Renzo Editore, 1994 
• Fano R. M., Transmission of information; a statistical theory of communications. – M.I.T. Press, 1961;
– Diener E., “Subjective well-being: the science of happiness and a proposal for a national Index”, in “American Psycologist” – 55, 2000, pag. 34-43;
– M.G. Malvestito, E. Costa, “Le politiche economico–aziendali di prevenzione e di contrasto” – in Prevenire il Mobbing – Giappichelli, Torino 2005;
– L. Mecacci, “Industria e psicologia: Adriano Olivetti” – in Psicologia contemporanea, edita da Giunti, Milano Nov. Dic. 2010 n° 222;
– F. Michelin, “La cattedrale di Michelin”, intervista pubblicata sul periodico Avvenire in data 23/04/2008 pag. 31, e ripubblicata sulla newsletter del sito creatoridifuturo.it e lucapoma.info in data 23/02/09;
– C. Musatti et al., “Psicologi in fabbrica: la psicologia del lavoro negli stabilmenti Olivetti” – Einaudi, Torino 1980;
– A. Oliverio Ferraris, “Le età della mente” – Edizioni BUR, Milano 2004;
– A. Pizzoccaro, “La felicità interna lorda: dai paradigmi del XX secolo alla vera misura del benessere”, in “Etica anticirisi”, edito dal Centro Studi della Fondazione Banca Europa, 2009;
– Poma L., “Reti Neurali complesse: nuovi strumenti per la CSR” – Ferpi News, 27/01/09;
– Poma L., La Teoria dei Giochi: dalla strategia militare alle relazioni pubbliche, Ferpi News, 2008;
– Poma L., Reti Neurali complesse: nuovi strumenti per la CSR – Ferpi News, 2009;
– M. Pugno, “Economia, autonomia e benessere personale” – in Psicologia contemporanea, edita da Giunti, Milano Nov. Dic. 2010 n° 222;
– Shannon C. E., A Mathematical Theory of Communication – Bell system Technical Journal, vol 27, lug e ott 1948;
– Tribus M., McIrvine E.C., Energy and information – Scientific American, n. 224 (1971), pp. 178–184;
– Wikipedia, enciclopedia libera, Entropia e teoria dell’informazione;
– Wise M., Improved Detection Of Similarities in Computer Program And Other Texts – 1996.
Un ringraziamento particolare va a Massimiliano “Max” Judica Cordiglia per la creazione, nel corso di uno dei suoi “aperitivi creativi” presso la sede della società di produzione audio-video Juma Tv, del termine “Human social responsibility”.
 

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