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Grazie alla segnalazione del collega Stefano Ferranti ho partecipato qualche tempo fa presso la sala della Mediateca Santa Teresa di Milano all’incontro con Jeff Gomez, uno tra i massimi esperti internazionali di “storytelling”, tema introdotto nel nostro paese da colleghi esperti come Toni Muzi Falconi.
Gomez è co-fondatore di Starlight Runner Entertainment, uno studio di animazione e produzione di contenuti digitali leader nella creazione di “fictional worlds” come Avatar, Transformers e Tron, che nel 2011 risulta al quinto posto nella classifica delle 10 aziende più innovative del settore media (www.fastcompany.com).
Jeff usa spesso il termine “transmediale”, e la serata per certi versi lo è stata molto, non solo per i temi trattati nella sua lecture, ma anche per il modo in cui l’evento si è sviluppato, oltrepassando i confini della sala e raggiungendo il vasto pubblico della rete.
Gomez definisce lo story-telling come Il processo mediante il quale si trasmettono temi, messaggi e storie a un pubblico di massa attraverso l’uso sapiente e ben pianificato di più piattaforme mediatiche”. Si tratta di una filosofia di comunicazione e di brand extension che di fatto finisce per ampliare il ciclo di vita stesso dei contenuti creativi. Ogni media ha infatti potenzialità proprie e peculiari, che vanno sfruttate nel miglior modo possibile: essi infatti hanno modi differenti di interagire con il pubblico e si prestano a sviluppare alcune specifiche parti della storia, o a vederla da un punto di vista differente. In passato trovavamo la stessa versione della storia su tre formati diversi, e i fruitori potevano valutare solo se il film fosse aderente al libro, o la trama del videogioco agli altri due… Oggi invece si cerca di creare “una galassia” della proprietà individuale in cui la trama si sviluppi in maniera diversa – ma coerentemente – sui differenti mass-media, in una perfetta “architettura per il dialogo”. La metafora usata da Jeff è quella di alcuni mass-media visti come gli strumenti di un orchestra – la TV come un pianoforte, l’iPad come un violino, l’iPhone come un sassofono, i libri come percussioni, etc – che poi, combinati tra loro, danno origine a una vera e propria sinfonia, l’opera d’arte del futuro.
E’ ancora possibile oggi parlare di narrativa tradizionale? Le storie oggi come oggi non prendono forse una forma estetica e comunicativa più ampia del singolo medium cui originariamente erano destinate? Jeff Gomez esprime e applica nella sua professione la sua teoria del transmedia storytelling: ogni artista, ogni produttore ogni publisher, può lavorare per creare un racconto che si sviluppa e diffonde su differenti canali, ricombinando poi queste narrazioni per creare un nuovo e affascinante “arazzo narrativo”. Per la propria definizione di transmedia storytelling Gomez si rifà a Henry Jenkins, autore del libro “Convergence Culture”: il racconto di una storia da parte di un numero di autori decentralizzati che condividono e creano contenuti da distribuire attraverso le più diverse piattaforme. L’utente finale si sente coinvolto in un universo di storie con un denominatore comune, attraverso un buon numero di punti d’accesso differenti che procurano un’esperienza coordinata e di più vasta portata.
Come ci ricordano gli organizzatori dell’incontro con Jeff, lo staff di “Meet the Media Guru”, successi come Star Wars o come Matrix sono esempi di narrazione transmediale come la intende Gomez, e dimostrano che – anche in virtù dei nuovi strumenti offerti dal mondo digitale – le possibilità del racconto si possano espandere notevolmente, superando il percorso lineare che prevede un inizio, un centro e una fine. Il centro dell’attenzione non è più su particolare personaggio o su una “trama”, ma su come questi elementi possano generare mondi nuovi, da esplorare attraverso altre piattaforme mediatiche: una trama di un libro diventa film che a sua volta genera immagini che possono diventare interattive in un videogioco oppure possono vivere di vita propria nell’esperienza live di un parco-divertimenti. Il tutto viene progettato per coinvolgere individualmente i membri dell’audience, confermare il loro coinvolgimento e rafforzare positivamente la partecipazione personale. Il risultato è una forte lealtà, un coinvolgimento a lungo termine dell’utente e il desiderio di condividere l’esperienza raccontata dall’azienda e di sintonizzarsi su quel preciso “lifestyle”.
In questi processi, il pubblico è spesso invitato a dar voce alle proprie opinioni e a dialogare con gli ideatori della storia. A livello più avanzato, l’audience può anche interagire con gli stessi personaggi, attraverso l’uso sul web di avatar, videogames o altri escamotage esperienziali, e questo è il miglior “cemento” per mettere assieme una vera comunità di marca e per far tracimare un progetto di comunicazione ben oltre i tradizionali flussi informativi ufficio stampa/giornalisti/pubblico.
Di fatto si stanno definendo i contorni di una nuova professione, quella del “transmedia storyteller”, il quale secondo Gomez deve avere come valori la conoscenza approfondita delle basi della storia e dell’ascolto, l’abilità di cogliere l’essenza del mondo della storia e di espanderla, la conoscenza di come una storia è trasmessa su differenti piattaforme media, la capacità di identificare i punti di forza e di debolezza nel modo di rispondere alla storia sui diversi media e di anche di capire il processo di produzione per i differenti media, la capacità di negoziazione, di persuasione e di coordinamento, e infine l’abilità di visione d’insieme, di inserire molti dettagli in un unico insieme.
Il transmedia storytelling, ci dicono anche gli esperti di “Meet the Media Guru”, non solo rappresenta il futuro – anzi, ormai il presente – del narrare storie create dalle aziende, ma esprime il potere della cultura contemporanea che tende a fondere l’esperienza autoriale con quella dei fruitori, in una perfetta sintesi: un processo per cui si generano nuove trame e si aprono nuovi mercati partendo dalla circolazione dei contenuti e delle idee che gli stessi lettori/utenti creano attorno a un prodotto culturale.
L’era delle mere trasmissioni di contenuti – senza curarsi di dell’impressione e delle idee del proprio pubblico – è ormai alla fine, cosa che risulta evidentissima se solo si osservano le dinamiche relazionali dei vari social-network, e occorre lavorare su sistemi che prevedano un feedback istantaneo nonché strumenti di narrazione collettiva, perchè gli utenti non solo vogliono poter dire la loro sulla storia, cosa che ormai viene data assolutamente per scontato, ma vogliono anche poter influenzare gli autori: di fatto la storia di successo è solo quella che gli autori “abbandonano” dal punto di vista creativo come un guscio di noce nell’oceano della creatività del pubblico dei fruitori.
Questo è un territorio nuovo in cui produzione e consumo scambiano i propri ruoli e discutono le proprie ambizioni, mostrandosi specchio di un’era interconnessa, votata alla vera partecipazione 2.0.
Ai più attenti non sarà tuttavia sfuggito il messaggio “forte” trasmesso da Jeff durante la sua lecture: la tecnologia può certamente aiutare le persone a migliorare la società, ma solo se associata ai valori. Un monito di straordinaria attualità, certamente utile per far riflettere noi relatori pubblici e comunicatori.

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