L’ospite di questa settimana del mio blog è Marco Lei, co fondatore di Re Box.
Ciao Marco e benvenuto sul mio blog. Come e quando nasce Re Box?
L’idea nasce ad agosto del 2015 e lo stimolo è venuto da mio figlio Nathan che all’epoca aveva 9 anni. Una sera eravamo in un ristorante messicano e lui, come spesso accadeva, aveva avanzato la maggior parte di quanto ordinato nel piatto. Noi, come nella maggior parte dei casi, abbiamo chiesto di portare a casa quello che non era riuscito a mangiare e come spesso accadeva il tutto ci è stato consegnato in vaschette di alluminio all’interno di un sacchetto improvvisato. Quella notte mi stavo addormentando e mia moglie Daniela scuotendomi: “Marco, ma visto che in molte nazioni è una pratica consolidata e qui non esiste ancora, perché non facciamo noi la “doggy bag” italiana?”. Io ho borbottato qualcosa di incomprensibile. A questo punto lei si è addormentata, io ho passato la notte guardando il soffitto. Alle 5 di mattina mi sono alzato e con forbici e cartoncino è nato il primo prototipo di quella che sarebbe diventata la nostra reFOOD. Successivamente poi nasce anche la reWINE per portare a casa la bottiglia di vino aperta ma non terminata.
In questa fase il vostro pubblico di riferimento sono i gestori dei ristoranti. Che tipo di risposte state ricevendo?
Diciamo che la nostra reFOOD si porta dietro una cultura che in italia non è ancora molto consolidata, la difficoltà principale è far capire al ristoratore che son sempre di più le persone che avrebbero piacere di trovare questo tipo di servizio. L’altro aspetto è il senso di vergogna che l’italiano medio prova nel chiedere di portare a casa quello che non ha terminato. Ormai è risaputo che per il motivo principale di questo blocco è dato dal prodotto. Più del 70% degli italiani sarebbe disposto ad adottare questo atteggiamento se gli venisse proposto un prodotto bello, comodo e pratico per poterlo fare; e non la classica vaschetta in un sacchetto della spesa. Per questa estate i ristoranti che avranno la nostra reFOOD arriveranno a 400 in 33 province e diventeranno 800 entro fine anno.
Possiamo affermare che, come dimostrano numerose ricerche, cresce la consapevolezza delle persone che il cibo non si spreca. Come vedi il futuro della sostenibilità?
Ormai siamo arrivati ad un punto tale che l’attenzione verso la sostenibilità è diventata una priorità assoluta, non possiamo più procrastinare. Dobbiamo passare dalla modalità “moda” alla modalità “fare”. Non basta dichiarare di voler fare, sventolare bandiere per salvare il pianeta. Bisogna che ogni singolo individuo cominci ad adottare anche piccole attenzioni che però sommate nel tempo possano veramente invertire una rotta decisamente catastrofica. “There is no a Planet B” scrivono, e così è. Il nostro progetto parte proprio da queste considerazioni e basi. É chiaro che il cibo che possiamo “salvare” con le nostre reFOOD non possa risolvere il problema degli sprechi alimentari che si manifesta per più del 50% nell’ambiente domestico, ma è un lavoro culturale sulla singola persona. Se riusciamo a convincere e ad abituare le persone a fare quel piccolo e semplice gesto probabilmente cominceranno a vedere quanto non terminato non più come un qualcosa da buttare via ma come una risorsa. Nel momento in cui avviene questo cambiamento di visuale anche all’interno della propria casa o in altre situazioni l’atteggiamento generale verso il cibo dovrebbe cambiare.
Quali sono i vostri programmi di sviluppo?
Vista la difficoltà, in questo momento storico, di far comprendere direttamente ai ristoratori la cultura che la nostra reFOOD si porta dietro abbiamo deciso di cominciare a lavorare con le Amministrazioni Comunali strutturando dei progetti sul territorio dove andiamo a lavorare proprio sulla divulgazione della cultura: con i bambini nelle scuole, con i loro genitori, con le associazioni sul territorio e con i ristoratori. Tutto questo mettendo in campo dei contest e dei premi al fine di incentivare degli atteggiamenti virtuosi verso il cibo.
Dopo l’estate dovrebbe partire anche una campagna di equity crowdfunding per aumentare l’impatto sia commerciale che culturale e per cominciare a pensare all’internazionalizzazione dei nostri prodotti.