Sfruttare gli influencer per la crisis communication può essere efficace e giovare alla reputazione aziendale: proviamo a capire perché.
La regola d’oro è che crisis communication e crisis management non si improvvisano: è per questo che le aziende più grandi hanno nel proprio team esperti in gestione della crisi che lavorano nel prevenire, meglio, o nell’affrontare, al bisogno, quelle situazioni potenzialmente dannose per brand image e brand safety. Si possono però coinvolgere anche gli influencer per la crisis communication? È una domanda che sembra essersi riempita di senso soprattutto negli ultimi anni, con investimenti in influencer marketing sempre più consistenti in quasi tutti i settori e i mercati.
QUANDO E PERCHÉ SFRUTTARE GLI INFLUENCER PER LA CRISIS COMMUNICATION
Non c’è però una risposta univoca e, a ben guardare, coinvolgere influencer – ma anche brand ambassador, testimonial , ecc. – nella gestione della crisi si rivela opportuno per alcune aziende tanto quanto deleterio per altre. In altre parole? Inutile cercare di chiudere partnership con influencer e altri personaggi influenti in Rete a crisi in atto se, fino a quel momento, non si è badato alla propria presenza digitale o non si è investito in social media marketing . Diverso è invece il discorso se si ha una ben definita strategia digitale e, magari, si sono già attivate in passato campagne di influencer marketing . Sfruttare gli influencer per la crisis communication, in altre parole, dovrebbe essere una naturale conseguenza del tono di voce della propria comunicazione in tempi “non sospetti”.
Chi si aspetterebbe del resto una comunicazione d’emergenza ingessata ed estremamente formale, per esempio, da un’azienda che ha sempre fatto real time marketing o prova costantemente a cavalcare hot topic, tendenze e challenge del momento? Uno dei principali vantaggi che gli esperti individuano nell’inserire contenuti prodotti dagli influencer nel piano di crisis communication aziendale ha a che vedere proprio con spontaneità e genuinità percepite dei messaggi. L’apporto di influencer e altri content creator nella gestione della crisi equivale, insomma, a un punto di vista esterno all’azienda e naturalmente più vicino a quello di consumatori e pubblici a cui ci si rivolge: se in generale, cioè, l’influencer marketing funziona soprattutto grazie alla facilità con cui ci si immedesima nell’influencer e nei suoi messaggi, quando si sfruttano gli influencer per la crisis communication si spera prima di ogni cosa di rassicurare e riuscire a mantenere fedeli le proprie community, più e meglio di come si farebbe affidandosi a un rappresentante aziendale o a un esperto di gestione della crisi o pr .
Non si può non tenere conto del resto che, spesso, quando si sta affrontando una crisi aziendale, il dovere di trasparenza nei confronti dei consumatori si traduce nella necessità di veicolare loro messaggi dal contenuto piuttosto tecnico, di ostica comprensione e non di rado indesiderabili. Se è l’influencer – e non ancora un vertice amministrativo, un responsabile dalla comunicazione o delle PR, ecc. – a farsi volto dell’azienda nel momento di crisi è più facile, così, rendere comprensibile, alla portata di tutti e quindi rassicurante anche il contenuto più tecnico o specialistico. Un buon content creator, del resto, dovrebbe conoscere la propria community e logiche e grammatiche delle piattaforme in cui si muove: insieme a una buona dose di creatività, è quello che serve per dar vita a comunicazioni mirate, su misura, coinvolgenti, efficaci.
SCEGLIERE L’INFLUENCER GIUSTO: COME FARLO SE LA CAMPAGNA È UNA CAMPAGNA DI COMUNICAZIONE D’EMERGENZA
Va da sé però che se scegliere l’influencer giusto è vitale per ogni investimento in influencer marketing, lo è ancor di più quando si intende coinvolgere l’influencer – o gli influencer – nella gestione della crisi. Anche in questo senso una buona idea è non improvvisare e, al contrario, farsi trovare preparati: reparto comunicazione e addetti al crisis management, cioè, dovrebbero avere già a disposizione una short list di influencer dal profilo in linea con l’azienda da poter contattare e coinvolgere al bisogno. In alternativa ci si potrebbe rivolgere a influencer a cui ci si è già affidati in precedenza e per campagne e iniziative di influencer marketing di diversa natura: considerati i tempi concitati della comunicazione d’emergenza, del resto, l’ideale è collaborare con professionisti che conoscano già storia, missione e valori aziendali e possano rappresentarli al meglio. L’obiettivo è evitare che, da alleati nella gestione e nella comunicazione della crisi, siano gli influencer stessi a mettere in crisi e far vacillare la reputazione dell’azienda, per di più in un momento già di per sé delicato, come pure è storia di alcuni dei più (tristemente) noti epic fail dell’influencer marketing.
Quanto a A-list influencer, micro influencer , nano influencer , considerare la dimensione della community è certo importante quando li si vuole coinvolgere nella comunicazione dell’emergenza, ma non sempre e non solo nella direzione che si può immaginare. In altre parole, un influencer vip e dalle fan base milionaria non è necessariamente il meglio a cui si possa aspirare quando si ha bisogno di gestire una crisi social (e non solo). Se qualche volta, infatti, un volto noto e ben amato è di per sé convincente e rassicurante, in altre occasioni si possono ottenere risultati migliori rivolgendosi a esperti del campo, che godono di grande credibilità nella loro nicchia e che possano fungere da opinion leader .
INFLUENCER E GESTIONE DELLA CRISI AZIENDALE: CHE AZIONI IMPARARE A DELEGARE
Scegliere bene gli influencer a cui affidarsi è, insomma, un primo passo indispensabile, ma non meno importante è imparare a gestire bene le campagne con gli influencer per la crisis communication. La parola d’ordine è delegare. Se si è deciso di esternalizzare la gestione della crisi – o almeno quella sua parte che ha più a che vedere con aspetti comunicativi – è, del resto, perché task e azioni da compiere in momenti come questi sono numerosi e tutti allo stesso modo prioritario: se ci si fida di influencer e content creator “assoldati” dopo un briefing iniziale, meglio lasciar loro campo più ampio possibile quanto a scelta di tipologia, numero e contenuti dei messaggi e riservarsi, solo a valle, un monitoraggio delle performance. Anche in questo senso servirebbe trasparenza: non si può nascondere agli influencer coinvolti nella propria campagna di comunicazione d’emergenza il vero stato delle cose se si vuole che i messaggi confezionati siano convincenti e gli investimenti efficaci; qualche esperto suggerisce che con gli influencer sia condiviso l’intero piano di gestione e comunicazione dell’emergenza, perché ne risultino messaggi armoniosi e coerenti.
Se perfettamente integrati nel proprio piano di gestione della crisi, del resto, gli influencer possono aiutare anche a ottimizzare task che non erano inizialmente previste. Si pensi, solo per fare un esempio, al customer care che nei momenti emergenziali richiede di duplicare risorse, sforzi e budget allocati: perché non lasciare che gli influencer a rispondano a richieste e domande delle più comuni e sfruttare risorse e processi ad hoc per gestire, invece, situazioni che richiedono interventi più puntuali e personalizzati? C’è almeno un altro vantaggio “operativo” e ha a che vedere con il fatto che gli influencer, naturalmente abituati come sono ad ascoltare la Rete e a fare community management , possono aiutare l’azienda nel social media listening e nel social media monitoring.
COSA LE AZIENDE HANNO DA IMPARARE DAL COINVOLGIMENTO DEGLI INFLUENCER NELLA GESTIONE DELLE GRANDI CRISI GLOBALI
Le aziende possono imparare, in questo senso, dall’apporto ripetutamente dato dagli influencer per la crisis communication nel caso di grandi crisi sociali, ambientali, politiche e via di questo passo. Si pensi per esempio a come gli science influencer hanno contribuito a coprire correttamente l’emergenza coronavirus in Italia e nel mondo, mentre tra l’altro i media tradizionali davano adito a una vera e propria infodemia . O, meglio ancora, a come destinazioni turistiche come il Brasile e l’America Latina si siano affidati agli influencer per evitare che una già grande emergenza sanitaria come l’epidemia di Zika si trasformasse anche in un’ingestibile débâcle economica legata al mancato indotto turistico: in quell’occasione furono atleti, personaggi pubblici e volti noti della TV a provare a convincere turisti e viaggiatori di tutto il mondo che non ci fosse alcun pericolo nel prenotare un viaggio, a meno di non essere delle categorie a rischio e a patto di prendere le più comuni precauzioni igieniche contro il contagio.
In occasione dell’epidemia di Zika del 2016, molti volti noti fecero “da influencer” per la circolazione di informazioni corrette e accurate e perché una certa disiformazione non trasformasse l’emergenza sanitaria in un’emergenza anche economica.
Se non è più tempo insomma per le aziende di essere “sistemi chiusi”, aprirsi all’esterno e affidare strategicamente (parte de) la propria immagine e il suo racconto a soggetti estranei all’organico aziendale anche in un momento di crisi, oltre che essere rassicurante – ed è quello che le persone vogliono in momenti di emergenza – è un gioco di soft power e può avere persino effetti vantaggiosi a valanga su immagine e reputazione aziendale.