Era il decimo al mondo, oltre 2 mila miliardi di dollari
Quando il Coronavirus e le sue ricadute socio-economiche saranno alle spalle, di quanto si sarà svalutato il marchio “Italia”, che secondo Brand Finance nel 2019 era il decimo più pregiato al mondo con un valore di 2.110 miliardi di dollari, di poco superiore al Pil tricolore? Se lo domanda, con preoccupazione, la società britannica che è tra i leader internazionali nel prezzare i marchi di aziende e, in questo caso, Stati. L’ultimo aggiornamento, dell’ottobre scorso, ha visto l’Italia scendere dall’ottavo al decimo posto come valore del marchio nazionale, scavalcato dalla Corea del Sud e dai principali Paesi del G7
Tuttavia lo choc con cui il Paese tra i più belli e visitati al mondo ha iniziato il 2020 rischia di ripercuotersi fortemente sul “brand Italia”, che a dire della società nata a Londra nel 1996 è “uno dei principali asset di questa nazione”. Sono numerose, in queste due settimane, le evidenze che dimostrano come gli effetti economici legati all’attuale crisi dipendano molto dalla crisi d’immagine. I dati che attestano l’Italia come il terzo Paese più contagiato nel mondo, e peggio ancora la percezione che il mondo ha nei confronti degli italiani e dei prodotti locali, rischiano di fare molto più male che non il Coronavirus stesso.
“Disdire una vacanza in Sicilia, dove il numero dei contagiati è ridicolo, oppure bloccare il Grana Padano, che non può trasmettere il virus, dipende sicuramente dalla pessima immagine che abbiamo trasmesso oltre confine – afferma Massimo Pizzo, dirigente italiano di Brand Finance – Questa crisi d’immagine, che impatta sia sul business sia sul soft power della nazione, è particolarmente rilevante perché danneggia i punti di forza della nostra immagine: il Made in Italy, il turismo e lo stile di vita; non ha invece reale impatto sui nostri punti di debolezza nel percepito internazionale come la gestione della cosa pubblica o la leadership nella ricerca scientifica”.
Il dirigente di Brand Finance suggerisce, per correre ai ripari, “un piano che non si limiti a gestire la crisi, ma una vera e propria strategia per gestire il brand nazione, analoga a The Great Campaign quella lanciata qualche anno dal Regno Unito”. Allora fu una strategia che sembrò funzionare: l’isola ha aumentato le entrate economiche originate da immagine e reputazione nazione nonostante la Brexit, raggiungendo nel 2019 un valore del brand Regno Unito di 3.851 miliardi di dollari, molto più della sua previsione di Pil 2019 (pari a 2.720 miliardi).
“Il team che dovrà gestire la crisi d’immagine dell’Italia – aggiunge Pizzo – non dovrebbe limitarsi a coinvolgere guru della comunicazione, ma dovrebbe innanzitutto condurre analisi di marketing e finanziarie per stabilire lo stato attuale del marchio, Italia identificando i fattori su cui focalizzare la strategia con relativo impatto economico tenendo conto dei costi e di ritorni sugli investimenti”.