DIFENDERSI DAGLI ATTACCHI ALLA REPUTAZIONE: SINTESI DI UN PROGRAMMA DI INTERVENTO
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Interi volumi – a volte collane di volumi – sono stati scritti sul tema della propaganda, sia in tempo di pace che in periodi di guerra: poco o nulla può essere aggiunto su questa materia. In questo brevissimo saggio voglio invece codificare, per quanto possibile, una serie di azioni dimostratesi utili e funzionali alla gestione di un’emergenza reputazionale. Il quesito al quale tento di dare soddisfazione è il seguente: come rispondere nel concreto a un attacco di tale virulenza e intensità da rischiare di pregiudicare il valore di un’organizzazione?
Ricette in grado di garantire il successo, in senso assoluto, non ne esistono: le indicazioni che mi permetto di fornire al lettore sono frutto della mia esperienza e di tutto quanto ho letto in molti anni di appassionato approfondimento di queste discipline (“Siamo nani sulle spalle dei giganti che ci hanno preceduto”); fermo restando che ogni caso è un unicum, e che il contenuto di questo paper ha più che altro come scopo quello di stimolare il lettore, attivare percorsi di riflessione per certi versi non convenzionali, aprire la mente, spingere il cultore della materia a far tesoro di queste suggestioni al fine di individuare la sua peculiare strada verso la soluzione di scenari complessi, che non possono – e non devono – essere ricondotti a un solo schema solutivo.
La propaganda nera viene tipicamente usata per denigrare, ridicolizzare o travisare il punto di vista della controparte; la sua principale caratteristica è il fatto che le persone/le organizzazioni non sono consapevoli del fatto che qualcuno le sta influenzando, e non percepiscono di essere spinte in una certa direzione, dettata dall’autore della campagna di black RP. Di fatto, come ci spiega la pagina in inglese di Wikipedia dedicata a questo fenomeno, la propaganda nera pare emanare da una fonte diversa dalla vera fonte, ovvero a volte pare emanare da una fonte sconosciuta: avete presente il leggero venticello di calunnie che giorno dopo giorno può minare la credibilità, l’affidabilità e il valore di un’organizzazione? Siamo dinnanzi esattamente a quello.
La fonte spesse volte è nascosta, e diffonde con incredibile creatività menzogne e inganni; spesso praticata dai Governi – ma non solo – ha come scopo mascherare il coinvolgimento diretto di un Istituzione in un dato scenario, convincere un pubblico altrimenti incredulo riguardo una certa narrazione, offuscare il coinvolgimento di un organizzazione in attività che potrebbero essere dannose per la sua immagine, e via discorrendo.
Le relazioni pubbliche sono un procedimento complesso, aperto e dichiarato finalizzato alla creazione del consenso; a volte, esse possono prendere le sembianze della propaganda nera, quando includono azioni mirate a screditare un’organizzazione, oppure, per contro, sotto forma di “controspionaggio”, a difendere un’organizzazione vittima di un attacco che – se protratto nel tempo – rischierebbe di pregiudicarne la business continuity[1].
Semplificando, possiamo definire la propaganda nera come un’azione o più facilmente un insieme articolato di azioni i cui promotori – normalmente sconosciuti – generano volutamente un’azione di discredito tra il pubblico, finalizzata a ridurre significativamente la “licenza di operare” di un’organizzazione[2].
Innumerevoli case-history dimostrano – come vedremo – che la più efficace risposta a un’azione di black-propaganda è: rendere pubbliche le azioni occulte di disinformazione e denigrazione.
Attenersi alla verità ed essere in grado di documentarla, è l’essenza delle buone relazioni pubbliche; una campagna di black-propaganda non si pone affatto questi problemi. Smascherare una raffinata campagna di propaganda nera potrebbe includere azioni di investigazione, da concretizzarsi tramite l’uso di strumenti legali. È curioso notare come la sola idea di spiare la nostra controparte evochi nel nostro immaginario scenari di illegalità: in realtà vi sono strumenti per farlo perfettamente nell’ambito della legge.
Ma andiamo con ordine: cosa distingue una campagna di black-propaganda da routinarie azioni di relazioni pubbliche? Ecco le caratteristiche salienti utili per identificare uno scenario di black-RP:
L’opinione pubblica, tra l’altro, gode assai a ritrasmettere maligni pettegolezzi. L’ignoranza, agevola tale processo: in molti casi, le organizzazioni più soggette a questo genere di attacchi sono quelle che comunicano poco, perché in assenza di informazioni – in natura com’è noto non esiste il vuoto assoluto – la gente tende a “colmare il vuoto” con informazioni fabbricate a casaccio, quasi sempre non genuine. “Non so nulla di quell’Amministratore delegato. Forse è un ladro. E comunque figurati se non ha guadato con occhi lascivi la giovane segretaria, lo fanno tutti, l’avrà certamente fatto anche Lui”. E bene che le persone rette se ne facciano una ragione: anche se pare inspiegabile a una mente logica, i pettegolezzi e le cattiverie circolano del tutto a prescindere dal loro grado di verità. A ciò aggiungiamo che chi promuove campagne di black-propaganda, ben sapendo di averle basate sul nulla, nella migliore delle ipotesi, e su distorsioni della verità oppure – nel peggiore dei casi – su palesi falsità, tende a non dichiararsi mai come fonte: opera nell’ombra, disseminando spesso lo scenario di “falsi bersagli”, così da ostacolare qualunque operazione di ricerca e scoperta.
La black-propaganda mira nella maggior parte dei casi a “soffocare” l’organizzazione, minando a tal punto la sua reputazione da togliergli il sostegno della pubblica opinione fino al punto nel quale gli spazi di manovra sono ridotti al minimo e l’organizzazione stessa di vede negati i propri fondamentali diritti, primo tra tutti il diritto ad esprimere pubblicamente la propria opinione: la strada è completamente in salita, l’azienda/istituzione oggetto dell’attacco fatica a far sentire la propria voce, le sue dichiarazioni sui mass-media non vengono riprese, e quando lo sono, ciò avviene sempre con un forte “beneficio del dubbio”. Vi è un preciso momento nel quale ai leader di quell’organizzazione pare “non vi sia più nulla da fare”.
Non è così.
Una procedura piuttosto efficace per far fronte a questo genere di attacchi è la seguente:
Vi è in effetti un “punto zero” nel decalogo precedente, che è preliminare a tutto: non “ritraetevi”. Pare essere solo una “dimensione mentale”, ma è invece una questione di attitudine alla battaglia: nessuna contro-campagna di black-propaganda potrà mai essere intrapresa con successo se la vostra condizione psicologica sarà di subalternità rispetto agli eventi che vi vedono coinvolti. Analogamente, non chiudetevi nel silenzio, non negate le vostre (eventuali) responsabilità, non smentite rozzamente l’esistenza del problema[3]. Fatevene una ragione: che vi piaccia o no, siete in crisi; dovete prendere fiato, trovare una posizione per quanto possibile sicura (che vi permetta di sopravvivere il tempo necessario per organizzare il contro-attacco) e – da li – dovete farvi sentire.
Le relazioni pubbliche hanno nell’autenticità uno dei propri principali pilastri: le menzogne si vincono con contro-attacchi diretti e chiari, onesti, duri, senza sconti. La strada a volte è impervia, il risultato non immediato né certo (fattori come la solvibilità di un’organizzazione entrano in campo come elementi cardine dell’equazione, in quanto la disponibilità di risorse professionali qualificate e di risorse finanziarie è centrale in un progetto efficace di reazione a una campagna di black-propaganda) ma quella illustrata è di fatto l’unica strada possibile per portare l’organizzazione fuori dal guado.
Facendo tutto quanto vi ho sopra raccomandato, e applicando altre utili regole auree codificate dalle molte persone con maggiore competenza su questi temi del sottoscritto, un bel giorno, semplicemente, vi sveglierete, e di quegli attacchi maligni e faziosi non vi sarà più alcuna traccia. La vostra reputazione sarà salva, e, a quel punto, con ritrovata serenità, potrete ricominciare a costruire futuro.
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Note:
[1] La regolare, quotidiana, prosecuzione del proprio business, nel rispetto degli interessi di tutti gli stakeholder coinvolti. Per una definizione più esaustiva, si consulti: “Come comunicare le crisi. La guida del Sole 24 Ore al Crisis management”, 2011, Poma & Vecchiato
[2] il “credito” su cui può contare, presso l’opinione pubblica, una certa organizzazione. Un’azienda o un ente pubblico dipendono, per il raggiungimento dei propri scopi, dal consenso della cittadinanza: tanto più esso è esteso, tanto più facile sarà per esse raggiungere senza difficoltà i propri obiettivi. Arthur W. Page definisce la licenza di operare come: “la disponibilità al buio di un interlocutore, la fiducia verso l’organizzazione, il suo valore intangibile”.
[3] Per una trattazione esaustiva del corretto atteggiamento da tenere durante la gestione di una situazione di crisi reputazionale, si consulti: “Come comunicare le crisi. La guida del Sole 24 Ore al Crisis management”, 2011, Poma & Vecchiato)