Il vero problema dello spot di Parmigiano Reggiano? Non è Renatino
La campagna pubblicitaria firmata da Paolo Genovese è accusata di “celebrare” lo sfruttamento dei lavoratori, ma l’errore è l’uso del linguaggio cinematografico per il digital
La campagna pubblicitaria firmata da Paolo Genovese è accusata di “celebrare” lo sfruttamento dei lavoratori, ma l’errore è l’uso del linguaggio cinematografico per il digital
Giorni fa ho partecipato a un talk con Giampietro Vigorelli, un vecchio e famoso pubblicitario, “che si è arricchito con il suo lavoro” (cit.) dove abbiamo parlato delle differenze tra vecchia e nuova pubblicità, tra la pubblicità tradizionale e quella social. È emerso che mentre una volta c’erano budget enormi che permettevano produzioni professionali e tempi lunghi per elaborare spot esteticamente memorabili, oggi invece è tutto più veloce, economico e strategico.
Ma lo sappiamo tutti che le buone idee non arrivano con i soldi e quindi le vecchie e care pubblicità di una volta, sono spesso figlie dei tempi e, anche se alcune rimangono memorabili, altre sono piene di sessismo, patriarcato, razzismo e stereotipi. E per quanto le campagne social possano essere esteticamente inferiori, con un linguaggio meno alto e professionale, sono però più evolute, intraprendenti, coraggiose e, devo dire, anche empatiche. Empatiche perché dopotutto devono fare i conti con gli utenti una volta che vengono pubblicate sui social. La pubblicità tradizionale non aveva e non ha questo confronto immediato.
Ma non sempre le campagne social sono a basso costo. E non sempre sono fatte solo da digital strategist puristi o da vecchi pubblicitari convertiti ai social, a volte sono delle creature mitologiche per metà TV, per metà social e per metà cinema, create insieme a dei famosi registi cinematografici prestati alla pubblicità. È il caso della campagna pubblicitaria del Parmigiano Reggiano, balzata alle cronache in questi giorni, dove l’investimento complessivo dell’operazione ammonta a oltre 4 milioni di euro per 4 mesi di messa in onda e prevede spot tv, placement e una campagna digital continuativa. La campagna televisiva, ma poi anche digital, consiste in sei spot da trenta secondi ricavati direttamente dal film “Gli Amigos” di Paolo Genovese. In pratica, è stato prodotto un mediometraggio con il linguaggio classico di un film e sono stati ritagliati alcuni spezzoni per usarli come spot da veicolare indistintamente su digital e TV.
Mentre la TV perdona, il digital è anarchico e si mette dalla parte di Renatino, il ragazzo del caseificio, che nello spot ammette di lavorare 365 giorni l’anno senza fermarsi mai ed è pure felice di farlo. Gli utenti si indignano e accusano Parmigiano Reggiano di celebrare lo sfruttamento dei lavoratori. Ovviamente, è tutta un’iperbole perché il Parmigiano Reggiano viene veramente lavorato ogni giorno per seguire il ciclo produttivo che lo contraddistingue, quindi Renatino è solo una metafora cinematografica.
Il problema è tutto qui. In un film affermazioni e dialoghi di questo tipo possono passare come licenza cinematografica, in uno spot, diventano propaganda. Usare un linguaggio cinematografico senza criterio per fare uno spot pubblicitario è totalmente sbagliato. Usare un linguaggio cinematografico per uno spot TV è ancora più sbagliato e poi usarlo anche per il digital è masochista. Ogni mezzo pubblicitario ha il suo registro linguistico, il suo formato, le sue modalità espressive: usiamole. Lo stesso errore è stato commesso anche quando è stato scelto Gabriele Muccino per raccontare la regione Calabria, che ha realizzato uno spot definito volgare, pieno di stereotipi, con atmosfere mafiose e costato oltre 1 milione di euro.
Errore ripetuto e confermato nei 4 spot commissionati al regista Tornatore per la campagna vaccinale. Errore stavolta grave, a mio avviso, visto il tema trattato. Più che uno spot per convincere le persone a vaccinarsi, sembrava un cortometraggio di uno sceneggiatore affascinato dalle tende in PVC. Non riusciva a comunicare l’emergenza in cui versavamo.
Se la gente ancora oggi è dubbiosa sui vaccini, la colpa è anche dello Stato, perché non è riuscito a comunicare efficacemente la necessità e l’affidabilità degli stessi. E anche se ultimamente YouTube ha tolto il contatore dal pulsante “Non Mi Piace” per evitare comportamenti molesti e non offendere il creator, io che sono anarchico mi ero salvato i risultati dello spot.
Il web non dimentica, questa è Sparta.
A proposito, qualcuno sa che fine hanno fatto gli altri 3 spot di Tornatore dopo il pluripremiato, si fa per dire, La stanza degli abbracci?
* Pubblicitario & Social Media strategist, autore tra le altre delle campagne pubblicitarie di Taffo