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Poche ore fa il premier Conte ha affermato che in questi casi serve anche una buona comunicazione. È stato scritto in un post sulla sua pagina Facebook e lo ha ribadito in un collegamento nella trasmissione condotta da Mara Venier. È vero, in questi “casi” è importante una corretta comunicazione, fondamentale consiglierei al presidente Conte. Intanto vorrei sottolineare che stiamo vivendo un “fatto”, nello specifico un’emergenza, non un’urgenza, ma un’emergenza e l’Italia è il Paese delle emergenze.

Pensiamo ai rischi idrogeologici, agli sbarchi e ora al coronavirus.

Nonostante i continui alert però non siamo ancora dotati di un protocollo per la gestione della crisi per quel che concerne la comunicazione. Palazzo Chigi dovrebbe occuparsene, ma non è stata mai avanzata alcuna proposta. Una timida volontà risale al 2016 quando i Vigili del Fuoco provarono a riunire, intorno a un tavolo, tecnici ed esperti di comunicazione e gestione delle emergenze per parlare di Smem. È stato l’unico momento in cui si è parlato di un documento necessario nel nostro Paese. La gestione dell’emergenza coronavirus ha infatti trovato impreparati molti amministratori locali, sindaci e commissari che hanno fatto fatica a reperire informazioni necessarie per le rispettive comunità. Un altro aspetto importante, emerso in questa emergenza, è stato quello dei tanti protagonisti che hanno voluto dire la loro distogliendo l’attenzione dei lettori dalle fonti ufficiali.

Negli Stati Uniti il fenomeno è descritto nel principio dello Stealing Thunder che descrive perfettamente gli effetti generati da una cattiva comunicazione nelle emergenze. Proprio lo studio dello Stealing Thunder ha permesso di correggere molti errori di comunicazione che nascono nelle crisi. Ad oggi dunque, il presidente del Consiglio, Autorità preposta, non ha promosso alcuna iniziativa per sviluppare un documento da attivare in caso di emergenza. Intanto nelle tv e sui social si è generato un flusso di informazioni che hanno confuso e procurato allarme contribuendo a favorire scelte che hanno condizionato il quadro sociale nelle ultime ore.

Qualcuno sosteneva che la comunicazione non fosse una scienza esatta, purtroppo non è più cosi e le analisi sui pubblici, sui media e sui processi che ne derivano dicono esattamente il contrario e per questo va garantito al Paese un modulo empirico sulla comunicazione che deve coinvolgere le università, il Dipartimento di Protezione Civile, lo Stato Maggiore della Difesa, il Servizio pubblico televisivo, i maggiori media e gli stakeholders chiamati ad affrontare le emergenze. Le linee guida mettono al centro la Presidenza del Consiglio dei Ministri che deve coordinare il lavoro e garantire l’attivazione del protocollo in caso vi sia una emergenza in atto. Alcuni punti sono stati già studiati in sede accademica ma vanno condivisi e ufficializzati altrimenti, anche dopo questa crisi, ne usciremo col risultato di aver imparato a lavare bene le mani ma ancora senza strumenti utili ad affrontare una qualsiasi futura evenienza. Tutt’ora, a distanza di giorni dall’inizio dell’emergenza, le notizie sono tante e riempiono l’ecosistema mediatico e informativo lasciando confusi gli amministratori locali e i cittadini che, purtroppo, nell’era della post verità, vengono influenzati da reclame che fanno leva sul sentimento per ottenere qualche click o creare “l’esca elettorale”. Un protocollo sulla comunicazione dell’emergenza è dunque fondamentale per il nostro Paese e la politica ha il dovere di fornire questo strumento per non rischiare di trovarsi impreparata davanti a futuri scenari di crisi.

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