Un caso di difficile soluzione: quando il marketing tira troppo la corda, il mercato si spezza e mina la marca alla sua base.
Proprio quello di cui il mondo aveva bisogno. Un CEO arrogante, sgradevole ed ironicamente contraddittorio – tanto quanto Hitler sognava di rappresentare la razza ariana.
Mike Jeffries, polimero umano a capo di Abercrombie&Fitch, è ora piu che mai sulle bocche non siliconate di tutto il mondo. Già si conoscevano le sue abitudini stravaganti da quando è trapelato il manuale Aircraft Standards da lui scritto per dettare legge sui comportamenti da tenere a bordo del suo jet privato. Totale assenza di impronte digitali su maniglie e cinture di sicurezza, infradito obbligatorie e giacche abbottonate fino al quarto bottone da sotto.
Le sue dichiarazioni manifestano l’odio per le grasse, guai a farle entrare nei negozi Abercrombie. Niente XL per le donne, chi le porta è uncool. Sfigata, non meritevole di portare il brand addosso (gli uomini XL sì, perché magari sono campioni di polo).
“Ecco perché assumiamo belle persone per i nostri negozi. Perché le belle persone attirano altre belle persone e noi facciamo marketing per le belle persone. Non ci interessa nessun altro, solo belle persone. In ogni scuola ci sono i ragazzi popolari e quelli sfigati. A noi interessano quelli cool, seguiamo il ragazzino americano attraente con un bell’atteggiamento e tanti amici. Molte persone non meritano i nostri vestiti, nè potranno mai meritarli. Siamo esclusivisti? Assolutamente.” Jeffries, 2006
Quando si renderanno conto che il brand è nulla senza l’umanità di chi lo vende e di chi lo compra? La marca non è mai stato un qualcosa di imposto. È la cristallizzazione di una verità universale che connette uomini, consumi e valori. Non c’è immagine senza identità, certo. Ma sono anni pericolosi nei quali rischiare di rendersi così antipatici nell’affermare il proprio posizionamento. Il re è nudo ed a dirlo non è un bambino, ma uno scrittore di Los Angeles chiamato Greg Karber.
Infastidito dalle opinioni di Jeffries e dal fatto che i capi fallati vengono bruciati piuttosto che dati in beneficenza, Karber ha dato vita al progetto #FitchTheHomeless. E’ andato in cerca di abiti Abercrombie nei negozi di usato e li ha donati ai barboni della città. E vi chiede di fare lo stesso: recuperare quegli abiti Abercrombie che avete ‘erroneamente’ comprato, regalarli ai meno fortunati e condividere lo sforzo sui social. Un’operazione di karma rebranding&hacking. “Insieme possiamo ridisegnare il brand”, promette lo slogan che accompagna il video. Non sarà facile intaccare un brand con ricavi crescenti da una decade a questa parte, esempio raro nel retail. Fin dove ci si può spingere nel perseguire una mission di marca senza alienare il mercato e mettersi alla sua berlina?
Un corto circuito che punta a cancellare l’associazione tra Abercrombie e coolness, instillata e stratificata negli anni a colpi di commessi splendidi, decisioni di prodotto e look&feel pubblicitari. Ora la minaccia viene da un video e da un hashtag: rendiamo Abercrombie&Fitch il brand numero 1 al mondo per i senzatetto. Si è sempre detto “dal basso” per indicare quei movimenti nati dalle persone e non dalle corporation, dall’alto. Ma forse è ora di invertire i termini.
Nota: guarda il video, a questo link
Comunicazione digitale e non convenzionale Crisis management e Comunicazione di crisi Greenwashing e "bad-practice"