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La disinformazione costituisce il 90% dell’attuale guerra. Non è più necessario bombardare le città. È sufficiente bombardare i cervelli.

Oksana Zabuzhko, scrittrice e intellettuale ucraina

Hybrid Analytica: Pro-Kremlin Expert Propaganda in Moscow, Europe and the U.S.: A Case Study on Think Tanks and Universities, il paper realizzato da Kateryna Smagliy, accademica ucraina ex direttrice del Kennan Institute di Kyiv, oggi collaboratrice del programma Next Generation Leaders presso il McCain Institute, con il contributo del ricercatore Ilya Zaslavskiy, è il primo lavoro ad analizzare in maniera scientifica, avvalendosi di case studies, un fenomeno già ribattezzato hybrid analytica. Il paper è disponibile qui in PDF. Per capire in cosa consista l’hybrid analytica è necessario fare un passo indietro e tornare al concetto di guerra ibrida.

Guerra Ibrida

La guerra ibrida, o guerra non lineare, è una forma di guerra che ai tradizionali strumenti bellici (aviazione, esercito, etc) affianca strumenti non militari (attacchi cibernetici, disinformazione, etc). Valery Gerasimov, Capo di Stato Maggiore delle forze armate russe e teorico dell’omonima dottrina, sottolinea come «il ruolo degli strumenti non-militari nel conseguimento di obiettivi strategici politici e militari è cresciuto e, in molti casi, questi strumenti hanno superato il potere delle armi in quanto ad efficacia».

Centrali all’interno della hybrid war sono i concetti di guerra informativa e di disinformazione. «La disinformazione – scrive Luigi Sergio Germani nel saggio Disinformazione e manipolazione delle percezioni: una nuova minaccia al sistema – paese, uno dei primi lavori in Italia su questi argomenti – era un tema centrale del pensiero politico e strategico del Novecento: l’epoca dei totalitarismi nazista e comunista, i quali la istituzionalizzarono come strumento di governo, praticandola nei confronti della propria popolazione, come evidenziò Hannah Arendt, che analizzò la natura profonda dei sistemi totalitari».

Il ritorno dell’information warfare russa come strumento di politica estera del Cremlino, dopo il crollo del Muro di Berlino e il dissolvimento dell’URSS, si è sostanziato in due fasi, la prima di consolidamento attraverso la ri-creazione dei media, la seconda attraverso il loro utilizzo in senso offensivo.

«Già prima della crisi ucraina il Cremlino aveva deciso di rafforzare le proprie contromisure difensive tese a neutralizzare la percepita “minaccia informativa” proveniente da Occidente, ma anche di potenziare le proprie attività offensive di information warfare, tra cui la disinformazione anti-occidentale, anti-americana e anti-UE. A tale scopo l’apparato mediatico internazionale controllato dal Cremlino viene notevolmente ampliato e modernizzato in seguito a ingenti investimenti. La disinformazione russa rivolta verso l’estero viene veicolata sia dai grandi mezzi di comunicazione – come l’emittente televisiva RT e l’agenzia multimediale Sputnik – sia sfruttando tutti gli strumenti del nuovo universo dei media digitali: social media, siti e blog di “informazione alternativa”, troll di internet (propagandisti pagati dal Cremlino), adoperati non solo per amplificare le notizie false o manipolate ma anche per intimidire e screditare chi si adopera per smascherarle» (Germani).

Va da sé che le nuove tecnologie digitali hanno aperto enormi possibilità alla propaganda. Tra le tecniche più utilizzate dalla propaganda russa, ma anche da Cina e Iran, va sicuramente menzionata quella dell’astroturfing, che consiste nella creazione artificiale di contenuti e voci a supporto di un prodotto, di un tema o di un personaggio. Nata in ambito economico prima dell’avvento di internet, questa pratica raggiunge il suo apice nell’era digitale applicata alla politica al fine di simulare un diffuso supporto verso un regime, un’ideologia, una politica. Per conseguire questo obiettivo vengono ingaggiati alcuni soggetti, opportunamente retribuiti, che producono contenuti filogovernativi a sostegno delle posizioni ufficiali di un regime e in dissenso verso l’opposizione.

Un tipico esempio di produzione di massa di contenuti filogovernativi sono le fabbriche dei troll come quella scoperta a San Pietroburgo. La fabbrica dei troll di San Pietroburgo, di cui si è avuta conoscenza grazie a due ex impiegati, Lyudmila Savchuk e Marat Burkhand che ne hanno raccontato in dettaglio il funzionamento, impiega centinaia di persone e si occupa di produrre profili falsi, contenuti e commenti per siti web della grande stampa internazionale, portali online, forum, social network.

Dai racconti dei due ex collaboratori emerge una realtà inquietante degna del 1984 di Orwell. L’enorme macchina propagandistica, avvalendosi di centinaia di addetti, pagati ben sopra la media retributiva della Federazione Russa, è infatti in grado di confezionare falsi profili e un’enorme mole di contenuti fake e materiale patriottico o a favore del Cremlino. In tal modo questi apparati riescono a propagandare le posizioni del Cremlino, influenzare la discussione online e trasmettere la sensazione di un vasto supporto sia in Russia sia all’Estero per la Federazione.

Hybrid analytic

Veniamo ora al nuovo fenomeno dell’hybrid analytic che l’autrice del report, Kateryna Smagliy definisce «come il processo di progettazione, sviluppo e promozione di varie narrazioni pseudo-accademiche da parte di intellettuali in buona fede ingannati o manipolati, accademici e esperti di think tank o lobbisti politici “sotto mentite spoglie”, reclutati attraverso la rete globale di agenti legati al Cremlino allo scopo di sostenere e supportare l’agenda internazionale o nazionale del regime di Putin, e che portano demolizione dei fatti, disinformazione, errata interpretazione intenzionale degli eventi, indebolimento della fiducia nelle competenze e inquinamento generale del processo decisionale politico e del dibattito pubblico».

Partendo da questa definizione l’analisi della Smagliy esamina i legami tra il Cremlino e i think tank, le università e gli istituti di ricerca in Russia, Europa e Stati Uniti e le modalità con cui esperti russi e occidentali vengono cooptati nel pool di comunicatori del regime di Putin. L’autrice descrive in dettaglio come i think tank legati al Cremlino progettino nuove dottrine ideologiche per il governo russo e come i suoi simpatizzanti promuovano le narrative propagandistiche del Cremlino in Occidente.

Inoltre il lavoro studia il ruolo dei servizi di intelligence russi e delle istituzioni russe di soft power nella progettazione e nell’attuazione delle attuali strategie con cui la conoscenza diventa una vera e propria arma bellica (knowledge weaponization and ideological subversion). Lo studio esamina anche i tentativi degli oligarchi legati al Cremlino di trasformare un’apparente filantropia accademica in vero e proprio accesso politico. L’autrice sostiene che i governi occidentali e le istituzioni accademiche dovrebbero prestare attenzione alla minaccia posta da questa guerra informativa, intensificare gli sforzi per identificare e svelare la rete di agenti russi all’interno del mondo accademico occidentale e adottare meccanismi per salvaguardare l’integrità professionale di università ed enti di ricerca.

Se questo è in estrema sintesi il contenuto del paper è altresì interessante sottolineare come il virus della hybrid analytica abbia intaccato enti e istituzioni occidentali un tempo conosciute per il rigore e la serietà dell’attività accademica e/o di ricerca. L’aspetto più preoccupante che emerge da questo studio non è solo il fatto che la Russia, come ai tempi della Guerra Fredda, sia tornata a investire milioni di dollari nella propaganda anti-occidentale, nonostante il rublo in caduta libera e le miserabili condizioni economiche in cui versa l’80% della sua popolazione, ma la singolare circostanza che anche la realtà occidentale stia diventando paradossale, potremmo dire orwelliana, come quella russa.

Manchester University Press e Cambridge University Press

Emblematico il caso di due rispettabili case editrici britanniche, la Manchester University Press (MUP) e la Cambridge University Press (CUP), che hanno ricevuto critiche molto severe, seppure per ragioni diverse: la prima per aver pubblicato un libro pseudo-accademico intitolato Flight MH17: Ukraine and the new Cold War, la seconda per essersi rifiutata di pubblicare l’accurato saggio sulla cleptocrazia russa, Putin’s Kleptocracy, della studiosa americana Karen Dawisha.

Nel libro di Kees van der Pijl, pubblicato dalla MUP, si sostiene che il tragico abbattimento del volo MH17 della Malaysian Airlines sia dovuto alla «spinta dell’America per il dominio globale» e alla «corruzione politica del capitalismo oligarchico diretto dallo stato in Ucraina» unitamente all’«interesse personale di una nuova Unione Europea guidata dai liberali». Nonostante nel 2018 un’inchiesta internazionale sull’abbattimento del volo di linea MH17 della Malaysia Airlines abbia sancito, con prove inconfutabili, che ad abbattere l’aereo in volo da Amsterdam a Kuala Lumpur fu un missile Buk proveniente dalla 53esima brigata missilistica antiaerea russa di stanza a Kursk, questa monografia completamente ingannevole è ancora disponibile per l’acquisto online. Non solo. Né la Manchester University Press né l’autore si sono scusati per aver pubblicato menzogne a titolo definitivo presentandole al pubblico sotto la veste di studio accademico.

Nel caso di Karen Dawisha, la Cambridge University Press ha ritardato e, infine, rifiutato la pubblicazione del suo studio sulla corruzione russa, una delle indagini più esaurienti sulla plutocrazia e sull’autoritarismo del regime putiniano. La motivazione ufficiale dell’editore è stata che i rischi legali erano troppo grandi, «dato il controverso argomento del libro, e la sua premessa fondamentale che il potere di Putin è fondato sui suoi legami con il crimine organizzato».

Il caso italiano

Il paper di Kateryna Smagliy si occupa anche del nostro Paese evidenziando come il Cremlino abbia effettuato notevoli investimenti all’interno delle istituzioni culturali e accademiche italiane. La fondazione Russkiy Mir ha aperto tre centri di cultura russa all’Università di Milano, all’Università di Pisa e all’Orientale di Napoli. La professoressa Oxana Pachlovska ha osservato che «la fondazione Russkiy Mir, nonostante la crisi economica in Russia, rimane concentrata e lavora sodo. Persino rispettabili intellettuali [italiani] “stanno in fila” per ricevere “i soldi di Putin”, perché la crisi finanziaria dell’Europa ha colpito piuttosto duramente le università. I professori di storia russa hanno la possibilità [finanziaria] di tenere conferenze, pubblicare libri, organizzare scambi di studenti e tali opportunità sono semplicemente non disponibili per gli esperti di studi slavi».

Tra gli atenei italiani citati nello studio compare anche la prestigiosa Università Ca’ Foscari di Venezia, in relazione a un episodio avvenuto nel 2014 che vide protagonista l’allora prorettore Silvia Burini, oggi come già allora direttrice del Centro Studi sulle Arti della Russia (CSAR) della medesima università. In quell’anno in cui la Russia annesse illegalmente la Crimea, il senato accademico dell’Università Ca’ Foscari decise di assegnare al ministro della cultura russo Vladimir Medinsky, noto tra le altre cose per sostenere la rinascita del culto di Stalin, il titolo di professore onorario (“Honorary Fellowship”) per il suo lavoro accademico e il suo ruolo nello sviluppo della cultura russa. 

Alcuni accademici e intellettuali italiani scrissero una lettera aperta per protestare contro questa decisione, affermando che «le università dovrebbero sostenere la ricerca libera e non una cultura che serve un regime politico». A causa di questo scandalo, Medinsky cancellò la sua visita all’Università e Burini fu costretta a volare a Mosca per consegnargli tale riconoscimento. La decisione di assegnare a Medinsky quel titolo fu molto probabilmente influenzata dalla speciale predilezione delle autorità russe per l’ateneo veneziano. Il CSAR era stato inaugurato il 6 marzo 2011 da Svetlana Medvedeva, presidente della Fondazione russa per le Iniziative socio-culturali e moglie dell’allora presidente russo Dmitri Medvedev.

Nel lavoro della Smagliy si menzionano anche i rapporti tra la Lega di Matteo Salvini e il Cremlino e il ruolo dell’associazione culturale Lombardia-Russia nel promuovere in Italia narrazioni filorusse. Siamo certi che nei prossimi mesi il capitolo Italia si arricchirà di nuovi elementi dal momento che il nostro Paese è l’unico in Europa a essere governato da una coalizione dichiaratamente filorussa.

Tornando all’analisi della studiosa ucraina, l’augurio è che la lettura di questo documento, facilmente reperibile online, faccia riflettere le istituzioni accademiche italiane e apra anche gli occhi di tutti coloro che nel nostro Paese continuano a rubricare i tour di scrittori ucrainofobi ed euroasiatici quali Limonov e Prilepin nella categoria “cultura/letteratura”.

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