Mettersi in gioco attraverso i video permette all’utente finale di percepire il brand come a portata di mano, reale, familiare e concreto, costruendo così in modo efficace reputazione. È il segreto di Snapchat, social da 8 miliardi di video al giorno che spaventa Facebook ma, per ora, non lo scalza.
Il “divo” di Snapchat – il Social network basato sullo scambio di messaggi, e soprattutto di brevi video, che si autodistruggono dopo 1 giorno dall’invio – è un obeso e grezzo DJ con la faccia poco sveglia. Come ci ricorda la giornalista americana Sarah Frier, prima di Snapchat, DJ Khaled urlava slogan idioti e insensati in un programma minore di una radio di Miami: “E non lo faceva neppure particolarmente bene”, ha scritto di lui il sito di musica Picth-fork. Ora Khaled ha milioni di follower su Snapchat e raggiunge 3 milioni di view per singolo video. Video basati sul nulla, o poco più: come sta andando la sua giornata, cosa sta mangiando a colazione, dove va a farsi aggiustare l’iPhone, le discoteche dove esce la sera, con qualche pillola di riflessione pseudo-esistenziale sparsa qua e là. “Questa è l’esatta essenza di Snapchat: come le sorelle Kardashian, che sono famose perché sono famose”, ha commentato Ben Winkler, dirigente di OMD, una società che investe denaro nei mezzi d’informazione. In ogni caso Khaled – che fino a poco più di un anno fa non aveva mai sentito parlare di Snapchat, e l’ha conosciuto grazie a un amico che gli ha suggerito di “dargli un’occhiata” – grazie a questo social network ora è diventato una vera celebrità in USA, con collaborazioni anche importanti con Apple Music. “Con Snapchat puoi mandare solo messaggi effimeri” – ha aggiunto Charlie McKittrick, responsabile commerciale dell’agenzia di pubblicità Mother New York, riferendosi alla brevità assoluta e al tono dei messaggi che vengono scambiati su quella piattaforma – “Sono briciole di vita, ma per il pubblico è molto divertente”. Oltre ai contributi pubblicati e scambiati dagli iscritti, Snapchat propone le Live Story: una redazione di oltre 100 addetti mixa ogni giorno le migliori “storie” degli utenti stessi, ricavandoci video ex novo, divertenti per il pubblico della App. Poi ci sono i canali Snapchat Discover, i cui contenuti sono prodotti da note testate giornalistiche come CNN, Wall Street Journal, Vice, etc., che gettano ognuno in pasto alla piattaforma decine di video ogni giorno. La differenza tra Snapchat e Youtube com’è ovvio è sostanziale, e va ben al di là della mera lunghezza dei filmati: quest’ultimo è una bacheca, tecnicamente molto performante, per pubblicare e far vedere dei video; Snapchat è una grande community dove al centro ci sono le persone, che interagiscono tra loro scambiandosi messaggi e video.
Per tutti gli americani tra i 14 e i 20 anni Snapchat è la App numero uno, e in genere è tra le prime 10 App scaricate al mondo. Gli utenti di Snapchat saranno inevitabilmente gli acquirenti di domani, tanto che molte grandi aziende come Coca Cola, Amazon, Pepsi, Marriot e Budweiser spendono milioni di dollari per la pubblicità sulla App. L’investitore Gary Vaynerchuk ha dichiarato in un bell’articolo pubblicato a inizio dell’anno scorso su Bloomberg Businessweek, tradotto in italiano daInternazionale: “La stragrande maggioranza delle persone che in questo momento stanno leggendo questo giornale, avrà un account Snapchat entro 36 mesi”.
Un amico cubano di 28 anni, Roberto Carlos, che vive a Londra e gira il mondo per lavoro, è invece attento al lato ludico della App. Mi ha detto: “I miei amici più giovani sono stanchi dei ritocchi di Photoshop, vedi delle ragazze o dei ragazzi splendidi e poi di persona sono una delusione. Su Snapchat questo non accade, perché non puoi alterare le foto migliorandole. Poi c’è la riservatezza: da un paio d’anni frequento spesso i paesi arabi, e negli Emirati tutto quello che succede – tutto, ma proprio tutto – va su Snapchat. Specie le cose più private: perché, a differenza di Facebook, su Snapchat tutto si cancella automaticamente dopo breve tempo, e così nessuno lascia traccia delle sue cose intime. Inoltre puoi salvare su iCloud i tuoi video e foto: non occupi la memoria del telefonino. E’ comodissimo, è la tendenza del momento, non puoi non esserci. Ed è gratis, ovviamente”.
Nonostante il numero a tratti incredibile di 8 miliardi di video scambiati ogni giorno sulla sua piattaforma – lo stesso numero di Facebook, che però ha un numero di iscritti 10 volte maggiore ed esiste da molto più tempo – Snapchat macina la ridicola cifra di 200 milioni di dollari all’anno di utili. Eppure Zuckerberg ha fatto un’offerta per acquistarla: 3 miliardi di dollari. Rifiutata, dal momento che la quotazione attuale – presunta – di Snapchat pare attestarsi intorno ai 16 miliardi di USD.
Ora Snapchat si sta aprendo di più, anche verso le aziende più piccole. Tastemade, una start-up che produce contenuti video a tema su cucina e viaggi, si dichiara entusiasta dei risultati: la loro video-serie Cookie the News, con filmati in fast-motion sul “biscotto del giorno” con la forma ispirata al più intrigante fatto di cronaca del momento, spopola su Snapchat. “E’ così che i ragazzi di questo millennio guardano i contenuti”, ha dichiarato Steven Kydd, uno dei fondatori dell’azienda.
L’altra faccia della medaglia di questo valzer, o meglio, di questo tango scatenato che spariglia le carte dell’accesso all’informazione cheap ed eccita pazzescamente gli investitori 2.0, è l’essenza intrinsecamente effimera di questi strumenti. Dire oggi che Snapchat potrebbe prima o poi “tramontare” potrebbe suonare come una bestemmia, eppure in altri casi è già successo. Un’altra azienda – Demand Media, che gestiva content-farm, ovvero siti che producevano bulimicamente ogni giorno molti contenuti appetibili per il web, dal “come indossare un costume da bagno Speedo” al “come fare una Apple Pie eccellente in poco tempo” – generava picchi di traffico interessanti per gli investitori: i contenuti erano di scarso valore, ma avevano la funzione né più né meno che di “esche” attira-polli, come certi programmi della TV commerciale, che costituiscono “l’intermezzo” tra uno stacco pubblicitario e l’altro, secondo il principio che più è alta l’audience in quella fascia oraria, più soldi si possono guadagnare dal vendere gli spot. Demand Media funzionava bene, e venne quotata in borsa dove arrivò a valere 2 miliardi di dollari, circa il 25% più del New York Times. Poi bastò un semplice “click” per distruggerla: Google aggiornò il suo algoritmo, modificandolo, e gli accessi di Demand Media crollarono improvvisamente; ora vale non più di 100 milioni di dollari. Che è probabilmente il prezzo corretto per un’azienda che non produce nulla di particolare valore.
Anche coloro i quali – per arroganza o ingenuità – rifiutarono le interessanti offerte fatte per cedere Yahoo! forse si sono pentiti della scelta, stante il crollo verticale delle quotazioni di quello che fino a pochi anni fa era il concorrente meglio piazzato di Google e dettava la linea nel settore dei motori di ricerca. Per i nativi digitali, navigare su Yahoo! ora è moltoretrò, una cosa strana, un pelo eccentrica e fondamentalmente inutile, come mettersi un vestito anni ’50. Una parte significativa degli under 20 neppure sa cos’è.
Vero è che gli inserzionisti pubblicitari non hanno molti modi oggi come oggi per raggiungere un target di under 25, quindi – finchè non nascerà qualcosa di nuovo – Snapchat continuerà a far furore. E molto probabilmente – aggiungo io – divorerà Twitter, che annaspa già tra mille difficoltà. A ben pochi ragazzi verrebbe in mente oggi come oggi di aprirsi un account Twitter: “Perché diamine devo leggere un contenuto testuale breve, se posso vedere un video breve?”, paiono domandarsi con aria stupita le giovani generazioni. Per quali motivi quindi Twitter dovrebbe sopravvivere a Snapchat, che “twitta” centinaia di milioni di contenuti ogni ora, sotto forma di video?
Che i video siano non un futuro, ma il futuro, a discapito dei post testuali, è evidente. Il video-marketing ha successo perché utilizza la dirompente forza delle immagini: se si pensa a quante immagini possono essere contenute in un video, accompagnate da musica e testi, e quanto un contenuto video possa emozionare infinite volte più di un testo scritto – o perlomeno con altrettanta forza, ma molto più velocemente – grazie al coinvolgimento nello stesso momento più sensi, si comprende quale sia l’ulteriore potenziale futuro dei video, e quanto possano essere utili quando sono utilizzati con intelligenza dai brand. Gli utenti internet sono ormai abituati a vedere video tramite smartphone e giudicano un video un contenuto più fruibile e più interessante rispetto alla norma: preferiscono fruire di un video di tre minuti, piuttosto che leggere un articolo per 15-20 minuti, e hanno una carica virale sul web davvero unica: sono condivisi sui social in media 12 volte più dei testi e – in base a statistiche recenti – ormai l’87% delle aziende che promuovono campagne pubblicitarie li utilizza con consuetudine per trasmettere con efficacia i propri messaggi, anche perché garantiscono una permanenza media dell’utente ben più elevata rispetto ai messaggi tradizionali. I video possono essere facilmente collegati a campagne a pagamento su Youtube o Facebook per raggiungere velocemente un target selezionato sia a livello locale che nazionale, e inoltre, in base alle tendenze dettate dagli algoritmi di Google, esistono maggiori possibilità che i video entrino nei risultati dei motori di ricerca. Mettersi in gioco attraverso i video “rende più caldo il marchio”, e permette all’utente finale di percepire il brand come a portata di mano, reale, familiare e concreto, costruendo così in modo efficace reputazione.
Tra 5 anni – secondo Nicola Mendelsohn, Vice Presidente di Facebook EMEA – i video su Facebook sostituiranno i post. “Se dovessi fare una scommessa direi: video, video, video. Il miglior modo per raccontare una storia ai tempi d’oggi è il video, fornisce molte informazioni in pochissimo tempo. Agli utenti piace molto il ‘dietro le quinte’ che offre Facebook Live – la possibilità di registrare video “in diretta” su Facebook – un fenomeno in veloce espansione che nell’area EMEA conta 433 milioni di utenti attivi”. All’inizio, Facebook Live era riservata a personaggi famosi e grandi realtà editoriali, poi è stata estesa a tutti gli utenti. A sostenere la tesi della top manager vi sono sempre le statistiche: sembra che la condivisione di video su Facebook sia in costante crescita, in quanto gli iscritti al social network più famoso del mondo guardano cumulativamente 100 milioni di ore di video al giorno su smartphone e tablet, ed è Facebook Live a fare la parte del leone, dal momento che i contenuti di quest’applicazione ricevono molti commenti in più – fino a 10 volte! – rispetto a quelli registrati per i post normali. Anche lo stesso Mark Zuckerberg dà molta attenzione al fattore video sulla sua piattaforma: nel corso degli ultimi 2 anni ha perfezionato più volte Facebook Live, allungando in modo illimitato il tempo a disposizione per le dirette streaming, con l’aggiunta una mappa per cercare le dirette video sul telefonino in tempo reale. Inoltre, a conferma dell’investimento che le grandi piattaforme stanno facendo su formato video, è ora possibile inserire un filmato anche nei commenti che ogni utente può pubblicare in calce al post di un’azienda, cliccando sull’icona a forma di macchina fotografica: di fatto, è possibile quindi commentare un post testuale usando un video.
Facebook rincorre quindi Snapchat? Può essere, con un grande vantaggio però: il social di Zuckerberg ha molti più dati degli utenti rispetto al Social dei video che si autodistruggono, e – per ora – li profila infintamente meglio. Quanto sa veramente Snapchat degli orientamenti d’acquisto dei propri iscritti? Il fatto che io veda un video di un cantante hip-hop su Snapchat perché è divertente, non significa necessariamente che pagherei anche per scaricare da iTunes la sua musica; mentre Facebook sa tutto di noi, grazie all’analisi ossessiva che il suo algoritmo fa delle pagine che frequentiamo, click per click. E questo è il vero valore d’interesse per gli inserzionisti pubblicitari.
Facebook poi non è solo uno strumento per fare qualcosa di divertente: “Sei tu, è la Tua identità; è la Domenica In dei Social, il contenitore, c’è tutto dentro. Le mode arrivano e passano, possono essere un utile complemento, ma alla fine, la verità è che non hai bisogno d’altro che di Facebook, ed ogni volta che qualcuno ha un’idea innovativa, semplicemente Facebook la copia, e magari la rifà anche meglio dell’originale”, rifletteva ad alta voce Luca Yuri Toselli, collega e amico con il quale ho chiacchierato di queste questioni prima di decidermi a scriverci sopra. Facebook ha anche saputo diventare nel tempo – sapientemente, astutamente – una delle principali porte verso il resto del web: “Perché devo perdere tempo a loggarmi su un sito, inserendo tutto i miei dati anagrafici, se posso accedere istantaneamente a quel sito tramite il mio profilo Facebook?”, ha aggiunto Toselli. Così facendo, Facebook accresce esponenzialmente la propria base dati, e così facendo dopo essere sceso di appeal sugli under 20 per qualche anno, ora sta riguadagnando terreno, e dove non lo fa direttamente, si compra i competitor, come ha dimostrato il grasso assegno staccato per acquistare Instagram, per poi copiare i modelli altrui: ecco allora, alla rincorsa di Snapchat, le “Instagram Stories”.
In definitiva, bless up, “che tu sia benedetto”, ripete spesso DJ Khaled rivolto a tutto ciò che lo circonda e che gli piace, dai fiori del suo giardino al tramonto sul mare. Quindi Bless Up, Snapchat. Finchè dura, però.
Un’ultima riflessione ce la suggerisce il mondo LGBT – Lesbico, Gay, Bisex e Transgender – che in qualche modo ci da un’altra indicazione preziosa, oltre che dettare la linea delle tendenze – anche su web, se consideriamo, parlando di siti di incontri, che Grinder è nato ed è diventato una App di successo ben prima di Tinder – che è l’importanza del match dei dati: creo un mio Digital body appetibile, lo metto di Tinder o su Grinder, e cerco l’anima gemella, foss’anche solo per un l’incontro hot di una notte. Le aziende prendono nota e si adeguano. Creo un fantastico profilo sulle scarpe d’alta moda, lo pubblico su Tinder, e sono gli utenti a trovarmi: hai trovato il sesso giusto per stasera…? No? Ok, nell’attesa di un orgasmo, eccitati con le tue scarpe preferite, o le tue borse, o chissà cos’altro. Un millesimo dei contatti, forse, ma tutti pazzescamente in target. E a quel punto non ci sarà SIRI, la voce metallica dell’androide pre-programmato dell’iPhone, a parlarmi, bensì una persona in carne ed ossa, dall’altra parte della chat – o meglio, in un certo senso, nella mia camera da letto – a spiegarmi quanto sia magnifico quell’oggetto del desiderio e cosa potrai fare per acquistarlo esattamente ora.
Altro che i tanto declamati – e forse sopravvalutati – Big Data, tanto “big” da risultare anche molto, troppo generici: le relazioni, of course; l’importanza, assoluta e intramontabile, delle relazioni.
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