La gloriosa Save The Children celebra i suoi primi 100 anni con iniziative comunicazionali “non convenzionali” (anche grazie all’agenzia Jungle), mentre la Rai non riesce a focalizzarsi sulla dimensione sociale del servizio pubblico (ed insegue Fabio Fazio).
Lunedì scorso 13 maggio, Save The Children ha celebrato a Roma i suoi primi 100 anni, con una stimolante kermesse policentrica organizzata presso il Maxxi – Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo (presieduto da Giovanna Melandri), iniziativa istituzionalmente benedetta dalla partecipazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: ne scriviamo su queste colonne anche perché l’iniziativa ha provocato una ulteriore riflessione sul ruolo della Rai nella società italiana, e sulla funzione stessa del “public media broadcaster” (ovvero – come sempre più s’usa – “public media service”).
Partiamo dai dati, che sono tristi e sconfortanti: secondo le stime di Save The Children, 1 minore su 5 al mondo vive in aree di conflitto, e si tratta di oltre 420 milioni di bambine/i. Si calcola che almeno 27 milioni di bambini sfollati a causa della guerra non hanno più accesso alle scuole: solo nel 2017, ne sono state bombardate oltre 1.400.
Save The Children, forte della propria identità storica ed attuale, e forte del flusso di risorse che riesce a raccogliere, ha deciso di mettere in campo strumenti di comunicazione innovativi, e l’evento organizzata il 13 maggio al Maxxi può rappresentare un vero e proprio “caso di studio” di come una organizzazione no-profit può fornire un contributo ideologico-creativo nei territori della comunicazione cosiddetta (anche nello slang delle agenzie) “non convenzionale”.
Accantoniamo le ritualità istituzionali (sempre togliendoci il cappello di fronte al Presidente della Repubblica, “ça va sans dire”…), e ci concentriamo su due iniziative: un concorso aperto agli studenti delle scuole di tutta Italia (molto ben curato) ed una coinvolgente iniziativa esperienziale (molto toccante).
Nel corso della giornata, si sono tenute le premiazioni di “TuttoMondo Contest”, concorso dedicato agli “under 21” sul tema “La pace oltre la guerra”, al quale hanno partecipato oltre 1.400 studenti:: abbiamo avuto il piacere di assistere ad una premiazione degna di una qualità “broadcast”, intesa nel senso non soltanto tecnico (tempistica e gestione della scaletta ed altri aspetti tecnici), ma intellettuale (ovvero artistico e creativo). Abbiamo dato per scontato che la kermesse venisse videoregistrata al fine di produrre un’opera assolutamente degna della trasmissione in prima serata sulla rete regina della Rai: a fronte della nostra domanda, Michele Prosperi, Senior Media Officer di Save The Children, ha manifestato quasi stupore, sostenendo che l’associazione è, complessivamente, soddisfatta del rapporto che ha con la radiotelevisione pubblica italiana, e che non avevano proprio pensato ad una coproduzione con Viale Mazzini. Siamo stati tentati dal porre la stessa domanda (“perché non farne un prodotto da prima serata?!”) alla Rai, ma abbiamo poi ritenuto che né il Presidente Marcello Foa né l’Amministratore Delegato Fabrizio Salini avrebbero apprezzato il senso (strategico, ci si consenta) di una simile “provocazione”. E d’altronde, in questi giorni, il futuro del Direttore della Comunicazione e delle Relazioni Istituzionali della Rai, Giovanni Parapini, è incerto… ed altresì dicasi della ri-allocazione della struttura “Responsabilità Sociale” di Viale Mazzini, diretta da Roberto Natale. Si riproduce il noioso e penoso spettacolo del “balletto delle nomine”, nelle quali la logica vecchia della lottizzazione partitocratica sembra riprodursi, subordinando il “merito” tecnico alla “relazione” politica.
Insomma, se è vero che Rai sta cercando di ottimizzare la propria funzione “social”, è altrettanto vero che la dimensione “sociale” (nota bene: la “e” finale è fondamentale) della Rai non appare certo ai primi punti dell’ordine del giorno del “public media service” italico.
Si veda, in argomento, come è stato (mal)trattato uno strumento virtualmente prezioso qual è il “bilancio sociale” (si rimanda a “Key4biz” del 10 maggio 2019, “Tempi di bilanci in Rai, approvato quello di esercizio e quello sociale. Quello che non torna”).
Abbiamo anche compreso che Save The Children vuole mantenere una immagine che confermi la propria identità, autonomia, forza, e quindi una ipotesi di co-produzione con la Rai non viene ritenuta particolarmente intrigante: abbiamo percepito un legittimo senso di orgoglio che va “oltre” la Rai insomma… D’altronde abbiamo a che fare con un’organizzazione internazionale – fondata da Eglantyne Jebb – che dal 1919 lotta per salvare la vita dei bambini e garantire loro un futuro dignitoso, e che ormai opera in quasi 120 Paesi in tutto il mondo, con uno staff di circa 25mila persone, e realizza progetti che solo nel 2017 hanno raggiunto 56 milioni di beneficiari… L’ufficio italiano di Save the Children ha invece aperto ufficialmente i battenti alla fine del 1998 per iniziare le attività l’anno successivo, e, da allora, l’organizzazione ha vissuto una crescita che attualmente la annovera tra le prime associazioni italiane in termini di raccolta fondi, con 113 milioni di euro raccolti nel 2018 (più del doppio rispetto al 2012). Fondi grazie ai quali Save the Children Italia, solo nel 2018, ha potuto raggiungere quasi 5 milioni di beneficiari, di cui oltre 3,3 milioni di bambini, sia nel nostro Paese che nel resto del mondo, con progetti di salute e nutrizione, protezione, educazione, contrasto alla povertà e sicurezza alimentare, promozione di diritti e partecipazione… Lo staff di Save The Children Italia è formato da 315 persone, di cui circa la metà dipendenti a tempo indeterminato (da segnalare che il 71% è formato da donne, e l’età media di tutti i dipendenti di Stc è 38 anni).
E Rai, a sua volta, non riesce proprio a cogliere (anche qui, si pecca di… orgoglio autoreferenziale?!) la potenzialità sinergica che potrebbe derivare da un rapporto più intenso (e denso) con le organizzazioni della società civile, del “terzo settore”, del volontariato… Sia ben chiaro, Viale Mazzini dedica una discreta attenzione a queste attività (non sono pochi i “promo” trasmessi nel palinsesto, anche per la raccolta fondi, e non sono poche le segnalazioni di iniziative delle associazioni durante le trasmissioni), ma tutto sembra essere confinato nel perimetro di una sorta di “obbligo” normativo (previsto genericamente dalla Convenzione e dal Contratto di Servizio), senza una spinta pro-attiva, creativa e politica, e giustappunto culturalmentesinergica. Si potrebbe fare di più, molto di più. Si dovrebbe fare di più, molto di più.
A proposito dei (tanti) deficit di sensibilità… sociale della Rai, non ci stancheremo di ripetere che è scandaloso che non vi sia in palinsesto una trasmissione dedicata alle problematiche dei migranti, che rappresentano ormai un decimo della popolazione residente in Italia: e va denunciato che la parola “immigrato” o “migrante” è completamente assente nel “Bilancio Sociale” della Rai (vedi supra!).
Il contest “TuttoMondo” promosso da Save The Children (senza sostegno Mibac o Miur) è giunto nel 2019 alla sua sesta edizione, e deve il suo nome all’omonimo murale realizzato dall’artista Keith Haring sul lato posteriore della Chiesa di Sant’Antonio Abate di Pisa, nel quale sono raffigurate 30 figure concatenate che simboleggiano la pace universale e l’armonia umana.
Il Direttore Generale di Save The Children, Valerio Neri, ha ricordato che “Tuttomondo Contest ogni anno premia i ragazzi che attraverso diverse forme d’arte riescono ad esprimere il proprio punto di vista sulla realtà che ci circonda. L’incontro con la cultura svolge un ruolo di mediazione educativa con una forte potenzialità, capace di promuovere il pensiero critico dei più giovani, spingendoli a trovare il proprio percorso di conoscenza attraverso metodi non convenzionali. Ogni luogo di cultura può divenire un “ponte sociale” ed essere un potente strumento per l’inclusione di gruppi sociali particolarmente fragili”.
Abbiamo assistito ad una cerimonia di premiazione vivace, e tutt’altro che rituale, gestita con abilità da conduttrice televisiva dalla collega Valentina Petrini, giornalista d’inchiesta del gruppo “l’Espresso” (e peraltro co-conduttrice, insieme a Enrico Lucci, del programma “Nemo, nessuno escluso”, andato in onda in prima serata su Rai2).
È anche vero che la presenza e l’intervento di alcuni componenti della giuria ha contribuito ad arricchire l’iniziativa anche spettacolarmente. La giuria è stata formata infatti da esperti d’eccezione, come il regista Riccardo Milani, il fotografo Paolo Pellegrin,le scrittrici Margaret Mazzantini e Elisabetta Dami, il vignettista Marco Dambrosio in arte Makkox, il cantautore Ghali, lo storicoBruno Maida. Toccante l’intervento di Elisabetta Dami (che ha consegnato il premio “Generazione Alpha”) la creatrice del famosissimo Geronimo Stilton (uno dei rari casi di fenomeno editoriale “made in Italy” di successo internazionale), che ha raccontato come sia nata l’idea del suo personaggio: amante dell’avventura, a 20 anni ha preso il brevetto di pilota d’aereo e paracadutista, a 23 anni ha affrontato il giro del mondo viaggiando da sola (tra le altre avventure, ha scalato il Kilimanjaro) e dall’esperienza di volontariato in un ospedale pediatrico (così come dal non aver avuto figli) è scaturita l’idea di scrivere racconti d’avventura con protagonista il simpatico topo, che in prospettiva potrebbe competere con il disneyano topolino…
La qualità delle opere vincitrici è alta, veramente alta, sia per quanto riguarda la qualità estetica che l’intensità dei contenuti, passando dalle fotografie ai brani musicali.
La sala, affollata da centinaia di ragazze e ragazzi, ha tributato continui applausi ai selezionati ed ai premiati, ma confessiamo che in alcuni momenti la kermesse ci ha proprio commosso, per la forza e la bellezza di alcune opere e per l’energia positiva provocata da questi giovani entusiasti.
Particolarmente simpatici ci sono parsi Marco Dambrosio alias Makkox e soprattutto il rapper italo-tunisino Ghali, che ha consegnato a sorpresa anche il “Premio Speciale Eglantyne Jebb” assegnato da Save the Chidren al giovanissimo rapper (6 anni!) Tiziano Cesarini, con il brano “Mi fa male” (ancora non disponibile su YouTube o Vimeo, ma si può ascoltare qui in “Palazzi Colorati ”, co-interprete de I Ragazzi della Via, o in “Giocattoli distrutti”).
Peccato che la Rai abbia perso anche questa occasione, buttando creatività e danari per… inseguire – tra le tante dispersioni strategiche – Fabio Fazio ed i suoi stratosferici compensi!
Altrettanto merito va riconosciuto a chi ha deciso, in Save The Children, di aver proposto una “esperienza immersiva”, ovvero la performance “Tutti giù per terra”, evento per sensibilizzare sulle conseguenze della guerra soprattutto rispetto ai bambini.
Per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dei bambini in conflitto, ed in particolare sulla “generazione perduta”, che a causa delle guerre si vede negato il diritto all’educazione, dal 13 al 19 maggio presso il Maxxi è possibile vivere “sulla propria pelle” un esperimento emozionale coinvolgente. Si tratta di un’esperienza immersiva e ad alto impatto emotivo che consente di sperimentare “in prima persona” cosa significa essere un bambino in un Paese in guerra. Tutti abbiamo visto le immagini televisive (o fotografiche) di un bombardamento, tutti siamo abituati a leggere notizie di attacchi, vittime, distruzioni. Ma cosa significa vivere realmente una situazione del genere? E soprattutto farlo “dal punto di vista” di un bambino? Attraverso una performance teatrale, suoni, luci, odori e altre stimolazioni sensoriali, il pubblico viene trasportato in un’altra città, in un altro Paese. Guidati da una maestra, i partecipanti torneranno ad essere bambini, rivivendo le emozioni uniche del periodo scolastico, ma – allo stesso tempo – aprendo gli occhi, il cuore e la mente su una realtà drammaticamente possibile, e per nulla lontana. Possiamo testimoniare che si tratta di una esperienza che tocca nel profondo, pur nella sua assoluta semplicità e nella sua dichiarata simulazione. Un eccellente caso di teatro di ricerca.
Complimenti vivissimi all’ideatore e coordinatore artistico, il giovane (25 anni) teatrante-creativo Paolo Sacerdoti (già autore dello spettacolo immersivo “Roseline”), che cerca di “rendere il teatro di nuovo pop in Italia”, ed alla società che prodotto l’installazione coinvolgente “Tutti giù per terra”, ovvero l’agenzia milanese di “comunicazione non convenzionale” Jungle, fondata e presieduta da Lorenzo Fabbri. Il motto di Jungle è, non a caso, “We Make The Unexpected”.
Questa la “sinossi” di “Tutti giù per terra”: “Razan è una bambina di 8 anni, nata a Hodeidah, nello Yemen. Nel 2018, con il Paese coinvolto in una guerra civile infinita, viene sorpresa da un bombardamento aereo, che ne condiziona per sempre la vita. La sua innocenza viene irrimediabilmente violata in un lungo, doloroso attimo, che la catapulta in una nuova dimensione, un luogo e un tempo che nessuno di voi vorrebbe aver mai vissuto…”. Il resto qui non intendiamo “raccontarlo”, perché questa esperienza va vissuta (appunto!). Ci limitiamo a segnalare che, accedendo al piano -1 del parcheggio del Maxxi, i visitatori… usciranno lentamente da Roma, e saranno condotti in una scuola elementare intrisa di ricordi, suoni e odori lontani nel tempo; qui incontreranno il proprio “io” bambino, e saranno lentamente accompagnati in un’ambientazione nota, ma confusa; attraverso un sound design avvolgente ed una performance di attori professionisti, il pubblico perderà la percezione del luogo in cui si trova, e lentamente acquisirà consapevolezza del dolore acuto (anche soltanto spiritualmente inteso) che solo un attacco militare può causare… Abbiamo visto persone uscire dalla installazione con le lacrime agli occhi. La performance/installazione è fruibile gratuitamente su prenotazione. Si tratta di una iniziativa che è stata ideata e prodotta senza avvalersi di contributi pubblici: come dire?! a conferma che anche “fuori” del perimetro del Fondo Unico dello Spettacolo (Fus) gestito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Mibac), c’è… vita! Eccome se c’è!!! Peccato che il dicastero competente non sempre le dedichi l’attenzione che merita…
Anche questa bella piccola ma spiazzante iniziativa di Save The Children rientra in quella idea di “cultura in movimento”, di cultura intesa come strumento dialettico di provocazione intellettuale ed emotivo, come agitatore di coscienza, come sensibilizzatore di cittadinanza, come agente di cittadinanza attiva. E non sono queste attività di cui la Radiotelevisione Italiana spa dovrebbe farsi promotrice con un impegno intenso, disseminato lungo tutti i suoi palinsesti?! Questo sì è “coesione sociale”, ovvero quella dimensione del sociale cui la Rai viene chiamata dalla Convenzione e dal Contratto di Servizio. Evitiamo che restino parole scritte sulla carta, ovvero sulla sabbia, anzi sull’acqua.
E speriamo infine che svanisca in una bolla di sapone la incredibile richiesta manifestata dalla Lega Salvini di togliere “il patrocinio” Rai al Festival Sabir di Lecce (definito il “festival delle ong”), manifestata dai parlamentari Daniele Belotti e Simona Pergreffi. Si tratta di una delle tante iniziative che affollano il panorama festivaliero italiano, in questo caso una kermesse promossa da Arci assieme a Caritas e Cgil, alla quale Rai dedica una qualche (minima) attenzione (cos’è infatti, se non altro, giustappunto un… “patrocinio”?!). Crediamo che la sensibilità della Rai rispetto a queste iniziative dovrebbe invece intensificarsi, ovviamente nel massimo rispetto del pluralismo: e, se esiste un qualche festival culturale-artistico che propugna la cultura dei “muri” (piuttosto che dei “ponti”), Viale Mazzini saprà certamente dedicargli altrettanta attenzione, nel più assoluto rispetto della “par condicio” e del “pluralismo” informativo-culturale (sotto l’occhio sempre vigile di Agcom).
Clicca qui, per conoscere la storia di Save The Children, che ha celebrato a Roma al Maxxi il 13 maggio 2019 i suoi primi 100 anni
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