Africa Milk Project è un progetto promosso da CEFA Onlus e dal Gruppo Granarolo che si pone l’obiettivo di sviluppare intorno ad un piccolo caseificio (la Njombe Milk Factory) situato in uno dei distretti più poveri della Tanzania una vera e propria filiera del latte.
Tutto nasce alcuni anni fa quando a Njombe il CEFA aveva promosso la costituzione di una cooperativa di allevatori di mucche da latte; sulla base di questa prima esperienza, nel 2004 è stato avviato il progetto di sviluppo, co-finanziato dal Ministero degli Affari Esteri Italiano e sostenuto con un contributo di 150.000 Euro da Granarolo, denominato “Programma zootecnico per la produzione e commercializzazione del latte e dei suoi derivati”. Così è nata la Njombe Milk Factory, una latteria sociale, che ha conseguito risultati economici e sociali molto importanti ed oggi offre uno sbocco sicuro alla produzione di latte di oltre 800 allevatori, dà lavoro a più di 1500 persone e rende accessibile alla popolazione e alle scuole un alimento fondamentale per la dieta infantile come è il latte.
Fino ad ora la Njombe Milk Factory è stata un piccolo ma potente motore di auto sviluppo e d’ora in poi attraverso Africa Milk Project potrà allargare la sua sfera d’azione all’intera popolazione residente e a tante altre scuole, offrendo insieme al latte lavoro, salute, sviluppo economico e sociale.
Intervista di Maurizio Boschini a Luciano Sita, Presidente di Granarolo dal 1991 al 2009, ha ideato insieme alla Onlus CEFA di Bologna il progetto “Africa Milk”. Cerchiamo allora di sapere qualcosa di più su questo interessante progetto.
In che cosa consiste, in estrema sintesi, “Africa Milk Project”?
E’ un progetto di solidarietà sociale che abbiamo avviato in Tanzania, nella zona dell’alto Kipengere, un vasto altopiano a 2000 metri di altitudine e a circa 800 Km da Dar Er Salam, zona temperata, fertile, rigogliosa, ricca di enormi piantagioni di tè, di foreste di mimosa, di immensi prati.
In quell’area, e nello specifico distretto di Njombe, CEFA ha da tempo aperto cantieri di miglioramento della vita degli abitanti, realizzando diverse opere grazie al contributo dei volontari CEFA: una diga che fornisce acqua e produce energia elettrica; la realizzazione di case in mattoni al posto delle tradizionali abitazioni di felci e sterco animale; l’avviamento di coltivazioni basate sui cereali e la conseguente attivazione di un mangimificio e di alcuni allevamenti di polli; l’istituzione di asili per l’infanzia e scuole.
A metà degli anni ’90, in quel distretto, la chiesa Luterana mandò in dono diverse mucche e un toro per dare sostegno alla vita dei contadini con una produzione di latte ad uso domestico. Ogni vitello nato doveva essere dato in dono ai contadini che ne erano sprovvisti: così si diffuse la presenza delle vacche da latte.
Con il progetto Africa Milk si è teso a dar vita al completamento della filiera del latte in quella zona con la costruzione di una latteria in grado di raccogliere il latte prodotto oltre il fabbisogno famigliare per distribuirlo alle scuole e generare un consumo rivolto soprattutto ai giovani che soffrono di carenza di calcio nell’alimentazione. Con il progetto Africa Milk, oggi, migliaia di ragazzi delle scuole hanno possibilità di consumare una razione quotidiana di latte (favorita anche da un progetto di gratuità sostenuto da Granarolo). Inoltre la latteria ha cominciato a produrre anche formaggi perché i contadini hanno avviato allevamenti di mucche da latte favoriti dalla costruzione della latteria che ritira tutto il latte prodotto che
viene lavorato e commercializzato. In sostanza si è generato un balzo in avanti nella qualità della vita degli abitanti di quella zona. I contadini producono latte e hanno più reddito, la latteria dà lavoro a decine di persone, il latte è diventato un bene di consumo corrente per i ragazzi. Tutto ciò grazie ad una collaborazione fra Granarolo e CEFA che sta proseguendo con obiettivi di rafforzamento e ulteriore sviluppo dell’esperienza decollata nel 2004.
Come è venuta l’idea di un simile progetto?
Il Senatore Giovanni Bersani fondatore di CEFA fu all’inizio del 2000 fra i finalisti del Premio Alta Qualità istituito da Granarolo, premio destinato a persone che nel corso della vita avevano espresso particolare valore sociale, umano, culturale. All’atto della premiazione fu chiesto al Senatore di raccontare qualche esperienza di CEFA. Bersani citò fra l’altro l’obiettivo di costruire una latteria nella cittadina di Njombe nell’alto Kipengere in Tanzania. Mancavano però le risorse finanziarie. Fu chiesto al Senatore quanto
occorreva e Granarolo seduta stante dichiarò la propria disponibilità a sostenere il progetto. Così ebbe avvio il progetto Africa Milk.
Un progetto che si impose all’attenzione dello stesso Ministero dell’Agricoltura del Governo Tanzaniano, tant’è che alla inaugurazione della Latteria parteciparono le più alte cariche dello stato.
Quale supporto concreto ha dato Granarolo in questa partnership col CEFA di Bologna?
Granarolo ha assicurato le risorse finanziarie per costruire la latteria, ha curato la progettazione e la costruzione, ha mandato i tecnici per fare formazione e gli impianti per avviarla, ha ospitato i candidati alla gestione della latteria nel proprio stabilimento di Bologna, ha ospitato nelle aziende agricole socie una delegazione di contadini Tanzaniani per prendere visione delle moderne tecniche di allevamento delle mucche da latte. I soci produttori di latte di Granarolo sono andati in visita alla latteria di Njombe e alle stalle dei conferenti. Granarolo ha inserito nella propria comunicazione il marchio del progetto e ha raccolto risorse per sostenerlo attraverso la raccolta punti dei prodotti Granarolo. Insomma il progetto non si è limitato a dare risorse, ma ha generato un vero e proprio gemellaggio di relazioni umane, tecniche, professionali e di solidarietà che si è radicato e avrà sviluppi di grande portata sociale ed economica per quelle terre. Un progetto di solidarietà internazionale eccellente e ideale, partito con volontari, ma che verrà lasciato in gestione alle genti del posto. Un progetto che diventerà un punto di riferimento per molte altre
aree dell’Africa Centrale.
Che cosa significa per lei, alla luce anche della esperienza effettuata con Africa Milk Project, l’espressione “responsabilità sociale di impresa”?
Innanzitutto mi preme sottolineare come in Granarolo la “responsabilità sociale di impresa” sia stata una delle componenti della strategia di impresa fin dall’inizio degli anni ’90. Il nostro obiettivo era di esprimere nei fatti azioni che non si risolvessero nel produrre prodotti di qualità, nel pieno rispetto delle regole, ma che si traducessero anche nei rapporti con le risorse umane e con gli stakeholder in generale.
Ci siamo sempre proposti l’obiettivo di andare oltre e di esprimere al meglio il nostro contributo come “cittadini della comunità”.
Per questo, agli obiettivi imprenditoriali, abbiamo sempre accompagnato obiettivi di carattere sociale in un conteso di partecipazione e coinvolgimento di soci e dipendenti che ha favorito l’individuazione di iniziative e progetti condivisi, sostenuti da adeguate risorse aziendali e talvolta da contribuzioni di soci e dipendenti.
Granarolo è stata una delle prime aziende a produrre e pubblicare il Bilancio Sociale e praticare tutte le certificazioni possibili, compresa quella etica e ambientale. Grazie a questo impegno Granarolo ha ottenuto numerosi premi e attestati come campione di “responsabilità sociale”. In questo contesto ha preso avvio il progetto Africa Milk come naturale e spontaneo arricchimento ed evoluzione della responsabilità sociale di impresa e non come semplice contribuzione solidale o “opera buona” da annoverare fra i meriti dell’azienda.
In base alla sua esperienza in Emilia Romagna e a Bologna in particolare, la Responsabilità sociale di impresa è un tema sufficientemente conosciuto e soprattutto una “buona prassi” sufficientemente diffusa ed applicata?
Ritengo che a Bologna e in Emilia Romagna sia abbastanza diffusa una pratica di Responsabilità Sociale delle imprese che supera il tradizionale e semplice solidarismo o il sostegno alle tante iniziative sociali che si svolgono sul territorio. E’ abbastanza diffusa la pratica della formalizzazione di Bilanci di Responsabilità Sociale che forniscono la misura e la qualità di questo impegno da parte delle imprese. Credo però che ci sia ancora molto spazio per arricchire e migliorare le pratiche della cosiddetta CSR (Corporate Social
Responsibility). Purtroppo ai ricchi, articolati e talvolta elegantissimi volumi di Bilanci di Responsabilità Sociale, non corrispondono pratiche continuative, coerenti e radicate, facenti parte della strategia d’impresa.
Che cosa consiglierebbe agli imprenditori e ai manager che volessero accostarsi al tema della responsabilità sociale d’impresa?
Innanzitutto consiglio di non approcciare la Responsabilità Sociale d’impresa come un dovere formale o di immagine, oppure come “moda” o pura imitazione di ciò che fanno altri.
La CSR, come dicevo prima, per essere vera ed efficace, deve far parte della strategia d’impresa, del modo di esercitare ed esprimere l’attività dell’imprenditore e del manager.
Si tratta di una qualità dell’essere che deve maturare all’interno della cultura di chi guida l’impresa.. Solo in questo modo si potrà andare alla conquista di una CSR diffusa, frutto di una indipendenza culturale di tutti gli operatori dell’impresa e quindi di una crescente condivisione di questa importante declinazione del fare impresa, al di là dei doveri d’immagine, delle mode o di desideri di imitazione.
Per questo la CSR dovrà essere sempre più frutto di un lavoro collettivo, alimentato dalla profonda convinzione di chi guida l’impresa.
Solo se si generano queste condizioni si potrà avviare un processo che declini gli obiettivi imprenditoriali in obiettivi di CSR diffusi, sottoposti quindi al processo di pianificazione, a quello di rendicontazione e formalizzazione. Un processo che di anno in anno si affinerà, si arricchirà e si incarnerà nell’azienda, tanto quanto il processo produttivo.
Per realizzare questo credo possa essere utile organizzare incontri con imprese che hanno già maturato esperienze nel campo della CSR oppure con Associazioni come “Impronta Etica”, che da anni si dedica alla diffusione delle pratiche di CSR maturate dalle imprese a lei associate: Granarolo, Coop, Conad, Tetra Pak, Unipol, Hera e altre ancora. In questo modo si possono ricavare gli spunti, gli stimoli e le convinzioni necessarie ad intraprendere una strada che non può certamente essere improvvisata o casuale.