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“Non è il momento di fare passerelle”, una frase che ha la forza di uno slogan, quella pronunciata dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni a chi le chiedeva conto del perché nella sua visita alle aree colpite dall’alluvione, non avesse permesso ai giornalisti di seguirla. Una scelta precisa, una grande mossa di comunicazione, studiata, pensata e ottimamente realizzata. E lo scrive chi non è affatto vicino alle posizioni della leader di Fratelli d’Italia.

La Premier è atterrata a Forlì direttamente dal Giappone, dopo aver lasciato in anticipo il G7, “La mia coscienza me lo impone”, ha dichiarato, rispondendo a quanti l’avevano criticata per non essersi recata prima sui luoghi martoriati dall’alluvione. Del percorso dall’aeroporto a imprecisate aree della Romagna sconvolta non ci sono immagini ufficiali. Nessuna telecamera, nessun fotoreporter l’ha seguita (da alcune immagini che circolano su twitter sembra ci fosse un fotografo ufficiale di Palazzo Chigi).

La Premier però appare soprattutto in decine di immagini realizzate direttamente dai cittadini e dai soccorritori e volontari con i loro smartphone. Lei vestita con una camicetta verde e un paio di pantaloni, capelli legati, senza trucco apparente, sembra da sola, non si vedono scorta e collaboratori, solo lei che parla con le persone, si concede ai selfie, addirittura si affaccia al finestrino di un’auto, ripresa dall’interno, e si mette a dialogare col guidatore che, come molti altri, si mostra assai sorpreso di avere “Giorgia” così vicina (si è poi scoperto fosse un sostenitore, magari “ingaggiato” ma questo rafforzerebbe l’aspetto strategico).

La completa demolizione della liturgia istituzionale, il corpo del capo che si offre senza mediazioni, costruendo, ancora, quello storytelling della pari fra i pari. Empatia, vicinanza e la potenza del messaggio di chi non ha paura di sporcarsi (nel vero senso della parola), di camminare nel fango, di lasciarsi toccare, abbracciare, parlare, senza alcun filtro o limitazione.

Nulla in tutto questo è casuale. Impedire ai giornalisti di documentare “ufficialmente” la visita è stata una decisione presa sulla profonda conoscenza del mondo della comunicazione digitale: le immagini ci saranno perché chi, con davanti la Presidente del Consiglio, non avrebbe preso lo smartphone e documentato il momento? Così, la narrazione sarebbe stata “autogenerata”, vera, senza finzioni istituzionali o di cerimoniale, distruggendo l’immagine del potente che visita le vittime. Quelle stesse immagini, poi, sarebbero state rilanciate dai media che, affamati dalla mancanza di documentazione ufficiale, avrebbero rastrellato il Web e usato le riprese di soccorritori, volontari e semplici cittadini per coprire una notizia che non potevano non dare: la visita della Presidente del Consiglio ai luoghi piegati da una tragedia.

Infine, riguardo ai media, un ulteriore vantaggio di questa strategia: rendere difficile ai giornali “contrari” di avere argomenti critici legati alla visita, troppo potente il messaggio, troppo “anormale” la narrazione. Inoltre la mossa smonta e sterilizza anche le polemiche per il “ritardo” con cui si è svolta la visita stessa: la percezione di sincerità e la partecipazione avallano la tesi che la Premier fosse stata “costretta”, in qualche modo contro la sua volontà, a restare in Giappone per imprescindibile “interesse di Stato” e, appena ha potuto, è letteralmente volata fra la gente.

Che di strategie di comunicazione simili si trovino altri esempi nella Storia e spesso legati a figure quantomeno controverse non credo sia rilevante in questa sede. Quello di Giorgia Meloni (e di chi l’ha consigliata) è stato un piccolo capolavoro, un abile utilizzo delle dinamiche di comunicazione digitale e di quella politica.

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