IL NUMERO DEI RESPONSABILI È QUADRUPLICATO IN POCHI ANNI E OGGI IL 40% DELLE AZIENDE ITALIANE QUOTATE NE HA UNO, SECONDO IL PRIMO RAPPORTO DEDICATO AL SETTORE, REALIZZATO DAL CSR MANAGER NETWORK
Roma I n pochi anni il loro numero è quadruplicato e oggi il 40% delle aziende italiane quotate in Borsa ne ha uno. Sono i manager della Corporate social responsibility (Csr), l’abito immacolato che, dopo gli anni dello sviluppo a qualunque costo, restituisce alle imprese un’immagine ecologica, impegnata nella riduzione degli sprechi, attenta al benessere dei suoi dipendenti, in una parola “sostenibile”. In Italia la loro presenza ha cominciato a farsi sentire solo negli ultimi cinque anni, quando dalla sensibilità personale di alcuni manager verso certi temi si è passati alla formulazione di vere e proprie politiche aziendali culminate nella realizzazione di bilanci di sostenibilità che oggi vengono pubblicati dal 25% delle aziende italiane. Il fenomeno è stato fotografato nel primo rapporto dedicato al settore, realizzato dal Csr Manager Network, l’associazione che riunisce tutti i manager della responsabilità sociale d’impresa. «La ricerca – commenta Fulvio Rossi, presidente del Csr Manager Network e Csr Manager di Terna – registra che siamo alla vigilia della nascita di un interessante mercato del lavoro e il consolidamento di una professione che sta diventando sempre più presente all’interno delle imprese. Non a caso ci stiamo organizzando per offrire ai nostri associati percorsi di aggiornamento e networking differenziati e per aprirci sempre più anche a giovani professionisti e neolaureati, con l’obiettivo di migliorare l’offertadi competenze in presenza di una domanda da parte delle aziende che tenderà a crescere ». A beneficiare dell’ufficializzazione di una professione rimasta per anni nella latitanza degli organigrammi sono i manager della Csr, in prevalenza donne (secondo lo studio), con stipendi medi annui che si aggirano intorno ai 75mila euro e punte che possono arrivare a 120mila. Questi dirigenti hanno alle spalle un percorso di studi elevato, il 50% di loro ha una formazione economica, e circa il 30 ha conseguito un master. Negli ultimi anni il loro ruolo si è evoluto strutturando la figura professionale con unità organizzative dotate in media di 3-4 collaboratori di staff. Preponderante è il peso delle grandi aziende rispetto alle medio-piccole perché il 55,4% dei dirigenti del settore lavora in una multinazionale e riporta in massima parte all’amministratore delegato o al presidente. «Ancora oggi – spiega Elena Panzera, csr manager della multinazionale americana dei software Sas Institute – questo genere di manager riveste un doppio ruolo che dipende generalmente dalle tipicità dell’azienda. Nel mio caso, ad esempio, quello di Hr director e Csr manager. Ciononostante il budget è sempre definito e uguale a quello delle altre categorie. Sicuramente si tratta di una figura professionale ancora non ben delineata, strutturata soprattutto nelle multinazionali che dalla casa madre impongono politica e strategie alle filiali italiane. In merito alla formazione, anche se le competenze economiche sono importanti, ancor più necessaria è una formazione umanistica, che attivi una sensibilità relazionale. In sostanza è più importante sapere coinvolgere persone ed energie aziendali che avere le competenze tecniche per redigere un bilancio di sostenibilità». E proprio questa attitudine è confermata dai numeri perché, secondo la ricerca di Csr Network, il 16% dei manager oggi attivi nel settore ha iniziato la sua carriera in questo campo, e il 13% di loro proviene dal mondo del non profit. I richiami al volontariato non devono però trarre in inganno perché le aziende sono sempre più disposte a riconoscere budget sostanziosi ai loro manager del Csr che oggi si aggirano in media intorno ai 200mila euro ma raggiungono picchi anche superiori ai 900mila. «In pochi anni – commenta Roberto Orsi, professore all’università di Tor Vergata, esperto del settore e direttore dell’Osservatorio Socialis dedicato al tema della sostenibilità aziendale – gli investimenti aziendali in Csr sono cresciuti in modo esponenziale passando da 450 milioni a oltre un miliardo di euro. E questo è accaduto in un periodo brevissimo se si considera che prima del 2001 (anno del primo libro verde dell’Ue dedicato all’argomento) nessuno aveva sentito parlare di questa tematica ». «Quello che servirebbe adesso – continua Orsi – è un impegno maggiore del legislatore, che miri alla realizzazione di un sistema premiante (in termini fiscali o nel riconoscimento di un punteggio maggiore per l’aggiudicazione di bandi pubblici) per le imprese che investono nella corporate social responsibility». Solo in questo modo vestire l’abito della sostenibilità diverrà, oltre che uno stile per fare impresa, anche una strategia per fare business.