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Una nuova metodologia per misurare il grado di sostenibilità
Se non misura il proprio livello di performance sociale e di sostenibilità, sarà impossibile tentare di migliorare. La valutazione del capitale sociale, uno di questi asset intangibili che stanno alla base della cultura aziendale, è fra i rebus più difficili da risolvere nel vasto gioco della responsabilità sociale e della sostenibilità del business. La misurazione e rappresentazione del capitale sociale, infatti, sono legate a una grande soggettività e parzialità, tant’è vero che l’utilizzo di codici etici, bilanci di sostenibilità e comitati di controllo sulla governance non hanno impedito ad aziende come Parmalat o Enron – considerate campioni di responsabilità sociale prima del crollo – di rivelarsi tutt’altro che etiche. Proprio per evitare questi clamorosi infortuni, gli studiosi della gestione aziendale si stanno concentrando sulla valutazione della qualità delle politiche di sostenibilità aziendale. “È chiaro che più ampia sarà la trasparenza e l’apertura dei processi interni all’esame di controlli esterni, maggiori saranno le probabilità che il modello funzioni”, spiega Maurizio Zollo, professore di Strategia e responsabilità sociale alla Bocconi e direttore de Center for research in organization and Management. Zollo ha diretto per tre anni il progresso Response, ricerca finanziata alla Commissione europea – in partnership con Ibm, Johnson & Johnson, Microsoft, Shell e Unilever – sullo sviluppo di orientamenti e pratiche socialmente responsabili nelle grandi multinazionali. “Il progetto è stato il primo tentativo di analizzare sistematicamente l’importanza dell’allineamento tra l’approccio dei manager e degli stakeholder, tema che abbiamo indagato con una serie di interviste a manager di multinazionali, oltre a rappresentanti di organizzazioni di  stakeholder” precisa Zollo. Risultato? ” La soddisfazione degli stakeholder non dipende affatto degli sforzi di comunicazione delle aziende, ma dalla loro disponibilità a investire nel cambiamento dei processi interni”>. In pratica, la risposta giusta sta nell’azione, non nelle chiacchiere. Le aziende reattive, dinamiche, che si evolvono rapidamente in relazione all’ambiente circostante e alle sollecitazioni dall’esterno, hanno decisamente più successo nei loro rapporti con gli stakeholder. Sulla base dell’esperienza Response, Zollo ha messo a punto insieme VerA e Great place to work (guidata in Italia da Gilberto Dondè) un modello di valutazione sofisticato, che misura la percezione, dall’esterno e dall’interno, delle politiche aziendali, si sostenibilità. Il punto fondamentale, secondo Zollo, è proprio colmare gap tra le due percezioni, quella punta il suo modello, che si chiama rewords (responsible workplace developing sustainbility. La Fater di Pescara, join venture paritetica fra gruppo Angelini e Procter & Gamble, ha accettato di sottoporsi a rewords. Fater, azienda leader in Italia nei prodotti assorbenti per la persona, è molto impegnata sui temi della sostenibilità e l’anno scorso è stata eletta migliore ambiente di lavoro in Italia da Great  Place to Work. “In un certo senso, per noi di Fater la sostenibilità è più semplice: da un lato beneficiamo di tutta la cultura e dei sistemi gestionali che ci arrivano da P&G, dall’altro della sensibilità tipica delle piccole e medie imprese italiane”, commenta il direttore generale Roberto Marinucci. E snocciola i suoi successi ambientali: “Negli ultimi cinque anni abbiamo ridotto il peso de pannolini Pampers del 47%. Abbiamo  tagliato del 45% i consumi di gas, del 10% quelli di elettricità e di acqua , abbiamo ridotto del 20% i camion circolanti, usando meglio lo spazio e trasferendo alcune forniture su nave. Inoltre mandiamo al riciclo il 97% degli scarti di produzione e P&G considera quello di Fater il miglior stabilimento nel nostro settore”. Ma il suo punto di forza; più che pure porta risparmi non indifferenti sul conto economico, è il rapporto persone con le persone. “La gente che lavora in azienda, un migliaio di persone in tutto, è una fonte costante di stimoli e idee, tanto che ci incontriamo tutti quattro volte l’anno per parlarne “, spiega Marinucci. Anche la gente che sta fuori non è sempre meno importante. Per sottoporsi a rewords, Fater ha aperto da febbraio per sei mesi i suoi uffici e il suo stabilimento di produzione all’analisi esterna, che sta passando in rassegna documenti societari, certificazioni ambientali e bilanci, per confrontali con gli indici attualmente disponibili come Global Reporting Initiative o di Emas. Verrà analizzato il processo produttivo con questionari specifici ai dipendenti predisposti ad Ambiente Italia. Verrà intervistato il top management sulla consapevolezza e sulla loro visione della sostenibilità, mediante questionari psicologici con dilemmi morali da risolvere. Verrà analizzata la policy di sostenibilità presso un numero elevato di dipendenti di ogni ordine e grado con questionari suddivisi per area funzionale. Verrà intervistato un gruppo rappresentativo di stakeholder esterni. Al termine dell’analisi, Cittadinanzattiva e Legambiente formuleranno una third opinion sua sull’analisi che sui risultati emessi. In base a queste indicazioni, Fater s’impegna, se necessario, a modificare la strategia e quindi le politiche di sostenibilità adottate. “È la prima volta – commenta Zollo- che un’azienda italiana molto radicata sul territorio si sottopone a un’analisi così approfondita e si mette concretamente in discussione, per di più sotto una stretta supervisione scientifica. Alla fine pubblicheremo la ricerca e credo che sarà un bel passo avanti in tema di valutazione della sostenibilità aziendale”.

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