Lunga vita ai vestiti. La moda scommette sempre di più sulla riparazione dei capi per estendere il ciclo di vita, nell’ambito della tanto agognata transizione sostenibile. L’ultimo esempio arriva da Patagonia, azienda californiana dalla nota vocazione green, che decide di potenziare il suo percorso sul fronte delle riparazioni, anche online.
Da un lato, il marchio inaugura un nuovo portale digitale che consentirà alla propria clientela di richiedere autonomamente una riparazione in qualsiasi momento, seguendo passo passo il processo, e dall’altro espande la sua rete di esperti portando nei negozi europei (quello milanese lo vantava già, ndr) un maggior numero di strumenti e servizi. Obiettivo? Quadruplicare le riparazioni, arrivando fino a 100mila all’anno nel prossimo quinquennio.
“L’importanza del riparare è evidente – spiega l’azienda. Mantenere un prodotto in uso per nove mesi in più consente di ridurre dal 20 al 30% l’impronta in termini di emissioni di carbonio, rifiuti e acqua rispetto all’acquisto di un capo nuovo”. Il progetto rappresenta per Patagonia la naturale prosecuzione delle iniziative portate avanti in questi anni, dal recente programma ‘Worn Wear’ fino al ben più lontano messaggio ‘Don’t buy this jacket’, annuncio pubblicitario comparso nel 2011 sul New York Times durante il Black Friday, attraverso cui si tentava di sensibilizzare i consumatori sugli effetti dello shopping sconsiderato.
Con il sostegno dell’Amsterdam Economic Board, l’anno scorso Patagonia ha collaborato con l’agenzia creativa tessile Makers Unite per lanciare lo United Repair Centre (Urc), un nuovo fornitore di riparazioni creato per servire diversi marchi di abbigliamento, poi trasferitosi in una struttura più ampia ad Amsterdam per gestire l’aumento della domanda. Tra i contratti firmati con marchi partneri, quello con Decathlon. L’iniziativa proseguirà nel 2023 con l’apertura di una seconda sede nel Regno Unito, mentre l’aggiunta di altre località europee è in programma per il prossimo anno.
L’annuncio strategico di Patagonia arriva in un momento caldo per il tema delle riparazioni nel mondo del fashion. L’ultima notizia arriva dalla Francia, sotto forma di un ‘bonus réparation’, pensato proprio per ridurre gli sprechi incentivando i consumatori a mettere in atto dei comportamenti virtuosi a beneficio del pianeta.
La ministra dell’Ecologia francese Bérangère Couillard ha annunciato che a partire da ottobre sarà possibile richiedere il ‘bonus rammendo’ per fare riparare un proprio indumento presso sartorie o calzolerie aderenti al programma, anziché buttarlo via, ricevendo dai 6 ai 25 euro. Se si pensa che in Francia vengono buttate circa 700mila tonnellate di vestiti l’anno, due delle quali destinate alla discarica, si legge su Il Post, appare evidente come il bonus sia un tentativo, seppur timido, di porre un freno a questa tendenza, nella speranza rappresenti un incentivo anche per i negozi, affinché siano sempre di più quelli che offrono servizi di riparazione.
Intanto, l’Unione Europea continua a mettere alle strette la moda. Il 12 luglio a Bruxelles è stato approvato il regolamento Espr, proposta riguardo alla “progettazione ecocompatibile di prodotti sostenibili” che, dopo la votazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, dovrebbe essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’istituzione comunitaria entro la fine dell’anno.
Tra i capisaldi, il passaporto digitale, il divieto di distruggere l’invenduto o le prospettate etichette ‘anti-greenwashing’ e, soprattutto, il tema dell’Epr – Responsabilità estesa del produttore, che costringe le aziende a farsi carico dell’intero ciclo di vita dei prodotti immessi sul mercato. Un tema che Bruxelles punta a uniformare tra i Paesi membri, nonostante l’attuale disparità di condizioni: l’Italia, infatti, è già avanti sul fronte della raccolta differenziata del tessile, su cui aveva anticipato l’obbligo fissato dall’Ue al 2025. Secondo gli ultimi dati Ispra, nel 2021 i capi differenziati sono ammontati a 154mila tonnellate, su una produzione (secondo le stime di Ecocerved) di 480mila tonnellate.
Sull’onda della spinta europea, sono nati diversi consorzi nell’arco degli ultimi due anni: Re.Crea, coordinato da Cnmi, Retex Green, patrocinato da Sistema Moda Italia, tra i tanti. Quel che è certa è l’impellenza dello smaltimento responsabile dei prodotti derivanti dall’industria della moda: secondo la Commissione europea, riporta Il Sole 24 ore, ogni nella comunità europea vengono buttati 5 milioni di abiti in tonnellate, pari a 12 kg a persona, e solo l’1% dei materiali impiegati vengono poi riciclati per creare nuovi indumenti.