image_pdfVersione PDFimage_printStampa

Henry Ford diceva che “le due cose più importanti non compaiono nel bilancio di un’azienda: la reputazione ed i suoi uomini”. Erano gli inizi del ‘900, non esisteva il web ed il binomio qualità/prezzo era il mantra di ogni strategia commerciale. Tuttavia, il grande imprenditore statunitense già evidenziava l’importanza della reputazione, concetto che oggi è diventato imprescindibile, tanto da poter determinare la crescita o il declino di un’azienda.

Una recente ricerca di Accenture1 che ha coinvolto 30.000 consumatori nel mondo rivela ad esempio che il 63% degli acquirenti orienta le proprie decisioni di acquisto di prodotti e servizi in base al sistema valoriale di un’azienda e all’autenticità delle sue azioni. Ciò significa che, da soli, qualità e prezzo non sono più sufficienti per costruirsi una buona reputazione e incontrare il consenso del mercato.

Non cogliere questa nuova dinamica può essere molto negativo per le aziende: in Italia2, il 47% degli intervistati ha dichiarato di non acquistare prodotti di realtà di cui non condivide i valori e le azioni concrete.

Cos’è la brand reputation?

Secondo una definizione da manuale, “la reputazione di un’organizzazione è la fusione di tutte le aspettative, percezioni ed opinioni sviluppate nel tempo da clienti, impiegati, fornitori, investitori e vasto pubblico in relazione alle qualità dell’organizzazione, alle caratteristiche e ai comportamenti, che derivano dalla personale esperienza, il sentito dire o l’osservazione delle passate azioni dell’organizzazione3.

In pratica, la brand reputation è la valutazione complessiva e stabile nel tempo, condivisa da più stakeholder, che riguarda un’impresa, e per estensione i prodotti e i servizi che offre. Il comportamento dei suoi dirigenti, il rapporto con gli stakeholder, il modo di comunicare: tutto contribuisce a costruire la reputazione di un’azienda.

Le variabili della brand reputation sono molteplici ma possono essere raggruppate in tre dimensioni:

  • una che attiene più strettamente al lavoro dell’azienda: corporate identity, prodotti e servizi, luogo di lavoro, governance, performance economiche;
  • l’aspetto emotivo che l’azienda riesce a generare (stima, fiducia, ammirazione, disapprovazione), che emerge da come l’opinione pubblica (media, web) ne parla;
  • le intenzioni comportamentali espresse dalle persone in termini di decisione di acquisto, di investimento, di aspirazione a lavorare nell’azienda considerata.

Di certo c’è che la costruzione di una buona brand reputation è un processo lungo ed in costante evoluzione, perché la considerazione può mutare col variare del paradigma valoriale e delle priorità condivise dall’opinione pubblica.

In effetti, una realtà che ha una lunga storia, da sempre contraddistinta da una buona reputazione, potrebbe vederla crollare da un momento all’altro se non riuscisse più ad essere in sintonia con il sentire comune della società. In questo senso,valgono le parole di Warren Buffet, secondo cui “ci vogliono 20 anni per costruire una buona reputazione, cinque minuti per distruggerla”. Oggi verrebbe da dire che in realtà bastano anche pochi secondi per distruggere quanto costruito in anni di lavoro, vista la rapidità e capillarità con cui informazioni ed opinioni viaggiano attraverso il web.

I fattori chiave per costruire una buona brand reputation nel terzo millennio

Nella ricerca citata, Accenture ha chiesto ai consumatori quali sono i fattori che li guidano verso la scelta di acquistare prodotti o servizi di un brand piuttosto che un altro, al di là di prezzo e qualità. Ecco le risposte che hanno ottenuto più del 50% delle preferenze:

  • l’azienda è trasparente sulla provenienza delle materie prime e sulle condizioni dei lavoratori;
  • l’azienda tratta bene i suoi dipendenti;
  • l’azienda crede nella riduzione della plastica e nel miglioramento dell’ambiente;
  • il brand non si limita a vendere prodotti e servizi, ma si impegna per qualcosa di più grande, in linea con i miei valori personali;
  • l’azienda si impegna per questioni sociali e culturali in cui crede;
  • il brand supporta e agisce in favore di cause che condivido;
  • il brand fa ciò che dice e mantiene le promesse;
  • il brand ha valori etici e dimostra autenticità in tutto ciò che fa;
  • dimostra passione e attenzione verso i prodotti e servizi che vende.

Key Word #1: Responsabilità

I primi sei punti evidenziati dalla ricerca potrebbero essere sintetizzati nel concetto di responsabilità ambientale e sociale e riflettono l’accresciuta sensibilità dell’opinione pubblica verso questi temi.

Buona parte dei consumatori (il 76%, secondo la ricerca Accenture) pensa che le aziende abbiano la responsabilità, anche più delle istituzioni, di guidare il cambiamento sociale e lo sviluppo sostenibile. Sempre lo stesso studio dice, ad esempio, che il 78% dei consumatori è orientato ad acquistare prodotti da imprese che utilizzano ingredienti di buona qualità e rispettano i diritti umani, mentre il 68% vuole rivolgersi a aziende che si impegnano per il miglioramento dell’ambiente e per la riduzione dell’utilizzo di materiali plastici.

Investire per diminuire il proprio impatto ambientale, sostenere iniziative per ridurre la plastica o risolvere alcune criticità ambientali, essere attenti alla provenienza delle materie prime, rispettare i diritti dei lavoratori e migliorare il loro benessere, adottare politiche di inclusione e di abbattimento delle diseguaglianze, supportare iniziative sociali e culturali nel territorio di riferimento: tutte queste sono buone prassi che incidono profondamente su una buona brand reputation.

Non a caso, secondo l’Osservatorio sulla Sostenibilità della Società Italiana Comunicazione, realizzato in collaborazione con Format Research4, la “linea di investimento” più perseguita è quella della sostenibilità che, per il 35,4% delle aziende rappresenta «il modo di fare impresa da qui in avanti» e che per 6 realtà su 10 (58,3%) porta ad un aumento della brand reputation.

Key Word #2: Credibilità

Tornando all’elenco delle risposte dei consumatori, un altro tema che risalta è quello che potremmo definire della credibilità. Quando le persone dicono di apprezzare un brand che “mantiene le promesse”, e che “dimostra autenticità in tutto ciò che fa”, dicono sostanzialmente che non bastano le promesse e gli impegni formali, perché la valutazione si basa sui fatti concreti.

Il rapporto di fiducia che si può instaurare tra un’azienda e gli stakeholder sulla base di valori comuni e condivisi va curato nel tempo ed alimentato da azioni e comportamenti coerenti, che mettono in pratica quanto comunicato con le parole. In questo rapporto tra azienda e stakeholder, diventa fondamentale l’intermediazione di realtà terze, il più possibile oggettive, indipendenti e imparziali, che possano testare e confermare la bontà di ciò che l’impresa dice e fa. Enti di ricerca, istituti che conferiscono dei premi, ma anche stampa, esperti qualificati e influencer possono contribuire ad accrescere la buona reputazione laddove attestino la coerenza e la trasparenza di un’azienda.

D’altro canto, il rischio legato alla perdita di credibilità è altissimo: se il rapporto di fiducia viene tradito, è molto difficile poi recuperarlo. In questo senso, le nuove modalità di comunicazione, in particolare il web, possono rappresentare una grande opportunità ma anche una minaccia. Sono un’opportunità perché consentono alle aziende di comunicare direttamente con gli stakeholder e dare visibilità alle proprie azioni. Tuttavia, la notizia di un possibile “errore” ha potenzialità distruttive, perché si diffonde rapidamente e capillarmente. Senza contare, tra l’altro, il pericolo di essere vittima di “fake news”, che fa sorgere l’esigenza da parte delle aziende di tutelarsi dal rischio reputazionale.

Key Word #3: Customer Experience

Infine, l’ultimo punto dell’elenco stilato in base ai risultati dell’indagine Accenture fa riferimento ai prodotti e servizi e chiama in causa la customer experience. Il prodotto o servizio offerto resta infatti centrale nella valutazione della buona reputazione di un’azienda. Rispetto al passato, tuttavia, la valutazione del consumatore non è più solo sulla qualità del bene o sul prezzo, ma su tutta l’esperienza di acquisto – un processo che inizia quando la persona si rende conto di avere un bisogno, si consolida nel momento in cui acquista il bene o il servizio, e prosegue anche oltre, perché comprende l’assistenza post-vendita e il modo in cui l’azienda conserva e tutela i dati raccolti.

Si tratta quindi della interazione-relazione tra impresa e cliente, che può determinare la reputazione di un brand. Un prodotto di ottima qualità venduto senza assistenza o da un addetto scortese influirà probabilmente in modo negativo sulla valutazione dell’azienda da parte del cliente. E se il cliente deciderà di raccontare la sua esperienza negativa, l’opinione entrerà nel flusso delle informazioni che contribuiscono a creare la reputazione del brand.

Reputazione: sarà la “moneta” del futuro?

La brand reputation è già oggi un asset strategico per le imprese, e probabilmente lo diventerà sempre di più, alla luce della crescente sensibilità dell’opinione pubblica ai temi della sostenibilità ambientale e sociale.

Secondo il Reputation Institute5per migliorare la propria reputazione le aziende devono porsi obiettivi superiori rispetto alle proprie performance economiche e operare coerentemente con questi obiettivi. La qualità dei beni e servizi offerti continuerà ad essere centrale, ma una buona reputazione potrà sempre più fare la differenza nell’ambito della competitività. L’impegno nella sostenibilità ambientale e sociale, l’attenzione alla protezione dei dati dei clienti, oltre che alla loro esperienza di acquisto, l’impegno per il territorio sono aspetti che, in qualche modo, dovranno sempre di più entrare a fare parte del “bilancio” aziendale.

In questo contesto, come si sta muovendo Allianz? Il gruppo, di cui fa parte Darta Saving, ha da tempo intrapreso un strada ben precisa nel segno della sostenibilità, del miglioramento della customer experience6 e della trasparenza come strumento essenziale per costruire una credibilità duratura. Tale impegno è stato riconosciuto da autorevoli realtà che si occupano di misurare la reputazione del brand.
Nel 2017, il gruppo è stato inserito nella classifica stilata da KPMG Nunwood dei 50 migliori brand in Italia per customer satisfaction, e nel 2019 il Reputation Institute ha confermato la presenza di Allianz tra i 150 migliori brand dell’Italy RepTrack7. Questa classifica, che valuta la reputazione dei brand, vede Allianz al terzo posto per i servizi finanziari e al secondo tra le realtà assicurative.


1. https://www.accenture.com/_acnmedia/Thought-Leadership-Assets/PDF/Accenture-CompetitiveAgility-GCPR-POV.pdf
2. http://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/societa_diritti/2019/04/15/rivoluzione-etica-nel-business-e-lora-della-reputation_ee52841e-1ccd-4fdb-a122-8877384fc19f.html
3. Roger Bennett, Rita Kottasz (2000), “Practitioner perceptions of corporate reputation: an empirical investigation”
4. https://www.ilsole24ore.com/art/ambiente-territorio-e-welfare-sostenibilita-piace-imprese-e-fa-bene-conti-AEqOviCF
5. https://www.reputationinstitute.com/reputation-macro-trends
6. https://assets.kpmg/content/dam/kpmg/it/pdf/2017/06/KPMG-2017-L-era-della-Customer-Experience.pdf
7. https://insights.reputationinstitute.com/website-assets/italy-reptrak-2019

image_pdfVersione PDFimage_printStampa