Prima che mi convertissi alle caraffe filtranti, Acqua Sant’Anna è sempre stata sulla mia tavola, in ogni formato possibile, in ogni stagione possibile. Non è certo la più economica, ma forse è una tra le più (letteralmente) limpide, anche nell’etichetta. E se oggi non sono più loro cliente, appartengo però professionalmente agli interessati al tema dell’innovazione industriale e della corporate communication, che Sant’Anna ha sempre abituato bene, a partire dal varo della famosa BIO Bottle, che ha riscosso diversi premi e che a detta loro sarebbe la prima bottiglia bio al mondo di acqua minerale 100% riciclabile e biodegradabile, rispettosa di ambiente e salute. Insomma, eccezionale, se consideriamo quanto alto è il consumo di acqua in bottiglia in Italia.
L’elogio a questo marchio potrebbe continuare, perché di ragioni anche non solo teoriche ce ne sarebbero, come ad esempio i loro stabilimenti sulle Alpi costruiti secondo logiche di bio-edilizia, la preferenza del trasporto su rotaia o i programmi di recupero e riduzione delle plastiche, dichiarati anche sul loro sito (qui). E pare che gli sforzi ripaghino: Alberto Bertone, presidente e amministratore delegato, poche settimane fa ha dichiarato al Corriere Economia di aver raggiunto la conquista di una leadership internazionale, con 1,5 miliardi di bottiglie di Acqua Sant’Anna prodotte in un anno.
Se sei un’eccellenza, o ambisci ad esserlo, comunicazione e coerenza devono però andare di pari passo, sempre: solo così si costruirà una solida identità. Scalfire una reputazione ben strutturata è complesso, ma non impossibile: basta scivolare su una buccia di banana per rincorrere nuove opportunità di business, che poi così nuove non sono.
Mi sono imbattuto in un’inserzione di Sant’Anna, scorrendo Facebook, che mi offriva 30 bottiglie di acqua + 6 di tè, ad un prezzo agevolato, consegnate fin sotto casa. Acqua a domicilio, bella impacchettata, senza intermediari; la cosa mi ha incuriosito, tanto da lanciarmi sul sito per saperne di più. Ad accogliermi, un altro simpaticissimo banner di vendita che faceva da coperta… allo shop on-line del brand. Intendiamoci, vendere acqua su internet, pur essendo assurdo, è qualcosa di non così nuovo, ma perchè non lasciare questo (sporco) compito ai rivenditori? Conviene rincorrere un profitto a tutti i costi rischiando di ledere la propria immagine?
La mia delusione iniziava a farsi sentire: pagine sull’impegno aziendale, sullo storytelling e l’ambiente, e si finisce, come primo impatto, con le call to action allo shop di plastica. Anche no, dai.
Da dove spedisce Sant’Anna? Ha centri di smistamento sparsi in Italia? Questo mi sono chiesto. Ammesso che ci sia qualcosa di etico nel compare acqua in bottiglia facendosela consegnare fino a casa, mi piacerebbe capire se parte un furgoncino solo per me, e da dove. Nella F.A.Q relativa alla spedizione l’unica certezza è che raggiungono tutta Italia, ma nulla si dice sulla geolocalizzazione dei magazzini, che invece aiuterebbe parecchio a farsi un’idea riguardo questa operazione. L’unico dettaglio in merito al magazzino che ho trovato vanta che lo stabilimento è condotto da carrelli automatizzati a guida laser, permette il caricamento diretto sugli autotreni che, carichi di acqua fresca, partono e si fermano alla prima grande stazione ferroviaria a valle, dove il prodotto è spostato sui treni e quindi spedito in tutta Italia. Tutto ancora troppo fumoso, per chi cerca di capire se sta comprando un comodo debito con l’ambiente o dell’acqua. Cerco quindi un call center, che non mi sa aiutare, ma posso invece chattare con H₂O, il BOT dell’azienda. Chi meglio di lui può arrivare alla fonte delle informazioni, penso: così chiedo da dove parta la spedizione. Risposta immediata: spediamo in tutta Italia; seconda risposta: grazie a te avrò qualche chance in più di imparare! Bene, ma non benissimo. Lascio H₂O nel suo mare di incertezze, ma prima di gettare la spugna mi ci asciugo le lacrime.
Il punto è che un’azienda leader nel settore, in un settore un po’ affollato, certo, credo non debba cedere alla pressione dell’e-commerce lanciandosi a capofitto nel primo servizio utile da mettere in piedi solo per fare più soldi.
Intendiamoci, comprare prodotti online non è affatto un crimine, e nei confronti dell’ambiente può addirittura fare del bene se – rispetto a centri commerciali o negozi – sono distante abbastanza. Ma spedire plastica da chissà dove, col supermercato vicino a casa, invece, non mi convince per niente. E minare la credibilità di un brand per così poco è un rischio che non correrei mai.
Perchè, ad esempio, non puntare su un modello di business su acqua in vetro e vuoto a rendere? Sarebbe stato più coerente con i valori del marchio Sant’Anna, e io, forse, un pensierino lo avrei fatto…