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Sono ancora molti, troppi, coloro che credono che il proprio navigare on line non generi emissioni e non consumi troppa energia. È un gesto così semplice, un’azione così “immateriale”, che pare impossibile abbia un impatto ambientale degno di nota. Eppure, il mondo del digitale contribuisce in modo importante alla crisi climatica, tanto che non può esimersi dal mettersi in riga.

Più che i governi, in tal senso la grande responsabilità ce l’hanno le aziende, a partire dalle big tech. Ecco perché Karma Metrix per la seconda volta ha dedicato uno studio ad hoc a questi giganti, analizzandone i bilanci di sostenibilità. Con l’aiuto di dati aggregati e di quelli specifici, ha saputo tracciare i ruoli giocati da Amazon, Google, Apple, Meta e Microsoft negli ultimi quattro anni. Sia dal punto di vista dei consumi energetici, sia da quello delle emissioni di CO2.

Impatto ambientale pesante e in accelerazione

Solo nell’ultimo anno, queste cinque grandi aziende tecnologiche hanno emesso 125,9 milioni di tonnellate di CO2e, superando l’intero Belgio, che ha raggiunto 125,4 milioni di tonnellate. Ciò rappresenta un aumento del 30,8% delle emissioni totali dal 2018 al 2021 e una crescita del 14% solo dal 2020 al 2021.

La realtà più impattante dal punto di vista della carbon footprint è certamente Amazon: il 56,8% delle emissioni del quintetto sono sue. Nel 2021 questa azienda ha dichiarato 71 milioni di tonnellate di CO2e, segnando un +18% su base annua che spaventa chi è chiamato ad azzardare previsioni per gli anni successivi, influenzati dall’entrata in scena dei sistemi di Intelligenza Artificiale generativa.

Un altro gigante delle emissioni è Apple (18,4% del totale) che conclude il 2021 dichiarando 23 tonnellate e un incoraggiante +3% rispetto al 2020. Di molto maggiore è il balzo in avanti per le restanti 3 Big Tech: Google segna un + 10% con 11 tonnellate di CO2, Meta con un +11% e 5 tonnellate di CO2e e Microsoft supera tutte con un +21% ed emissioni da 14 tonnellate.

Guardando ai consumi di energia delle cinque aziende scelte da Karma Metrix, nel 2021 si raggiunge un totale di 75,6 milioni di MWh. È un valore che supera addirittura i livelli dichiarati da Paesi come l’Austria, l’Algeria o il Venezuela e che posizionano lo “Stato delle Big Tech” al 42esimo posto nella classifica delle country più energivore. Se però il tasso di crescita resterà uguale, +25% rispetto al 5,7% di media globale, tale immaginario Paese risalirebbe al 34esimo posto a fine 2023 e al 14esimo entro il 2030. Proiezioni che fanno ben comprendere come l’attività digitale di ciascun utente impatti fortemente sul pianeta Terra.

Dal punto di vista delle aziende, quella che più contribuisce a disegnare tale panorama è di nuovo Amazon (40,8% del consumo totale delle 5 aziende) seguita da Google (24,5%). Entrambe dal 2020 al 2021 hanno visto aumentare parecchio i propri consumi energetici, rispettivamente del 29 e del 20%. Il balzo più ampio lo ha però compiuto Meta, segnando un +31%, ma “solo” 9 MWh. Considerevole anche il +25% di Microsoft, nulla a che vedere con i numeri di Apple che nel 2021 dichiara 3 MWh con un + 10% in rapporto al 2020.

La “big” to do list in chiave ESG

Dati alla mano, pubblicati e pubblici, tutte e 5 le aziende raccontano il proprio impegno per migliorare la propria sostenibilità, ridurre l’impronta di carbonio e affrontare le sfide del cambiamento climatico.

Tra le iniziative più diffuse vi sono l’aumento dell’uso di fonti di energia rinnovabili e la conseguente riduzione dell’uso di combustibili fossili e di risorse. Ma non si fermano qui: dai vari bilanci emerge anche un’attività di ricerca continua per massimizzare l’efficienza energetica nei data center.

Google, per esempio, vuole minimizzarne anche il consumo di acqua, considerando che l’attuale è pari a quello di una città italiana di 128mila abitanti. La stessa azienda si è anche impegnata a diventare 100% carbon free entro il 2030 e a migliorare il livello di sostenibilità di tutta la sua supply chain.

I data center compaiono anche nella lista dei buoni propositi di Microsoft che ne sta cambiando il sistema di raffreddamento, per consumare meno acqua. È una mossa con cui mira a diventare Water footprint zero entro il 2030 mentre lavora anche per rendere più in linea con gli ESG il mondo del gaming in cui è uno dei leader.

Il consumo di acqua sta molto a cuore anche a Meta che, nel 2030, ha annunciato di voler diventare water positive. A questo obiettivo unisce la volontà di adottare un approccio di economia circolare, utilizzando sempre di più il calore di scarto, per esempio quello dei propri data center che già oggi, nel Nord Europa, riesce a scaldare le abitazioni.

Tra le promesse che saltano all’occhio sfogliando il bilancio di sostenibilità di Apple c’è invece l’impegno di ridurre le emissioni del 75% in 10 anni, lavorando anche sull’efficienza energetica dei propri prodotti e sull’uso di materiali riciclabili, senza trascurare il ruolo della supply chain che entro il 2030 potrebbe diventare al 100% “powered” dalle energie rinnovabili. Vantando numerosi progetti di sostenibilità in tutto il mondo, anche Amazon racconta il proprio impegno in ambito ESG e si focalizza sulla riduzione delle emissioni legate a spedizioni e trasporti. L’idea è di utilizzare sempre meno packaging e sempre più veicoli a zero emissioni. 

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