BIOON: COSA È SUCCESSO DOPO LA SENTENZA DI PRIMO GRADO?

In febbraio sono state pubblicate le motivazioni della sentenza sul crack BioOn, l’unicorno regina delle bioplastiche distrutta dal panic-selleing generato da un video pubblicato online che accusava la start-up tecnologica “verde” di inconsistenza sul fronte brevettuale, di insussistenza della tecnologia produttiva, etc, tesi accolta acriticamente dal PM Martorelli nelle sue requisitorie (“BioOn vendeva barattoli con dentro l’aria di Napoli”) ma in realtà non confortate dalla sentenza di I Grado del Tribunale di Bologna, che ha invece condannato i vertici dell’azienda non già per questioni afferenti l’aspetto tecnologico bensì per false comunicazioni sociali.
Per chi si fosse perso le puntate precedenti, qui il nostro godibilissimo documentario dal titolo BioOn: Unfair Game, e qui la puntata che la trasmissione d’inchiesta Report (RAI 3) ha dedicato al caso (gustosissimi gli ultimi minuti, non perdeteveli!).
Di seguito, uno schema riepilogativo delle accuse e della successiva sentenza:
I vertici societari sono quindi stati condannati a 5 anni e 2 mesi di reclusione, più all’inabilitazione per 5 anni all’esercizio dell’impresa. La pena accessoria dell’inabilitazione è sospesa per tutti i gradi di giudizio, fino a condanna definitiva, quindi l’ex Presidente Marco Astorri è per ora un cittadino fisicamente libero, e libero anche – se riterrà – di fare impresa.
In ogni caso, ciò che – in estrema sintesi – il Tribunale, quanto meno in primo grado, ha contestato ai vertici di BioOn nelle oltre 500 pagine di motivazioni alla sentenza, sono le false comunicazioni sociali: l’azienda avrebbe comunicato al mercato con eccessiva enfasi i risultati raggiunti (o gli obiettivi ancora da raggiungere) “dopando” così la percezione degli investitori e facendo salire oltre misura il titolo azionario.
L’Avv. Tommaso Guerini, che coordina il team di difesa di Marco Astorri, ha commentato gli esiti del primo grado come segue: “Come ci aspettavamo, è una sentenza ampia e complessa, che andrà attentamente studiata nei prossimi giorni e che non si presta a letture semplicistiche. Ad ogni modo emerge chiaramente che non è la qualità tecnologica di Bio-On la ragione di condanna: è evidente che il tribunale ha considerato esistente la tecnologia e che oggetto di contestazione è esclusivamente il criterio di contabilizzazione in bilancio dei ricavi dal trasferimento a terzi mediante licenza della tecnologia stessa. È questione estremamente tecnica e le valutazioni del Tribunale, invero diverse dal parere di tutti i consulenti tecnici sentiti nel processo, saranno nuovamente discusse in appello. La storia non è finita qui”, ha concluso Guerini.
Il team legale ha quindi annunciato di essere impegnato a predisporre gli atti per il ricorso in appello: lo scontro sui resti di BioOn, la regina del green che avrebbe voluto salvare il mondo dall’inquinamento da microplastiche, pare quindi destinato a proseguire.
Dopo la pubblicazione delle motivazioni, è intervenuto anche Marco Astorri, che per l’intera durata del processo di primo grado ha mantenuto un basso profilo, a suo dire per rispetto al lavoro dei magistrati: “Ho totale fiducia nel mio team legale e nella Magistratura, e sono certo che in appello potremo dimostrare l’assoluta correttezza del nostro operato. La verità è che l’Italia non è un paese ospitale per le start-up, ma sono certo che, anche grazie al nostro caso, la legislazione e la giurisprudenza italiane si allineeranno agli standard internazionali, contribuendo a rendere il nostro Paese competitivo e attrattivo per gli investimenti innovativi esteri”, ha concluso Astorri.
Il punto di vista di Astorri – che pare intenzionato a proseguire nella sua battaglia e anzi a intensificare le attività di comunicazione e sensibilizzazione sul caso BioOn come emblematico dell’inefficienza del nostro sistema Paese nel ospitare investimenti in tecnologia innovativa e in sostenibilità – è chiaro: qualunque start-up potrebbe essere messa sul banco degli imputati e fatta fallire a causa delle iniziative di un Tribunale in quanto “sopravvalutata” rispetto agli asset materiali, ovvero valutata solo per essi e non per il potenziale di sviluppo futuro (a titolo di esempio, Satispay macina 50 milioni di perdite all’anno eppure vale più di un miliardo, perché allora i suoi vertici non vengono inquisiti, potrebbe chiedersi qualcuno, aderendo alla narrativa del Tribunale di Bologna? E questo vale beninteso per qualunque start-up FinTech, lo stesso colosso Meta fattura “solo” 50 miliardi di dollari all’anno, ma vale oltre 1.500 miliardi in borsa).
In ogni caso, sono diverse le domande scottanti sul dossier BioOn che purtroppo – ad oggi, quanto meno – restano senza risposta. Non in ordine di importanza:
Il processo ora continuerà in II grado, e probabilmente in Cassazione, ma ciò che è certo è che il capitolo finale di questo giallo finanziario – che ha privato l’Italia di un patrimonio di tecnologia innovativa in grado di contribuire alla concorrenzialità del nostro sistema Paese sui mercati internazionali – è lungi dall’essere già stato scritto.