Riportiamo – sempre dal periodico TerraNuova – il resoconto di alcune malepratiche in tema di ambiente.
L’ultimo parquet
Come l’industria del parquet sta spopolando all’estinzione il merbau, saccheggiando le Foreste del Paradiso del Sud-Est Asiatico.
Di: Sergio Baffoni (Greenpeace)
La domande di parquet di lusso cresce, e con essa fanno la loro comparsa sul mercato sempre nuove specie. Nuove mode vengono alla ribalta. Colori, venature e caratteristiche tecniche per tutti i gusti, ma pochi si domandano quali siano le conseguenze ambientali di queste nuove tendenze. La grande disponibilità di legnami sul mercato sembra suggerire che si tratti di specie molto diffuse, anzi c’è chi sostiene che il loro impegno sia benefico allentando la pressione sulle varietà più usate. Purtroppo non sempre è cosi. Al contrario, spesso si tratta di specie rare o minacciate, provenienti da paesi in cui i controlli sono scarsi ed ulteriormente annacquati da istituzioni corrotte o autoritarie. È il caso merbau , albero che cresce nelle foreste del sud-est asiatico, le meravigliose Foreste del Paradiso, dove ogni anni spedizioni scientifiche scoprono nuove specie di vita animali o vegetali di cui non si conosceva l’esistenza. Il merbau è un albero a crescita lenta. Ogni albero ha bisogno di 75-80 anni per raggiungere una dimensione di interesse commerciale. È inoltre una specie con una densità che va dai cinque ai dieci alberi per ettaro, perfino nelle foreste più ricche. In molti casi non si trova più di un albero di merbau in un ettaro di foresta. Oggi le foreste della Nuova Guinea vengono setacciate palmo a palmo alla ricerca del merbau. Proprio come nei decenni precedenti veniva setacciata l’Amazonia alla ricerca del mogano.
L’indagine di Greenpeace
Greenpeace ha svolto una ricerca sul mercato italiano, da cui emerge che circa la metà dei fornitori di parquet offre il merbau nel proprio listino, senza però essere in grado di dichiarare la zona di provenienza. Eppure la crescente domanda di parquet di lusso in Italia, così come negli Stati Uniti, Cina; Giapponese e Australia, sta portando il merbau all’estinzione. Nell’ isola della Nuova Guinea, la caccia a questo legno ha scatenato il taglio illegale ed operazioni distruttive, con una devastante corsa al saccheggio angoli dimenticati di paradiso, mettendo a rischio questo albero e numerose specie animali e vegetali che vivono nelle sue foreste. Le grandi multinazionali malesi guidano l’assalto. Una parte significativa del merbau viene poi commercializzata come prodotto finito o semilavorato attraverso la Cina, ma le rotte del contrabbando passano anche tramite l’Indonesia e la Malesia, e terminano sotto i nostri piedi.
Sudan da boicottare
Occorre disinvestire dal Sudan, per colpire economicamente un regime che continua incessantemente e nell’indifferenza pressochè totale, a praticare in genocidio nei confronti della minoranza nera del Darfour; senza contare la piaga, ormai arrivata a livelli di pura barbarie, degli stupri generalizzati. Negli Stati Uniti il Michigan e il New Hampshire hanno approvato una legislazione tesa a disinvestire da compagnie che fanno affari col governo di Khartoum. Di recente anche la California ha reso illegali i contratti con aziende che finanziano il Sudan. Ormai più della metà degli stati ha approvato legislazione che sanzionano chi sostiene il governo della barbarie, così come hanno fatto varie città, enti locali ed università. Il Sudan divestment task force offre consulenza ed appoggio per gli attivisti che hanno a cuore la sorte dei popoli del Darfour e opera anche in altre nazioni come la Gran Bretagna o il Canada. Per l’Italia il responsabile è Scott Wisor, ma la campagna è ancora ai suoi inizi. (G.V.)
Lo scandalo dell’olio di palma sostenibile
Mentre l’industria dell’olio di palma festeggia il primo certificato di “olio di palma sostenibile” rilasciato dalla RSPO (Tavola rotonda per l’olio di palma sostenibile) e dispone a breve sul mercato europeo, Greenpeace diffonde il rapporto “Olio di palma – scandalo delle certificazioni in Indonesia”, che dimostra l’inefficacia del RSPO. La prima certificazione è stata rilasciata alla United PLantations, che rifornisce Neslè e Unilever ed è coinvolta nella distruzione di foreste e torbiere a Kalimantan, in Indonesia. Intanto, per protesta, attivisti di Greenpeace hanno bloccato una nave con un carico di olio di palma indonesiano destinato all’Europa. uno degli attivisti si è incatenato all’ancora della nave Gran Couva resistendo per ore ai potenti getti d’acqua puntati contro l’equipaggio che richiesto l’intervento della polizia.
United Plantations possiede diverse piantagioni in Malesia e Indonesia. la società ha ricevuto la certificazione solo per le proprie piantagioni malesi, ma a condizione che tutte le sue piantagioni – comprese quelle in Indonesia – soddisfino i criteri minimi di sostenibilità stabili dalla RSPO. Il rapporto dimostra come United Plantations non rispetti nessuno di questi criteri. “L’industria dell’olio di palma promuove la certificazione come strumento per combattere la crescente deforestazione del Sud Est Asiatico e quest’approccio è accolto a braccia aperte dai giovani dei paesi europei” avverte Chiara Campione della, responsabile campagna foreste di Greenpeace Italia “ma il nostro rapporto dimostriamo come il primo certificato della RSPO sia solo una cortina di fumo”. L’abbattimento e gli incidenti nelle foreste e torbiere indonesiane hanno già deteriorato l’accelerazione dei cambiamenti climatici. L’Indonesia è, infatti, il terzo più grande emettitore di gas serra nel mondo.