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Nonostante le società europee siano sempre più diverse e multiculturali, sembra che il colore della pelle continui ad avere un impatto significativo sulle opportunità lavorative. Uno studio condotto da diverse università in Belgio, Spagna e Germania, riportato da Ansa, ha rivelato che i cittadini dell’Unione Europea sono ancora a rischio di subire discriminazioni razziali basate sull’aspetto.

La ricerca è fondata sulle esperienze di coloro che, non avendo la pelle “bianca”, si sono sentiti discriminati nella ricerca di un impiego. Questo studio mette in evidenza come chi ha un fenotipo non bianco sia discriminato fin dalle prime fasi di selezione, soprattutto quando i curriculum vitae sono accompagnati da una fotografia. La percezione soggettiva di chi valuta i CV danneggia il metodo di selezione, poiché non si punta a individuare il candidato più idoneo, ma piuttosto quello che rispecchia i pregiudizi del datore di lavoro.

L’indagine rivela che avere un fenotipo nero, asiatico o nativo americano riduce la probabilità di interesse da parte del datore di lavoro di circa il 20%. Allo stesso modo, le persone con un fenotipo caucasico dalla pelle scura, comuni nel Nord Africa, affrontano una riduzione di circa il 10% nell’interesse del datore di lavoro rispetto a coloro che hanno un fenotipo bianco.

Lo studio è stato condotto analizzando le risposte di quasi 13.000 aziende europee a domande di lavoro simulate, in cui veniva allegata una fotografia al curriculum vitae. I ricercatori hanno apportato modifiche ai nomi e alle fotografie sulle domande di lavoro fittizie, mantenendo identiche tutte le altre caratteristiche dei CV. Queste domande sono state presentate a offerte di lavoro reali in diverse occupazioni. Tutti i candidati fittizi erano giovani cittadini dei rispettivi paesi europei, nati da genitori provenienti da quattro grandi regioni del mondo.

“Esiste una forte evidenza sul fatto che l’aspetto razziale dei richiedenti innesca un comportamento discriminatorio” – affermano gli autori dello studio – “Per dirla senza mezzi termini, molti discendenti immigrati in Europa sono discriminati perché hanno fenotipi visibilmente atipici, ovvero non bianchi. Con l’aumento del numero di candidati di seconda generazione che entrano nel mondo del lavoro, aumenta anche il numero di nuovi cittadini europei a rischio di subire discriminazioni razziali basate sull’aspetto”.

Cosa succede in Italia?

Il colore della pelle è considerato uno degli elementi discriminatori quando si cerca un impiego, e le disparità persistono anche quando si interagisce con gli enti pubblici. Uno studio condotto dal Centro studi sulle migrazioni nel mediterraneo Medì di Genova insieme all’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, intitolato “Law-Leverage the access to welfare”, ha evidenziato questa situazione. L’indagine, condotta lo scorso autunno, si è concentrata sulla discriminazione percepita, le esperienze vissute e le testimonianze di 522 cittadini di origine straniera in Italia, quando si trovano in situazioni come gli sportelli pubblici, le banche, i patronati, i centri di assistenza fiscale e le selezioni per l’impiego.

La ricerca ha rivelato che 7 intervistati su 10 hanno dichiarato di percepire uno sguardo diffidente e sminuente nei loro confronti, una linea sottile che separa la pratica discriminante da una vera e propria discriminazione giuridica e istituzionale. è emersa anche una difficoltà nell’accesso ai concorsi pubblici: il 40% degli intervistati ha dichiarato di non aver potuto partecipare a un concorso perché richiedeva la cittadinanza italiana, mentre il 30% ha dichiarato di non essere stato assunto perché l’azienda ha fatto intendere che non assumeva stranieri. “Dal 2013, fatte salve le posizioni apicali, la legge ha abolito il requisito della cittadinanza per accedere a posti pubblici. Eppure molti bandi, in particolare a livello regionale, richiamano ancora quelle norme obsolete, come denunciano quasi quattro intervistati su dieci del nostro campione. Una parte delle discriminazioni è frutto della sciatteria e una parte è anche deliberata. Le prassi continuano a reiterare un requisito che non c’è più. Poi c’è una sorta di onda d’urto per cui le persone danno per scontato che a loro sia precluso quel tipo di lavoro. Questo dato di disparità percepita è evidente e questo significa che le istituzioni italiane non dedicano una cura sufficiente a dissipare l’ombra della discriminazione ” ha affermato Maurizio Ambrosini, docente al Dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università di Milano e responsabile scientifico del Centro studi Medì di Genova.

Secondo lo studio, le discriminazioni percepite sembrano essere correlate al fatto di essere stranieri (30% delle risposte), all’accento o al modo in cui si parla italiano (16%), al colore della pelle (13%), al Paese di origine (12%) e alle credenze religiose (8%). Il fenotipo, come sottolineato nella ricerca italiana, ha un peso significativo, e ancora oggi esiste una “linea del colore” in base alla quale le persone sono maggiormente discriminate. In particolare, la diffidenza riguarda principalmente le persone di origine africana, soprattutto quelle provenienti dall’Africa sub-sahariana, ma lo stesso vale per coloro provenienti dai Balcani, come i cittadini albanesi. Anche chi è in Italia da anni, con un buon livello di integrazione sociale e lavorativa, non sembra essere immune dalle discriminazioni.

Non è solo una questione etica, diversità e inclusione rendono le aziende performanti

Innanzitutto è importante riconoscere che migliorare l’esperienza del cliente è una priorità fondamentale nel 2023. Infatti, secondo uno studio condotto da Salesforce, l’80% degli intervistati ha affermato che il rapporto e le interazioni con un brand sono più importanti dei prodotti e dei servizi offerti. Pertanto, garantire un’esperienza coerente e integrata attraverso tutti i punti di contatto rappresenta la base delle strategie di Customer Experience di molte aziende.

C’è un fattore chiave che le aziende possono sfruttare per crescere e offrire un’esperienza di alto livello: la promozione dei programmi di diversità, equità e inclusione (DEI). In primo luogo, perché c’è una maggiore possibilità di comprensione: un’azienda diversificata e inclusiva incoraggia le differenze nei processi di pensiero e favorisce un mix più ampio di strategie per risolvere i problemi dei clienti e interagire con loro. Consente quindi di acquisire nuovi modi di comprendere le informazioni, offrendo loro percorsi sempre più personalizzati. Secondo uno studio pubblicato dalla Harvard Business Review, se anche solo un membro ha tratti in comune con il cliente, l’intero team ha il 152% in più di probabilità di capire le esigenze dell’utente.

Le aziende inclusive sono inoltre in prima linea nell’innovazione, poiché la diversità favorisce il pensiero complesso. Esaminando i risultati di uno studio condotto dal BCG Group su 1700 organizzazioni in 8 paesi diversi, si è scoperto che le aziende con una diversità superiore alla media nei team di leadership hanno registrato un incremento dei ricavi provenienti da processi innovativi del 19%.

La diversità elevata di un’azienda attrarrà anche i migliori talenti, che contribuiranno a offrire una customer experience di alta qualità. Uno studio di Glassdoor ha rilevato che il 76% delle persone in cerca di lavoro considera un team diversificato un fattore importante nella valutazione delle offerte e il 32% non si candiderebbe per un’azienda che non dimostra un impegno verso la diversità e l’inclusione. Oltre alla motivazione e al rispetto che derivano dal fatto che i dipendenti possano portare la loro autenticità al lavoro, l’ambiente inclusivo offre sicurezza psicologica e un senso di essere ascoltati. Questo dimostra che l’azienda è lungimirante, impegnata a lungo termine e in grado di adattarsi ai cambiamenti di opinioni dei dipendenti e dei clienti.

Dal punto di vista finanziario il copione è lo stesso. Le aziende con alti livelli di diversità superano le altre. Secondo Deloitte, le aziende con una maggiore diversità generano un’entrata per dipendente 2,3 volte superiore rispetto a quelle con una inferiore e la Harvard Business Review ha evidenziato che le aziende con programmi DEI hanno generato un fatturato superiore del 19%.

Con oltre il 63% delle aziende che prevede di aumentare la spesa per la customer experience nel 2023, la diversità e l’inclusione continuano a giocare un ruolo fondamentale per il successo aziendale. In un mercato sempre più competitivo, questi aspetti sono essenziali per offrire un’esperienza al cliente di qualità superiore e distinguersi come leader di settore.

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