Un video confessione che svela il dietro le quinte di una giovane sportiva ai massimi livelli. Di una promessa dell’atletica stroncata da un allenatore e un team fatto di soli uomini ossessionati dal suo peso, che doveva ridursi sempre di più. Così all’astro nascente del Nike Oregon Project Mary Cain, per tre anni, è scomparso il ciclo e, a causa dell’osteoporosi dovuta al grave squilibrio ormonale, si è causata cinque fratture. Una tortura “fisica e psicologica” sfociata anche nell’autolesionismo a cui però nessuno faceva caso. Perché bisognava soltanto vincere, “no matter what“. Un caso che sta scuotendo il mondo dell’atletica americana, con decine di sportivi che esprimono la loro solidarietà a Mary e chiariscono: quello che è capitato a lei è successo anche a tante altre ragazze.
L’esperienza nel Nike Oregon Project – Mary Cain, che oggi ha 23 anni, ha fatto nomi e cognomi in un video del New York Times e Nike ha aperto un’indagine interna per verificare la fondatezza delle accuse. La multinazionale sportiva aveva infatti creato il suo team, considerato molto prestigioso, per promuovere l’atletica. Era il migliore programma del paese per chi aveva qualità promettenti e l’accesso era concesso soltanto ad atleti dal grande potenziale. Una di loro era Mary Cain: a 17 anni si era qualificata per la finale dei 1.500 metri ai Mondiali di Mosca nel 2013, diventando così la più giovane a rappresentare gli Usa nell’atletica. Era anche la mezzofondista americana più giovane e più veloce di tutti i tempi, quelle che tutti pensano destinate a vincere le Olimpiadi.
In mezzo, però, c’è la vicenda di Mary. Il team tutto maschile incaricato della sua preparazione atletica, con Salazar in testa, premeva costantemente sul fatto che dovesse dimagrire. Era ossessionato dal suo peso, sempre di più. Una linea che ha avuto conseguenze pesantissime per Mary: la sua vita si era trasformata in un crescendo di umiliazioni, autolesionismo, pensieri di suicidio e perdita del ciclo, con squilibri ormonali per cui è arrivata a procurarsi cinque fratture. Il team del Nike Oregon Project sapeva tutto, la vedeva. Ma non faceva niente, non si curava né del suo disagio fisico né di quello mentale. “Ero entrata perché volevo essere la migliore atleta di sempre – ha detto Mary al Nyt – e invece sono stata emotivamente e fisicamente violentata da un sistema ideato da Alberto e avallato dalla Nike“. Il suo allenatore, ha continuato, “era costantemente impegnato a cercare di farmi perdere peso. Aveva creato un numero arbitrario di 114 libre (51,7 chili). Di solito mi pesava di fronte ai miei compagni di squadra e mi umiliava davanti a tutti se non stavo perdendo peso. Voleva darmi la pillola anticoncezionale e dei diuretici per raggiungere lo scopo”. Una situazione di non ritorno: “Mi sentivo impaurita e incastrata, iniziai ad avere pensieri suicidi. Ho iniziato a tagliarmi. Alcuni vedevano che mi tagliavo. Ma nessuno ha mai fatto o detto qualcosa”. Quando spiega ai suoi genitori cosa stesse accadendo loro la riportano subito a casa. “A quel punto non pensavo neanche più alle Olimpiadi – dice – stavo solo cercando di sopravvivere”.
Rivelazioni sulle quali Nike ha avviato indagini interne. E le rivelazioni di Mary sono ulteriormente supportate da Steve Magness, ex assistente di Salazar poi diventato whistleblower di quanto accadeva dietro le quinte degli allenamenti del Nike Oregon Project. Ricorda, parlando col Guardian, quando gli chiesero di convincere un’atleta a perdere peso. Guardando i dati, osservò che i valori erano in linea, che non c’era nessuna necessità di dimagrire. Ma a quel punto la risposta fu: “Non mi importa quello che dice la scienza, so quello che vedo coi miei occhi. Ha il culo troppo grosso’. Nella stanza – precisa – non c’era nessuno a cui importassero benessere e salute. Quando la cultura di porta all’estremo, è questo quello che succede”.