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L’azienda pluripremiata da Coldiretti, modello di start up fondata da un giovane bocconiano di nobili origini, Guglielmo Stagno d’Alcontres, sfruttava i braccianti africani a una quindicina di chilometri di Milano. E’ l’ipotesi che emerge dall’inchiesta ‘Corsa contro il tempo’: quella che, secondo i finanzieri del comando provinciale di Milano, dovevano fare i lavoratori per raccogliere le fragole il più in fretta possibile, minacciati altrimenti di licenziamento o di essere messi in ‘pausa di riflessione’ per un paio di giorni a casa.

Le fragole ‘da Oscar’ dei milanesi 

Frutti succosi e brillanti che da qualche anno spuntano agli angoli di Milano sui camioncini dell’azienda di Cassina de’ Pecchi, la cui sede è nel Parco agricolo Sud, vincitrice dell’Oscar Green di Coldiretti nel 2013 e 2014 e di altri riconoscimenti in tema di sostenibilità ambientale, oltre che seguita su Instagram da sei milioni di follower attratti dalle immagini bucoliche.

.Ora i finanzieri hanno messo sotto sequestro, su disposizione di un giudice, tutti i beni della società, consistenti in 53 immobili, tra terreni e fabbricati, 25 veicoli e 3 conti correnti e hanno nominato un amministratore giudiziario ai fini della continuità aziendale. Valore complessivo, 7,5 milioni di euro. Sette i denunciati per intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera, tra cui d’Alcontres,un altro amministratore, due sorveglianti, due impiegati amministrativi e il consulente dell’azienda che predisponeva le buste paga.

Nessun rispetto delle norme anti-Covid, potenziale “bomba a orologeria”

Agli investigatori i braccianti, provenienti da centri di accoglienza tra Milano e la Brianza, con regolare permesso di soggiorno, hanno detto tutti la stessa cosa: “Dovevamo raccogliere e confezionare le fragole a 4,5 euro all’ora per più di nove ore al giorno in tempi impossibili altrimenti alla sera, quando si faceva il bilancio della giornata, ci sgridavano. Nei casi peggiori ci mettevano in punizione a casa due giorni o non ci facevano più lavorare”. “Condizioni degradanti per un salario misero”, aggravate dal mancato rispetto delle misure anti-Covid. “Una potenziale ‘bomba a orolgeria’”, spiega una fonte all’AGI, “decine di lavoratori gli uni vicini agli altri, senza mascherine, bagni, docce. Per fortuna, dai primi riscontri non sono emersi casi di positività”. L’indagine, durata due mesi, era partita dall’analisi delle banche dati a disposizioni dei finanzieri, insospettiti dal fatto che la StraBerry prendesse e mandasse a casa nel giro di due giorni numerosi lavoratori. Per il momento gli indagati non sono stati ancora sentiti in Procura.

“Costretti a usare i diserbanti senza protezione”

Stando ai loro racconti, i braccianti sarebbero stati anche costretti ad utilizzare i diserbanti e i fitofarmaci che rendono ‘più rosse’ le fragole senza dispositivi di protezione,come tute, occhiali e guanti, né il patentino previsto dalla legge per effettuare questo tipo di attività. Del tutto inapplicate, secondo i riscontri di Ats e Vigili del Fuoco, le più elementari norme igieniche.

C’era un solo  un bagno chimico che, da un punto all’altro dei terreni di raccolta, distava una ventina di minuti a piedi. Inoltre, non era previsto neanche un piano antincendi. Durante le operazioni di raccolta, i braccianti hanno spiegato agli inquirenti che non potevano parlare tra di loro perché anche quella era considerata una ‘distrazione’ rispetto all’obbiettivo primario di produrre senza sosta. 

La storia della StraBerry  dall’inizio

“Un esempio riuscito di agricoltura che valorizza il territorio nel segno dell’eco‐sostenibilità”, così Coldiretti nel 2014 laureava con l’’Oscar Green’ Guglielo Stagno d’Alcontres, fondatore della Straberry, l’azienda agricola da 7, 5 milioni di euro sequestrata ieri dalla Guardia di Finanza di Milano per sfruttamento dei braccianti, per lo più africani.

  Un riconoscimento vinto per due anni di seguito, assieme ad altri che celebravano il sogno della fragole pure e lucenti cresciute a “15 chilometri dal Duomo”, come si legge sul profilo istagram dell’azienda, che conta oltre sei milioni di follower.

Tutti incantati dalla narrazione del frutto incontaminato e dalla ricette multicolori per valorizzarne gli aromi.  A 24 anni il giovane messinese con nobili radici (ora  ne ha 31) aveva deciso di investire  2 ettari e mezzo dei terreni di famiglia a Cassina de’ Pecchi, periferia nord est di Milano, per la costruzione di cinque serre fotovoltaiche di 5 mila metri quadrati l’una dove coltivare circa 200 mila piantine di fragole e seimila lamponi.  

Dopo sono arrivati i mirtilli, le more, i succhi e i frullati e e perfino le fragoline di bosco, una vera rarità, che faceva brillare gli occhi ai milanesi quando le vedevano spuntare da una delle tante Ape car col marchio StraBerry disseminate in città. E anche le visite didattiche, l’orto comune “per portarvi a casa tutto il sapore di StraBerry”, l’area picnic, le aperture domenicali alla famiglia.

Insomma, la creazione di una clientela che si identificava nel sogno incontaminato alle porte della grande città.  L’ultimo progetto confidato ai media da d’Alcontres era “un franchising perché il nostro modello potrebbe essere esportabile”. Per adesso l’azienda è nelle mani di un amministratori giudiziario, in attesa degli sviluppi dell’indagine.

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