Il ruolo strategico della CSR nella governance
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Diciotto anni di studi su 180 aziende hanno dimostrato che le organizzazioni attente alla responsabilità sociale d’impresa hanno performance notevolmente migliori, sia in termini economici che finanziari, rispetto alle aziende che ignorano la CSR. Sono i risultati di una recente ricerca della Harvard Business School. L’analisi di Luca Poma.
Assai curioso che lo studio di straordinario lavoro di Robert Eccles, Professore di Management Practice nell’Unità di Comportamento organizzativo allaHarvard Business School, coadiuvato da George Serafeim, Professore di Business Administration e Management presso la stessa Università, sia passato quasi del tutto inosservato in Italia.
I ricercatori hanno confrontato un campione corrispondente di centottanta aziende, novanta delle quali sono state classificate come imprese “ad alta sostenibilità” – quindi con percorsi e progetti di responsabilità sociale strutturati e attivi – e novanta al contrario come imprese “a bassa sostenibilità”, ovvero senza alcuna particolare sensibilità in tema di CSR.
Obiettivo della ricerca era di esaminare le organizzazioni monitorate sotto il profilo della governance, della cultura e soprattutto delle prestazioni, alla luce dell’elevazione della CSR a dimensione strategica nelle aziende.
I risultati di ben diciotto anni di studi hanno mostrato un risultato precedentemente intuito da molti addetti ai lavori, ma che fino ad oggi mancava di conferma e di affidabile supporto scientifico: le imprese ad alta sostenibilità “sovraperformano” – sia sotto il profilo dei risultati contabili che di quelli di borsa – rispetto a quelle prive di percorsi di CSRcodificati.
La ricerca suggerisce però – com’è giusto e prevedibile, trattandosi di processi che incidono sul DNA stesso delle organizzazioni – che questa “sovra-performance” si verifichi solo nel lungo periodo: i gestori e gli investitori che sperano di ottenere un vantaggio competitivo nel breve periodo hanno quindi scarse probabilità di successo, se pensano di inserire la sostenibilità come keyword nella strategia della propria organizzazione senza però avviare cambiamenti strutturali sull’identità stessa dell’azienda e sul modo che essa ha di raccontarla. Sono le politiche aziendali di alta sostenibilità che devono inevitabilmente riflettere la cultura di fondo dell’organizzazione, e non la cultura dell’organizzazione che dev’essere “piegata” al servizio della CSR al fine di darsi una “mano di verde” per apparire più “green” e più appetibili agli occhi di consumatori e investitori.
Nella ricerca, emergono alcuni concetti chiave:
Il dato che però appare più evidente, specie agli occhi degli impreditori e degli investitori, è quello della crescita di valore delle aziende: un dollaro – assunto nella ricerca come unità di misura – investito nel 1990 in azioni in aziende ad alta sostenibilità e con una applicazione strutturata di politiche di CSR, ha reso – in diciotto anni – tra il 25 e il 35% in più rispetto al rendimento delle aziende a bassa sostenibilità. Ovviamente per entrambi i gruppi il valore azionario ha subito contrazioni nelle crisi borsistiche del 2003 e soprattutto 2008, ma il risultato finale è chiaro, e al momento della pubblicazione della ricerca il delta di valore fra le aziende dei due gruppi era ancora in continua ed esponenziale crescita. Fra gli altri fattori considerati come probabile causa di questo over-performing, è indicata sicuramente la capacità di attrarre, fidelizzare e incentivare le migliori forze lavoro disponibili sul mercato delle risorse umane, e non mancano casi di aziende che hanno trasformato l’attenzione verso l’ambiente in un fattore competitivo di eccellenza, trasformando o rifocalizzando la mission dell’azienda stessa su campi innovativi ad alta redditività nel campo delle tecnologie ambientali o eco-compatibili.
A queste riflessioni aggiungiamo che anche l’Unione Europea si è recentemente pronunciata (2) a favore di questo modello di business: strategie e azioni sistemiche di sostenibilità e responsabilità sociale si presentano come essenziali fattori di competitività anche alla luce delle politiche più recenti dell’UE sulle forniture pubbliche, le quali tenderanno sempre più a premiare gli operatori economici in grado di includere questi aspetti nella loro attività e nelle offerte per gli appalti di rilevanza comunitaria, ed entro il 2020 la commissione Europea prevede che il 50% delle forniture pubbliche debba essere conforme a criteri riconosciuti di tutela ambientale e CSR.
Pare ormai evidente che la teoria della CSR e la pratica della sostenibilità d’impresa – ben lungi dall’essere mero strumento delle relazioni pubbliche – stiano acquistando finalmente agli occhi degli utenti finali, degli imprenditori, degli addetti ai lavori del nostro settore ed anche dei decisori istituzionali, una propria dignità di disciplina indipendente, elevabile a dimensione strategica come innovativo modello di business, vero vettore per uno sviluppo armonico e solido delle aziende del XXIsecolo.
(1) Un esempio di reportistica integrata innovativa è il Progetto Web-Cam: http://www.ferpi.it/ferpi/novita/notizie_rp/management/il-progetto-webcam-per-il-bilancio-sociale/notizia_rp/42937/8
(2) Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sugli appalti pubblici, COM 896 definitivo 2011/0438 (COD) Bruxelles