Manifesto della nuova comunicazione

Con queste righe, maturate da vari confronti tra professionisti del mondo della comunicazione, avvenuti in ambienti digitali nel corso del lockdown Covid-19, intendiamo dare voce all’inquietudine, alle paure, alle esperienze di valore, alla voglia di rigenerazione e di futuro. Con una prospettiva di pubblica utilità e con tutto l’accompagnamento interpretativo che occorre, vorremmo contribuire a ridurre il rancore sociale che nei mesi precedenti l’arrivo del virus abbiamo visto visibilmente e consapevolmente aumentare in tutto il Paese. Le pagine che seguono sono un testo di lavoro, aperto e inclusivo, sottoposto a integrazioni successive da parte di colleghi che si sono avvicinati progressivamente, proponendo spunti e modifiche.
Non torneremo alla normalità come se niente fosse accaduto.
Prendiamoci tutto il tempo per riformulare il nostro ruolo di comunicatori e ribadirlo ai nostri datori di lavoro, pubblici o privati che siano, tornando alla funzione originaria di ‘servizio pubblico’, per trovare il contesto e il coraggio di tornare nei ruoli.
Siamo preoccupati per l’eccesso di presentismo che si riscontra sia nella comunicazione politico-istituzionale che nella comunicazione d’impresa, nel momento in cui i cittadini manifestano una più diffusa domanda di futuro sugli scenari sanitari, economico-produttivi e occupazionali, sociali, culturali e di ampliamento del vocabolario di relazione.
Siamo inoltre preoccupati per la non ancora perfetta consapevolezza della necessità di “pensare” la comunicazione come un processo globale e collettivo, inclusivo e collaborativo, del quale è fondamentale saper attivare il percorso, conoscendone le dinamiche di sviluppo.
Vorremmo fissare l’attenzione sulle trasformazioni di reputazione, intese come rapporto tra condizioni identitarie e le loro possibili narrazioni.
Riteniamo importante assumerci, come comunicatori, la responsabilità culturale, etica e deontologica di imparare e insegnare a gestire una realtà dominata e governata dalla percezione, plasmata e deformata dal digitale.
Possiamo dire qualcosa di competente anche sul tema della relazione dei territori e tra i territori.
Le possibili linee di sviluppo del pensare Paese partono proprio dall’attrattività dei territori, dei brand collegati e dei servizi, declinabili in attrattività sostenibile, qualificata e non occasionale.
Il professionista della comunicazione non è un mero esecutore, ma ha come funzione quella di costruire e tenere insieme le relazioni, fornire spiegazioni, formulare interpretazioni, codificare l’esigenza di ‘futuro’ e trovare il giusto garbo per essere univoco, chiaro e disintermediato, equilibrando al meglio l’interesse del proprio committente con quello di tutti i pubblici coinvolti nella narrazione.
Nel dibattito (e dunque nella comunicazione pubblica) che si è sviluppato in questi mesi si è assistito ad alcune tendenze, figlie di alcune pratiche delle quali eravamo consapevoli, ma che abbiamo troppo a lungo colpevolmente trascurato:
Talvolta c’è la sensazione di essere un Paese ‘satellite’ e dipendente da decisioni altrui, incurante di avere una rete universitaria straordinaria e un patrimonio di aziende pubbliche all’avanguardia che gestiscono beni primari in ogni condizione. Dopotutto l’Italia è tra i paesi più industrializzati del mondo, e questo orgoglio, frutto dell’azione di realtà imprenditoriali e creative straordinarie, non emerge con forza come invece accade altrove.
Dal nostro punto di osservazione particolare, si avverte poco commitment da parte della politica del Paese e dell’impresa sulla rigenerazione, nonostante i molti cenacoli, i think tank, i comitati scientifici del momento.
Le amministrazioni pubbliche stanno garantendo, insieme alla comunità della cura, la continuità della vita (con sussidi, trasporti, servizi essenziali) ma rischiano il fiato corto per l’enorme mole di procedure burocratiche che occupa la maggior parte del loro tempo. Eppure, negli enti locali, a diverse latitudini, esistono progettualità notevoli che non emergono a sufficienza. Dobbiamo dare loro tutto il supporto narrativo del caso per le eccellenze, laddove esistono.
Il valore aggiunto di questa intelligenza collettiva sarà la capacità di selezionare con accuratezza, attribuire priorità e successivamente promuovere soltanto quei temi che hanno un maggior impatto etico e sociale, che hanno effetti positivi sulla collettività oltre ogni ragionevole dubbio, che riportino la giusta attenzione sul commitment.
Un gran numero di professionisti della comunicazione che scegliessero volontariamente uno o due temi utili al Paese e s’impegnassero personalmente ad inserirli in tutti i contesti comunicativi nei quali operano, trasferendoli anche ai clienti/aziende/istituzioni con i quali lavorano produrrebbe un naturale effetto domino, diffondendo una sensibilizzazione specifica e – per restare in tema – contagiosa.
Un impegno civile, di servizio, della comunità di professionisti della comunicazione, basato sul passaparola e sulle reti di contatti, senza alcun vincolo, lontani da estetismi, ricerche di gergo e paradigmi inutili.
Manca immaginazione sociale, decodifica, interpretazione, accompagnamento.
Abbiamo mobilitato (non sempre nobilitato) grandi masse con le emozioni, i frame del momento, i trend demoscopici sulla percezione. Il tutto addomesticato da algoritmi. La comunicazione, con le sue professioni, ha l’occasione ora di riformulare il suo ruolo e la sua dimensione sociale preminente: quella di accompagnare nella comprensione (e nell’interpretazione) della realtà.
Occorrerebbe troppo tempo per illustrare i buoni risultati e i conseguenti buoni effetti d’intere generazioni di comunicatori, pubblicisti, creativi.
Se confrontate a quelle generazioni, le nostre rischiano il fiato corto, se non riusciamo a impossessarci delle agende, dei vocabolari, dei piani strategici della committenza.
Il tutto, riportando a tema l’importanza di costruire relazioni di qualità. Da sempre tratteniamo oggetti, tanto che ci irrita perdere anche solo una penna a sfera; tratteniamo chili in eccesso, perché atavicamente addestrati a prepararci ai periodi di carestia; tratteniamo persone, che siano figli o amici, perché la nostra visione antropocentrica della vita pone sempre noi al centro di tutto.
Dobbiamo invece reimparare a dare. Così facendo, la licenza di operare – nostra e delle organizzazioni che rappresentiamo – tenderà ad aumentare tanto più trasferiremo contenuti e consapevolezza ad altri: nella speranza che essi siano a loro volta pronti a ricevere, accogliere e dare nuovamente ad altri, coltivando, migliorando e nutrendo la loro preziosa rete di relazioni.
Vogliamo impegnarci con pochi e chiari atteggiamenti.
In conclusione, alcuni suggerimenti per lanciare degli stimoli in un’ottica di proposta sempre aperta a nuove contaminazioni:
Allargare la rete d’interlocutori (professionisti, reti, federazioni, associazioni di categoria) per consolidare la riflessione, accelerando i processi di crescita qualitativa di tutti noi.
Realizzare momenti di confronto, anche nella modalità partecipative e deliberative che oggi la rete agevolmente consente, trasformando e valorizzando le dinamiche comunicative dei gruppi informali e formali, con uno sguardo attento e interessato anche a ciò che succede all’esterno dei confini nazionali, in Europa e non solo.
Verificare opportunità di potenziale commitment sulle tematiche salienti individuate.
Daniele Chieffi, direttore comunicazione e PR – Dipartimento per Innovazione e digitalizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Luca Montani, direttore comunicazione e relazioni istituzionali MM Spa.
Piero Pelizzaro, chief Resilience Officer Sharing Cities City Lead, Comune di Milano.
Andra Pillon, CEO di Avventura Urbana e docente a contratto presso l’Universita di Torino – Cattedra Luigi Bobbio, “Governance e gestione alternativa dei conflitti”.
Luca Poma, professore di Reputation management presso l’Università LUMSA di Roma e l’Università della Repubblica di San Marino.
Stefano Rolando, direttore scientifico Osservatorio su comunicazione pubblica, public branding e trasformazione digitale Università IULM.
Gian Luca Spitella, direttore della Direzione Comunicazione Specialistica e Mass Media, ARERA.
Chiara Bassani, partner Rock Communications
Alex Buriani, Consulente di ricerca e analisi statistica
Andrea Cancellato, project manager ADI, già direttore generale Triennale di Milano
Nadia Deisori, consulente di comunicazione Digital Human
Emanuele Martinelli, CEO Energia Media
Luca Ferrario, marketing and Communication Manager
Francesca Gresia, responsabile comunicazione e pr di Fortunale
Maria Grazia Persico, CEO Nonsoloambiente
Walter Rolfo, formatore, autore televisivo, illusionista e scrittore
Alessandro Ubertis, CEO di Carmi&Ubertis
Giorgia Grandoni, ricercatrice in reputation management presso la start-up innovativa “Reputation Management SRL”
(…)
*Al 25 agosto 2020
Aggiornamento del 25 agosto 2020