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Il Welfare? Ce lo facciamo in azienda! Asili, carte di credito, sanità e pensioni Dove manca il pubblico arriva il privatoChissà se lord William H. Beveridge, il padre del moderno welfare state, si rivolterà nella tomba o sorriderà sornione di fronte alla mutazione genetica a cui la sua creatura è sottoposta. Da pragmatico economista guarderà con piacere l’evolversi del suo programma e con malinconia il declino dello stato sociale. Ma niente paura: put in crisi di risorse pubbliche, il welfare è vivo, in particolare nella sua forma aziendale e privata.
I casi
Il company welfare si sta infatti diffondendo e coinvolge un numero crescente di imprese. «Se non ci pensa lo stato, ci pensiamo noi», è lo slogan del nuovo corso, che anche in Italia fa proseliti. E’ il welfare aziendale, ma anche municipale, territoriale, di reti di imprese, senza contare i cosiddetti enti bilaterali, che integrano il welfare pubblico con interventi di privato sociale a sostegno di particolari categorie di lavoratori (per esempio artigiani, interinali e in somministrazione). Capostipite emblematica del nuovo corso è senz’altro Luxottica, gruppo nato a Belluno con oltre 70mila dipendenti, che pochi giorni fa ha rinnovato e integrato l’accordo pioniere del 2009 sul sistema di welfare interno: ora, oltre al carrello della spesa (sostegno al reddito dei dipendenti), il supporto alla scuola dei figli e alle polizze sanitarie, arriva anche il microcredito di solidarietà. E’ la sperimentazione di iniziative di sostegno finanziario a favore di dipendenti in difficoltà ad accedere ai canali del credito bancario, per aiutarli ad affrontare spese, in particolare mediche, scolastiche e di assistenza agli anziani. Il segnale che viene dagli accordi è preciso non solo per i contenuti, ma anche per le relazioni sindacali che da conflittuali diventano sempre più cooperative. Il welfare aziendale vede oggi in Italia diverse aziende protagoniste. L’ex ministro del Lavoro, Tiziano Treu, che ha appena curato per Ipsoa una sorta di vademecum per questa nuova pratica («Welfare aziendale»), riporta numerosi casi. Si va dai pionieri di Luxottica e di Abb del novembre 2008 a quelli di Henkel, Campari, Danone, Avon, Sea, Ferrero, Ikea, Nestlè, Bracco, Intesa San Paolo ed Eni. Numerosi anche gli accordi territoriali, firmati da imprese e sindacati, come a Como, Treviso e Prato o anche iniziative da pare di enti locali, come le province di Bergamo, Reggio Emilia e Varese. In quest’ultima è nata Giunca, (Gruppo imprese unite nel collaborare attivamente), la prima rete di azinede per nuove iniziative di welfare aziendale a favore dei dipendenti. L’hanno costituita dieci imprese, tra cui alcuni colossi del farmaceutico (Novartis e Sanofi) e altre di minori dimensioni.
Favorevoli
Dipendenti e manager sembrano apprezzare questo nuovo corso delle politiche di gestione delle risorse umane, anche se non tutte le aziende lo fanno. Secondo un sondaggio di Manageritalia realizzato con Astraricerche e Duepuntozero su un campione di 840 dirigenti e 672 italiani, solo il 10% degli intervistati dichiara di godere nella propria azienda di misure di welfare aziendale, ma il 90% dichiara anche che desidererebbe averne. Analoghi risultati emergono dal Barometro Edenred-Ipsos 2013, realizzato dalla multinazionale dei servizi, che mettono in luce anche la persistenza di diffidenze da parte dei dipendenti e politiche aziendali non sufficientemente mirate e finalizzate all’argomento. Mentre da una ricerca Cisl Lombardia sulla contrattazione di secondo livello su 1.451 aziende emerge che in una su cinque (oltre il 18%) sono previste misure di welfare aziendale. Tra i temi oggetto delle negoziazioni sul welfare aziendale campeggiano la conciliazione tra lavoro e famiglia (orari, turni, congedi, asili, carrello della spesa, maggiordomo aziendale), le assicurazioni (sanitarie, ma anche previdenziali e pensionistiche), i flexible benefit (auto, pc, carta di credito), molto ambiti dai manager e dagli uomini. Il futuro del welfare aziendale, visto il protrarsi delle difficoltà del welfare pubblico, sarà inevitabile, ma il suo sviluppo dovrà fare i conti con le inadeguatezze delle politiche aziendali e le rigidità fiscali.

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