Pubblichiamo volentieri un estratto dal libro “Contro il Management”, di Francesco Varanini.
E’ interessante ricordare Adriano Olivetti per come sceglieva e formava i suoi manager: tanto un giovane filosofo uscito dalla Normale di Pisa o dal Collegio Ghisleri di Pavia, come un brillante ragazzo conosciuto perché lavora a una pompa di benzina, servono ingegneri, ma anche poeti. Poi in ogni caso, si passa attraverso l’addestramento interno, che prevede in ogni caso la conoscenza della fabbrica ed il lavoro nel settore commerciale, a contatto con i clienti. Ma la storia emblematica, che segna veramente la differenza, credo sia quella di Natale Cappellaro. Capellaro nasce ad Ivrea nel 1902, un anno dopo Adriano. L’infanzia è difficile: “Io volevo lavorare nel ferro. Mi piaceva, fin da piccolo, costruire oggetti. Nessuno a quei tempi regalava giocattoli. Io me li costruivo. Ricordo di avere persino costruito una macchina fotografica”. All’età di 14 anni viene assunto in Olivetti come apprendista operaio. E’ la realizzazione del sogno. Per numerosi anni lavora nel settore macchine da scrivere, dove inizia a dimostrare le sue qualità di progettista. Negli anni ’40 l’azienda entra nel mercato delle macchine calcolatrici, fino ad allora dominato da produttori americani. I prodotti leader di allora erano in grado di visualizzare –ma non di scrivere su carta– i risultati delle operazioni aritmetiche. Capellaro, a quei tempi niente più che un operaio specializzato, rimane affascinato dai meccanismi di calcolo, certamente più complessi di quelli delle macchine da scrivere. Finché un giorno, durante la guerra, è fermato all’uscita dalla fabbrica. Sta portando via senza autorizzazione materiali di laboratorio. Perciò viene sospeso dal lavoro. Adriano Olivetti lo convoca per chiedergli conto dell’accaduto. E Capellaro tranquillamente gli parla: da anni è costretto a collaborare con ingegneri troppo legati ai loro schemi, incapaci di soluzioni innovative. Mostra il progetto di una nuova macchina, su cui ha lavorato a casa, in segreto. Per questo ha avuto bisogno di portare fuori attrezzi e materiali. Olivetti intuisce le potenzialità dell’idea e lo invita a proseguire. Capellaro è un lavoratore insaziabile. Il suo cassetto è pieno di schizzi; per lui tempo libero e lavoro si identificano. Per lui la meccanica, prima di essere un ragionamento, prima di svilupparsi come sequenza di logiche operazioni, prima di esprimersi in funzioni matematiche e principi fisici, è intuizione, è creatività. Qualcosa di vicino all’intuizione dell’artista. La sua genialità sta nella semplificazione: meccanismi più semplici, meno ingranaggi: ne risulta un abbattimento dei tempi di produzione e un aumento dell’affidabilità. Ma al tempo stesso sa immaginare l’uso delle calcolatrici, e quindi sa inventare nuove funzioni. (A suo nome sono registrati più di trenta brevetti). Nel 1944 Capellaro è nominato responsabile dell’Ufficio Progetti. Adriano Olivetti si era preso la briga di parlare con Cappellaro. Si era incuriosito, era andato a vedere. Conoscete manager disposti a fare altrettanto? Un buon manager non va a parlare con persone come Cappellaro. Il suo tempo è un serrato susseguirsi di riunioni con persone importanti, telefonate e viaggi. Perché mai dovrebbe abbassarsi ad incontrare personalmente un operaio che ha violato un esplicito regolamento: un ladro, a essere precisi. Foderato delle sicurezze del suo ruolo, impacchettato nel suo bel vestito, il manager copre le posizioni importanti con manager come lui, usciti dalle migliori scuole, magari, per non sbagliare, sottratti a un concorrente. Forse, a ben guardare, la realtà è anche più triste. Il nostro manager, che non sa nulla di tecnologie, che non ha mai visto la fabbrica, abituato a parlare col solito linguaggio farcito di parole inglesi buttate lì come fumo negli occhi, lontano da ogni forma di lavoro manuale, chiuso in una vita che dalle aule ad anfiteatro della Business School ha portato direttamente sulla poltrona dirigenziale, teme l’incontro con persone come Capellaro. Non saprebbe che dire, non saprebbe ascoltare, non potrebbe capire.