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Nel giorno del Cyber Monday ci scopriamo a giocare con i Lego e non è un corto circuito, solo un ibrido di cui c’è un dichiarato bisogno. Una necessità che ha un suo indice di mercato. L’era del digitale, così come l’abbiamo vissuta nella sua prima ondata, è finita. Non torneremo indietro, ma ci mancava qualcosa e abbiamo trovato il coraggio di dirlo.

Il revival non è recente, la libertà di sfruttarlo e rivederlo a piacimento invece sì. Fino all’anno scorso questo mondo riemerso veniva nascosto sotto l’etichetta vintage, una moda, un genere, un capriccio eccentrico. Il vintage è sempre guardato con pregiudizio perché sa di reticenza alla contemporaneità, smania di stare altrove. Ma il ritorno all’analogico non è un atteggiamento anticonformista, è la pace con i desideri insoddisfatti, un pezzo di noi archiviato troppo in fretta.
Non torneremo ad aprire scomode cartine quando possiamo cercare l’indirizzo sulla mappa dello smartphone, useremo tutte le app che ci sono utili per prenotare una vacanza o organizzare il lavoro e contemporaneamente regaleremo costruzioni. Non è obsoleto, è umano. Distratti dalla curiosità per i nuovi giocattoli abbiamo ceduto alla logica binaria tipica del computer: se prenoto la cena con un clic poi è vietato perdere tempo al mercato, se voglio comprare un libro vero e non trovo gusto nel pur comodo ebook, poi non sembra coerente sbloccare una bici a tempo con il codice a barre, inviato da un sistema al mio telefono. Il digitale ha preteso una radicalità che ora lo penalizza. È efficiente e quindi indispensabile, però è limitato. Va contaminato da un’intelligenza meno artificiale, vanno bene anche dei pezzi di plastica colorata.
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