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iamo abituati a considerare il fallimento come una privazione. Il dizionario lo definisce come la mancanza di successo: di fatto è una mancanza di abilità e di capacità, è l’assenza dell’opportunità che avevamo sempre atteso. E siamo abituati a guardare agli insuccessi dall’angolazione scontata e abituale. Ossia come torti ingiusti, brutte sbavature, cattive partenze. Ma successo e fallimento sono due facce della stessa medaglia che non si escludono ma convivono, si integrano, si completano e sono parte essenziale delle nostre vite». Così afferma Francesca Corrado, economista, ricercatrice, formatrice, autrice di “Elogio del fallimento. Perché sbagliare fa bene”, libro edito da Sperling & Kupfer. È un punto di vista straordinariamente controcorrente quello di Corrado, che è anche ideatrice della prima Scuola di Fallimento, soprattutto in questi tempi connessi nei quali si va sempre a caccia di successi di ogni tipo. Eppure basterebbe poco per fare molto, arrivando a comprendere la forza propulsiva dell’errore perché ci fa crescere, nel lavoro e nella vita. «Affermare che l’insuccesso è una precondizione del successo e che il fallimento non è un’alternativa, ma un requisito per il successo, suona controintuitivo e rivoluzionario perché ci costringe a mutare la prospettiva e le lenti attraverso i quali guardiamo il mondo», precisa Corrado. Il fallimento non è una mancanza ma una pienezza. Non è un arresto definitivo, ma un momento di riflessione. Non è un marchio indelebile, ma una distinzione. Non è una perdita, ma una scoperta. Non è una porta che si chiude ma una opportunità che si apre e molto altro ancora. Così scrive Corrado nel libro. «E poi nel linguaggio medico si usa il termine rivoluzione cardiaca, o ciclo cardiaco, per indicare l’alternarsi delle fasi di contrazione e di riposo del cuore. In questo alternarsi di salite e discese, le onde basse corrispondono alle fasi di contrazione e forniscono lo stimolo per i picchi più alti. Anche la nostra vita di individui e di imprese è fatta di alti e bassi e invece siamo abituati a considerarla come un percorso lineare e in questa visione ideale l’errore diventa un intoppo nei nostri piani. Ma la vita e le imprese sono organismi complessi e seguono un tragitto non lineare, con salti fra piani diversi. La paura del fallimento paralizza chi considera l’esistenza una linea retta fatta di scelte razionali. Ma diventa accettabile per chi comprende che ha un andamento caotico, rivoluzionario, e che l’errore ne è parte integrante», dice Corrado.

Francesca Corrado, economista e autrice di “Elogio del fallimento. Perché sbagliare fa bene”

Sbagliare fa bene

Errori che possono valere un sacco di soldi, generando un sacco di fatica. James Dyson – presente nella nostra foto di copertina – è un designer e ingegnere britannico conosciuto come l’inventore della prima aspirapolvere senza sacchetto. Dopo migliaia di tentativi andati a vuoto – ben 5.127 prototipi in cinque anni – è riuscito a mettere in commercio il primo modello funzionante. L’ha chiamato Dual Cyclone perché lavora sul principio del ciclone. Oggi Dyson è tra i trecento uomini più ricchi del mondo con un patrimonio di oltre 5 miliardi di dollari. È in buona compagnia. Intorno alla metà del ‘900 l’ingegnere americano Percy LeBaron Spencer lavorava al magnetron, una valvola produttrice di microonde usata come componente nel radar. Un giorno del 1945 dimenticò in tasca una barra di cioccolato e a contatto con il magnetron in funzione quella barra si sciolse. La scoperta lo incuriosì e ci riprovò, scaldando chicchi di mais che si trasformarono in popcorn. Spencer di fatto aveva scoperto che l’energia trasportata dalle microonde era in grado di cuocere i cibi. Appena due anni dopo lanciò sul mercato Radarange, il primo forno a microonde per uso domestico, diventato successo mondiale. Ma ci sono molte altre storie.

«L’impresa navale di Cristoforo Colombo era condizionata da almeno due errori, uno di calcolo e l’altro di misura. Infatti, basandosi su misurazioni di antichi geografi, sui racconti dei marinai e su altre mappe, si convinse che il continente asiatico fosse cinque volte più vicino di quanto in effetti non sia, e che quindi potesse essere raggiunto. Per di più nel calcolo confuse le miglia arabe con quelle romane, più brevi di un quarto. Sbagliò quindi distanza e direzione. Ma grazie ad errori grossolani basati su ipotesi scientifiche, Colombo ha scoperto un nuovo continente», dice Corrado. Ma attenzione. Nel fallimento non c’è un’accettazione passiva, ma una scelta consapevole, responsabile, quasi ossessiva e infine vincente. «Prima di essere pubblicato in quarantacinque Paesi e tradotto in oltre trenta lingue, Joël Dicker, autore del bestseller “La verità sul caso Harry Quebert”, aveva scritto altri cinque libri, tutti stroncati dagli innumerevoli editori ai quali si era rivolto. Racconta Dicker che a un certo punto della sua incerta carriera aveva due strade da percorrere: quella dell’autocommiserazione o quella dell’ossessione. Dicker scelse la seconda via e la percorse in modo metodico. Decise di rileggere tutte le lettere di rifiuto e tutti i commenti negativi che aveva ricevuto, per avere piena consapevolezza dei punti deboli dei suoi primi romanzi. Quei “no” erano l’opportunità per capire come fare meglio la prossima volta», puntualizza Corrado.

Joël Dicker, autore del bestseller “La verità sul caso Harry Quebert”

Il fallimento come bussola

«Il fallimento è il modo in cui la vita ci fa sapere che stiamo andando fuori rotta. È un feedback che ci aiuta a orientarci nella giusta direzione. E solo ascoltando e osservando possiamo trarne i giusti insegnamenti». Ne è convinta Corrado. Mettersi in ascolto attivo ecco quello che fa la differenza. Al giornalista e inventore ungherese László Bíró si deve l’ideazione della penna che porta il suo cognome. Era alla ricerca di ispirazione per creare una penna più funzionale della stilografica. L’ intuizione arriva guardando dei bambini giocare a biglie tra le pozzanghere: le palline che ne avevano attraversata una lasciavano una scia uniforme come la scrittura. Così inserisce una piccola sfera in cima a un tubo riempito di inchiostro e nasce la penna biro. Frank Epperson, un bambino americano di undici anni, nell’inverno del 1905 lascia sul davanzale della finestra un bicchiere con acqua, soda e un bastoncino che aveva usato per mescolare il liquido. Nasce così il primo ghiacciolo della storia, brevettato brevettò molti anni dopo.

Percy LeBaron Spencer, l’inventore del primo forno a microonde per uso domestico

Quindi il successo nasce dal fallimento?
Adottare una visione nella quale si è consapevoli e si accetta l’idea che il successo sia intessuto di molte sconfitte e che il fallimento sia un buon maestro significa cambiare paradigma nel modo di vivere, di lavorare e di fare impresa. Guardare l’altra faccia della medaglia può offrire l’opportunità non solo di trasformare il modo stesso di vedere il fallimento ma anche di rinnovare le strutture e le organizzazioni stesse attraverso un mutamento radicale. Non è una rivoluzione della persona ma una rivoluzione delle organizzazioni che possono essere ripensate per renderle più umane, efficienti e flessibili al cambiamento.

Cosa comporta questa visione?
Le parole generano un trigger emozionale e le emozioni giocano un ruolo nel processo decisionale. Attribuire un significato positivo ad una parola che comunemente ha una valenza negativa comporta un cambiamento della nostra percezione di cosa è “giusto” e cosa è “un buon errore”, una percezione realistica e non di cieco ottimismo o pessimismo della realtà in cui viviamo, ma anche un mutamento della modalità di rapportarci agli altri e di agire. 

Le idee hi-tech nascono anche dal fallimento?
Soprattutto. Infatti tantissimi prodotti o servizi sono nati da errori, fallimenti, sviste. Anche oggetti di uso comune. Ci sono anche epic fails nati dall’intenzione di sfruttare la forza del proprio brand per lanciare sul mercato prodotti diversi da quelli per i quali quelle aziende erano conosciute. Harley-Davidson aveva proposto i profumi, Colgate una linea di piatti pronti surgelati. Forse pensavano che dopo aver mangiato la lasagna Colgate, lavarsi i denti con il dentifricio della stessa marca sarebbe stato un passo breve. Ma i consumatori non si sono trovati d’accordo.

Lei sostiene che una cultura aziendale può nascere dalla cultura del fallimento.
Sotto il marchio, Virgin di Richard Branson sono nate più di cento aziende, alcune delle quali sono state dei veri e propri flop: Virgin Cola, Virgin Vie at Home, Virginware, Virgin Charter, Virgin Clothing, VirginStudent. Quasi tutte le sue imprese sono nate dalla frustrazione personale, e le prove, i fallimenti e la sperimentazione sono diventati la base della sua cultura aziendale.

Perché l’errore implica ascolto?
La capacità di capire e interpretare gli errori implica la capacità di ascolto di sé stessi e degli altri. Ascoltare significa letteralmente porgere attenzione con l’orecchio. E in questa società iperconnessa e veloce è difficile riuscire a sviluppare la giusta attenzione e la cura necessaria per mettersi in relazione con gli altri ma anche con la parte più profonda di noi. Il lavoro sugli errori è un lavoro sulla consapevolezza di ciò che siamo e che persone o organizzazioni vorremmo essere. Solo ascoltando con cura possiamo predire la tendenza a compiere errori e controllare le nostre scelte e il nostro comportamento. L’errore è anche la capacità di osservazione dei comportamenti altrui per apprendere e di osservazione di tutto ciò che ci capita senza esprimere immediatamente un giudizio. Se qualcuno attorno a noi commette qualche errore, viene naturale condannare la persona e mettere in rilievo le sue mancanze. Bisognerebbe invece non reagire agli stimoli con rabbia, ansia, paura o in modo impulsivo ma rimanere quanto più possibile in uno stato di quieto distacco.

Ma come si sviluppa la cultura del fallimento?
Un positivo atteggiamento culturale verso il fallimento ha due componenti: una che chiameremo di tolleranza, perché misura la predisposizione al rischio e l’apertura ad accettarne le implicazioni. L’altra che definiremo come seconda opportunità perché indica la disponibilità a dare una nuova chance a coloro che hanno fallito. L’ alto grado di tolleranza e la propensione a offrire una seconda possibilità dovrebbero quindi essere parti costitutive della cultura del fallimento di un Paese come di una impresa. Una buona cultura si sviluppa non stigmatizzando debolezze e fragilità e non supportando l’idea di successo costruita su basi effimere. Ciascuno di noi gioca un ruolo in uno o più ambienti – nelle istituzioni, in famiglia, nella scuola, in azienda, nella coppia – e nel proprio ruolo può essere il promotore del cambiamento: siamo infatti responsabili del modo in cui il fallimento viene vissuto e discusso, possiamo essere addirittura complici della deprivazione della libertà nella nostra società.

Insomma, che lezione possiamo imparare?
Non c’è libertà nell’infelicità e nella paura che accompagnano ogni nostra scelta. Non è libera una società che educa a temere l’errore, a provare vergogna per le proprie cadute, a denigrare chi ha tentato ma ha fallito. E una sana cultura del fallimento deve essere accompagnata da una sana cultura del successo. Il successo è il risultato di una relazione e dell’incontro con chi è stato disposto ad aiutarci, ha ascoltato le nostre idee, le ha condivise o criticate, ci ha teso una mano a ogni caduta e ci ha spinto a puntare più in alto. Si è davvero fortunati quando si ha accanto qualcuno che non giudica ogni nostro errore, ma ci sostiene in ogni caduta e ci spinge a puntare sempre più in alto, applaudendo al nostro successo. Che in fondo è anche il suo.

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