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Ho letto con attenzione e interesse l’articolo sul corso moderato dalla giornalista del Corriere della Sera Barbara Dietrich, tenuto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio sul tema non già dell’omeopatia, come riportato nell’articolo stesso e in chiassosi post polemici pubblicati da qualcuno su Facebook, bensì (come peraltro confermato dal titolo del corso) sulla comunicazione nel settore delle medicine complementari, che è cosa ben diversa.
Specie considerando che nell’articolo si fa riferimento alla “confusione culturale della quale saremmo tutti vittima”, confusione alimentata a mio avviso invece da chi – con un atteggiamento quanto mai superficiale – scrive un articolo su un corso senza neppure avervi partecipato (anche criticamente), e senza neppure aver esaminato le dispense e i materiali del corso stesso, essendo uno degli specialisti chiamati a tenere una relazione a suddetto evento formativo, ritengo opportuno fare alcune precisazioni:

  1. i relatori principali non sono affatto “un medico omeopata e il Presidente di Omeoimprese”. Il Presidente di Omeoimprese si è limitato – nelle conclusioni – a precisare qual è la situazione dell’omeopatia dal punto di vista legislativo nel nostro paese, ricordando che si tratta di “atto medico”, e che la produzione e vendita dei farmaci omeopatici è autorizzata in forza di legge da una Direttiva Europea recepita anche dall’Italia. Precisazioni quanto mai opportune, appunto, per evitare confusione: che ciò piaccia o no a qualcuno, questa è la situazione, e occorrerà farsene una ragione. Gli altri relatori al corso, oltre al sottoscritto (definito erroneamente con un’altra imprecisione “giornalista economico”, lavoro invece da anni come docente in scienze della comunicazione, con specializzazione – tra le altre – in comunicazione socio-sanitaria), sono stati i ben più autorevoli Sergio Bernasconi, Professore Ordinario di Pediatria, già Direttore delle Cliniche Pediatriche dell’Università di Modena-Reggio Emilia e di Parma e già Presidente della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica, Specialista in Endocrinologia nonchè Membro del Direttivo della European Society for Pediatric Endocrinology, da cui ha ricevuto l’Oustanding Clinician Award (forse plagiato anche Lui dagli stregoni omeopati…) e il Prof. Francesco Negro, anche lui con un bel curriculum universitario e clinico, in quanto la famiglia Negro, padre e figlio, ha curato – come confermano le cronache dell’epoca e i manoscritti originali custoditi nel museo di Piazza Navona a Roma, personaggi del calibro di Papa Pio XII, Papa Paolo VI, Oscar Luigi Scalfaro e Sandro Pertini, e molti altri dal quoziente intellettuale evidentemente ridotto e facilmente suggestionabili. Antifrasi a parte, mi duole riscontrare sempre nella grammatica dei talebani anti-omeopatia la tecnica, invero un poco squallida, della sistematica “diminutio” della professionalità altrui al solo fine di sostenere le proprie tesi. Anche perché trattasi di atteggiamento anti-scientifico, come illustrerò tra poco;
  2. l’atteggiamento manifestato da chi ha criticato il corso, senza neppure sforzarsi di comprenderne i contenuti, è il medesimo di chi qualche tempo fa ha pubblicizzato l’“eclatante” (sedicente) nuovo studio australiano che avrebbe detto, per l’ennesima volta, “la parola fine sull’omeopatia”: una metanalisi di una serie di studi che inequivocabilmente dimostravano che etc. etc. Ebbene, una banalissima azione di fact checking ha dimostrato che non si trattava di uno studio scientifico, in quanto non è mai stato pubblicato da nessuna rivista scientifica indicizzata (oh, questa EBM a corrente alternata…); si trattava di un’analisi già ampiamente pubblicizzata in passato, che non ha apportato alcun elemento innovativo o prova significativa nel panorama della letteratura scientifica, e – come vari esperti hanno denunciato – che parrebbe gravata da pregiudizio editoriale, tanto che vi è una denuncia per frode a carico degli autori attualmente pendente in Australia; inoltre, l’articolo del British Medical Journal, che riprendeva la ricerca Australiana, semplicemente non era un articolo del BMJ, bensì un post su un Blog che il BMJ ospita, blog gestito da chi? Dall’autore della ricerca australiana, che evidentemente – per citare un modo di dire tipicamente italiano – “se le canta e se le suona da solo”. Il sedicente studio Australiano fa il paio con l’altrettanto “eclatante” articolo pubblicato su The Lancet che 12 anni fa “metteva la parola fine all’omeopatia” (che scarsa originalità…): uno studio così zeppo di inesattezze nell’interpretazione iniziale dei dati, di errori nel disegno di indagine, di contraddizioni nell’impostazione del lavoro e di forzature nella selezione dei lavori esaminati, da far impallidire qualunque serio revisore degno di questo nome. Il lavoro di The Lancet è stato messo in discussione a più riprese, anche se ovviamente nessun giornalista italiano ne ha dato notizia in modo adeguato: il problema della necessità di un’equilibrata e precisa rappresentazione dei fatti in un ambito delicato come quello della salute, conferma l’assoluta utilità di corsi come quello organizzato presso l’Ordine dei Giornalisti di Roma;§
  3. che piaccia o no ai soliti noti (e lo preciso per amor di verità e correttezza, senza prendere posizione o meno circa l’eventuale efficacia dell’omeopatia, dal momento che non sono ne un medico ne un “tifoso” a priori di questa disciplina), l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha emanato nel 2008 la Dichiarazione di Pechino sulla Medicina Tradizionale in cui si raccomanda “la necessità di azione e cooperazione da parte della comunità internazionale, dei governi e degli operatori sanitari al fine di assicurare un utilizzo corretto della Medicina Tradizionale come componente significativa per la salute di tutti i popoli”. Sempre l’OMS ha attivato fin dal 1972 il Dipartimento per le Medicine Tradizionali, ha emanato un primo piano strategico pluriennale 2002-2005 e nel 2013 il secondo Traditional Medicine Strategy 2014-2023e ha autorizzato l’attivazione di “Collaborating Centers for Traditional Medicine” in tutti i continenti: Il Parlamento Europeo (Risoluzione n. 75/97)  e il Consiglio d’Europa (Risoluzione n. 1206/99)  hanno chiesto di “assicurare ai cittadini la più ampia libertà di scelta terapeutica e il più alto livello di informazione sull’innocuità, qualità ed efficacia di tali Medicine, invitando gli Stati membri a regolarizzare lo status delle Medicine Complementari in modo da garantirne a pieno titolo l’inserimento nei Servizi Sanitari Nazionali”. La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (FNOMCeO) all’Art. 15 del Codice di Deontologia Medica riconosce le Medicine Complementari e Non Convenzionali, come atto medico. L’Unione Europea ha finanziato nell’ambito del Settimo Programma Quadro per la Ricerca e lo Sviluppo, il Consorzio “CAMbrella – a Pan-European Research Network for Complementary and Alternative Medicine”, che ha riunito ricercatori di 12 paesi europei – tra cui l’Italia, rappresentata  per l’occasione dal Dott. Paolo Roberti di Sarsina – per sviluppare una rete europea di centri di eccellenza nelle Medicine Complementari e facilitare la comprensione dei bisogni dei cittadini europei nei confronti di questi sistemi di salute; la NATO Science and Technological Organization ha costituito un gruppo di ricerca, il NATO Integrative Medicine Interventions for Military Personnel, al quale ha partecipato l’Italia, con il compito di valutare l’adozione per il personale militare di varie tipologie d’intervento basate sulle Medicine Complementari, in quanto i dati dimostrano che una percentuale superiore al 50% della popolazione militare utilizza questo paradigma di cura; in Italia dall’anno 2000 a oggi gli utilizzatori delle Medicine Complementari sono raddoppiati, passando da 6 a 12 milioni; gli studi su PubMed che dimostrano l’efficacia delle Medicine Tradizionali, Complementari e Non Convenzionali sono pubblicati in numero significativo, anche su riviste scientifiche a medio e alto impatto, al punto che anche la prestigiosa Cochrane Collaboration dedica un sito specifico a queste discipline. Si potrà allora dire che gli studi non sono abbastanza numerosi, o non sono convincenti, ma dire che “non esistono” è semplicemente una frode, e chi lo sostiene è o un incompetente, o un bugiardo, o più facilmente entrambe le cose, ricordando poi che coloro che criticano il mondo delle Medicine Complementari per “carenza di ricerche scientifiche”, sono gli stessi che  si scagliano contraddittoriamente contro chiunque proponga di stanziare fondi per la ricerca in questo campo. Ebbene fate pace almeno con voi stessi…; il Governo Federale della Svizzera, 6 anni dopo l’approvazione dell’articolo Costituzionale sulla Medicina Complementare, comunica  che la sua attuazione è in corso a vari livelli, e queste terapie sono integrate nel Sistema Sanitario pubblico elvetico; negli USA – il cui Governo Federale ha istituito già nel 1992 il National Center for Complementary and Integrative Medicine – la crescita del numero di Scuole di Medicina che offrono percorsi di studio sulle Medicine Complementari, negli ultimi 10 anni è passato – secondo uno studio dell’University of Arizona Health Sciences – dal 68% al 95%. E potrei continuare a lungo, nel fornire elementi utili a meglio inquadrare lo scenario, ma mi fermo per non abusare troppo dello spazio concessomi, sottolineando ancora che questi rilievi devono essere intesi non già come un’analisi circa l’efficacia o meno dei farmaci omeopatici, bensì del “rilievo sociale” di questo sistema di salute, che – in quanto appunto socialmente rilevante – entra nel perimetro dello sguardo del giornalista, come è evidente a chiunque non sia meno che obnubilato da ottusi pregiudizi;
  4. ho detto sopra che l’atteggiamento di chi critica ossessivamente le medicine complementari è antiscientifico nei suoi fondamentali, e ci tengo a spiegare il perché. Il modello dettato dall’ormai datatissimo The Public Understanding of Science, ovvero diffondere informazioni scientifiche mediante un flusso unidirezionale dagli uomini di scienza ai cittadini, è del tutto anacronistico, vecchio di oltre 30 anni, ed è utilizzato ancora solo da giornalisti poco preparati, in un paese per certe cose provincialotto come l’Italia, e l’approccio dialetticamente “violento” – alla Burioni, per capirci – è antiscientifico in quanto del tutto inefficace. Dire Non è così, io sono uno specialista e ho ragione, e tu non capisci niente e hai torto”, è sbagliato, rischia di creare i presupposti per uno scontro di identità che altro non fa se non radicalizzare sterilmente le posizioni. Questa consapevolezza è data per scontata ovunque in Europa (e oltre), tanto che è stata anche codificata (da tempo) in un memorandum, il Public Engagement with Science and Technology, che dimostra che la comunicazione della scienza è un compito complesso, non riducibile a una dinamica improntata al “Se la pensi diversamente da me, che sono un esperto, sei solo un ignorante”. Inoltre (sempre per richiamare Burioni) la scienza è eccome “democratica”, intrinsecamente, ci spiega il giornalista scientifico Pietro Greco: “Fin dalla rivoluzione del Seicento, i membri della comunità scientifica raggiungono un consenso razionale di opinione intorno ai fatti osservati(e aggiungo io: non è comunque certo che il consenso raggiunto oggi su un’evidenza scientifica regga con il passare del tempo). Jane Gregory, della London University, ha dichiarato: “Il pubblico ci ha insegnato una lezione utile rifiutando di cooperare con scienziati che li trattavano come idioti”. Ne deriva che un atteggiamento meno talebano e orientato solo al “qui e ora” possa essere assai consigliato: anche di queste appassionanti questioni epistemologiche si è discusso al corso, con pare – grande interesse e soddisfazione dei giornalisti presenti.

Concludendo questa mia lettera: le società moderne si evolvono solo a condizione che si dia per assodato che i fatti (A) devono essere descritti con equilibrio (B) devono essere documentati pubblicamente, e (C) devono tendere alla verità; il concetto di “Verità dell’informazione” è infatti la base indispensabile dello Stato di diritto. Nel corso organizzato presso l’Ordine dei Giornalisti di Roma si è terminato quindi richiamando alcune regole che sarebbero di buon senso, se non fossero prima ancora, in buona parte, deontologiche: tenere un atteggiamento non ostile quando si comunica ai “non addetti ai lavori” e avere disponibilità e pazienza nell’illustrare le ragioni della scienza senza arroganza, costruendo ponti, non muri; consapevolezza che l’equazione “certezza = scienza” versus “dubbio = pseudoscienza” è una frode, perché la scienza da quando esiste procede per interrogativi, e quel che è incerto oggi (anche spesso perché incerti sono gli strumenti di analisi e di ricerca), potrebbe diventare certo domani, o viceversa; la verità di cui al punto precedente non deve allontanarci da un approccio basato sul metodo scientifico, ma deve piuttosto suggerirci un atteggiamento (anche in comunicazione) più umile e saggio; e – in ultimo – che in questo scenario fluido, il suggerimento – lo ribadisco – è di rispettare sempre le regole deontologiche della professione e dare spazio anche alle voci, magari in parte dissonanti rispetto al mainstream, degli specialisti in medicine complementari, con l’invito a non essere mai “giudici” a priori, ma a favorire il dibattito e il confronto, aumentando la consapevolezza dei cittadini, cosa che è tra gli scopi principali di una straordinaria professione qual è quella giornalistica.
Che l’omeopatia piaccia o meno, che venga utilizzata a meno, che qualche ricerca ne decreti o meno prima o poi “la fine”, come tante volte – al lupo, al lupo – si è frettolosamente affermato, quello che mi pare “stoni” davvero è l’atteggiamento anti-scientifico e la pochezza disarmante degli scientisti (con la “s” di scienza scritta minuscola, in questo caso), che fanno del pre-giudizio (giudizio formato a priori) una bandiera. Atteggiamento che diventa poi gravissimo quando è fatto proprio da dipendenti del Servizio Radiotelevisivo Pubblico, il cui stipendio a fine mese è pagato con i soldi di tutti noi, e che dovrebbero rispettare i principi che ho illustrato anche in ossequio alle regole dettate dallo stesso contratto di assunzione che hanno firmato.
È bene ricordare che gli errori in sanità provocano ogni anno 134 milioni di eventi avversi negli ospedali, contribuendo a 2,6 milioni di decessi ogni anno. Non lo affermo certo io, o qualche “complottista anti-scientifico”; lo rileva in questi giorni l’Organizzazione Mondiale della Sanità, in occasione della Giornata Mondiale della Sicurezza dei Pazienti, che si celebrerà ogni anno il 17 settembre. Ogni minuto 5 persone muoiono per cure non sicure”, dice l’OMS. Forse su questi aspetti dovrebbero soffermarsi certe persone, riuscendo a passare oltre a quei processi cognitivi che vorrebbero una Verità soggettiva, prestata a questo o quell’interesse, deformata, alterata per le più diverse convenienze, e impegnandosi a cercare, costruire, narrare, una Verità che in quanto oggettiva è lapalissiana, chiara, cristallina: ovvero che l’Uomo è al centro dei processi di salute, e la Medicina o è centrata sulla Persona, o semplicemente non è Medicina; è vendita di prestazioni, è mercato, è un’altra cosa, non ci interessa più, e dovrebbe uscire dal perimetro dello sguardo del Medico come anche del Giornalista.
Anche di questo si è discusso nell’intensa e stimolante mattinata all’Ordine dei Giornalisti, e si, il quadro emerso durante il corso è stato veritiero e corretto, riguardo l’omeopatia, checché ne abbiano scritto alcuni, che si sono pronunciati su relazioni che neppure hanno ascoltato, perché le medicine complementari sono sistemi di salute con i quali solo un imbecille impreparato e pericoloso pretenderebbe di curare un tumore, ma che – a detta dei 20.000 medici italiani che le prescrivono ogni giorno – possono probabilmente essere una risorsa di cura preziosa in altri casi.
In tal senso, penso che l’iniziativa dell’Ordine dei Giornalisti di Roma, laddove ha approvato un momento di formazione utile per garantire gli iscritti all’Ordine stesso preziosi strumenti di valutazione e interpretazione di un fenomeno che incrocia il delicato e importante tema della salute, ma anche spesso la cronaca, costituisca una “buona pratica” che andrebbe adottata anche in altre Regioni. In tal caso, a qualcuno scoppierà forse un’allergia, ma ce ne faremo una ragione; esiste probabilmente un rimedio, “a piccole dosi”, anche per quello.
 
Prof. Luca Poma – Corso in Scienza della Comunicazione e Reputation management all’Università LUMSA di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino – Socio UNAMSI – Unione Nazionale Medico-scientifica d’Informazione
 
Aggiornamento del 20/09/19:  da quanto mi viene riferito, in data 19/09 vi è stata una riunione tra l’Ordine Giornalisti Lazio e l’Ordine Nazionale Giornalisti. Tra le varie questioni esaminate all’ordine del giorno, anche il corso in questione. Ebbene, non solo non sono emersi rilievi negativi a carico degli organizzatori, dei relatori, del corso o di qualche contenuto dello stesso, ma gli organi preposti hanno confermato l’utilità di momenti di formazione come questo. E’ incredibile questa “lobby pro-omeopatia”: capace di plagiare anche i Consiglieri nazionali dell’Ordine… Battute a parte, penso che questa conclusione sia il miglior commento della faziosa e inconsistente polemica sollevata da qualcuno, nonché un successo in termini di affermazione della libertà di pensiero e di analisi critica che è alla base della professione giornalistica.
 
Oltre alle fonti dirette evidenziate dai link multimediali nel testo, ritengo opportuno segnalare la seguente breve Bibliografia:

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Edit il 17/09 h. 11.15
Edit il 18/09 h. 19.20
Edit il 20/09 h 12:45

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