La forza generativa della fiducia
La diffidenza crea opportunismo, la fiducia, invece, concorre ad alimentare l'affidabilità. Questa è un dato tanto fondamentale quanto trascurato
La diffidenza crea opportunismo, la fiducia, invece, concorre ad alimentare l'affidabilità. Questa è un dato tanto fondamentale quanto trascurato
Nella sua autobiografia, David Packard, il fondatore della Hewlett-Packard, a un certo punto scrive: «Sul finire degli anni ‘30, quando lavoravo alla General electric, i capi erano particolarmente attenti alla sicurezza degli impianti (…). La Ge era specialmente zelante nel sorvegliare gli attrezzi e i componenti meccanici per evitare che gli operai potessero portarseli via. Come risposta a questa ovvia manifestazione di sfiducia molti operai si sentivano giustificati e rubavano ogni qual volta ne avevano la possibilità (…). Quando fondammo la Hp, questi ricordi erano ancora vivi e per questo decidemmo che i nostri magazzini dei componenti e degli attrezzi sarebbero sempre rimasti aperti. Questo ci avvantaggiò in due modi: innanzitutto risparmiammo sulla sorveglianza ma soprattutto creammo un clima di fiducia che divenne il centro intorno al quale la HP fa ruotare il suo modo di fare affari» (“Hp way: How bill Hewlett and I built our company”, Collins, 1995).
La diffidenza crea opportunismo, la fiducia, invece, concorre ad alimentare l’affidabilità. Questa è un dato tanto fondamentale quanto trascurato.
La nostra psicologia del senso comune, infatti, concettualizza un atto di fiducia come basato su una valutazione circa l’affidabilità della persona di cui si decide di fidarsi.
«Mi fido di te perché credo tu sia affidabile».
Quindi il nesso causale va dalla affidabilità alla fiducia.
È il fatto di ritenerti affidabile che causa la mia decisione di fidarmi. Ma come abbiamo visto questa è solo una parte della storia, la più banale. L’altra parte della storia ci dice che la mia fiducia suscita, almeno in parte, la tua affidabilità. Qui il nesso causale è invertito. La fiducia, appunto, genera affidabilità. Comprendere questa lezione è fondamentale. Se ci basassimo solo sulla prima parte della storia ci comporteremmo, infatti, come i dirigenti della General Electric; solo considerando anche la seconda parte saremmo in grado di attuare politiche più sagge come quelle adottate dalla Hewlett-Packard.
Lo stesso messaggio si può, naturalmente, applicare a molti altri ambiti della vita sociale, politica, economica, alla scuola, alla famiglia. Quando qualcuno si fida di me, questo fatto, già di per sé, costituisce una ragione addizionale perché io mi dimostri affidabile. Alla base di questo meccanismo di “induzione” della fiducia sta il principio che ho chiamato altrove di “rispondenza fiduciaria”. Fidarsi di qualcuno significa innanzitutto instaurare una relazione interpersonale e, nell’ambito di questa relazione, operare insieme per il raggiungimento di uno stato di cose migliore rispetto allo status quo, rispetto a quello, cioè, che si sarebbe determinato qualora si fosse deciso di non fidarsi. Ma alla possibilità di un potenziale vantaggio fa da naturale contraltare il rischio connesso al tradimento della fiducia, alla tentazione dell’opportunismo. I due elementi sono così strettamente legati che David Hume li riteneva concettualmente inseparabili: «È impossibile separare la prospettiva di un bene dal rischio di un male», scriveva.
Fidarsi, dunque, vuol dire rischiare! Ma non come si rischia quando si gioca in borsa o d’azzardo. Non si fronteggia l’imprevedibilità degli eventi naturali o l’imperscrutabilità del caso. Si rischia perché ci rendiamo volontariamente vulnerabili agli altri, all’impossibilità di controllo del loro comportamento, del loro libero arbitrio.
Gran parte del nostro stare insieme, allora, del nostro vivere in società può essere descritto come un continuo oscillare tra la necessità di fidarsi degli altri e il tentativo di ridurre il rischio legato a tale apertura. Sembra quasi che la fiducia getti le sue radici nel “tragico”, nell’impossibilità, cioè, di non fidarsi e nella contemporanea assenza di certezze circa la risposta altrui. Eppure, studi recenti che portano sostegno empirico all’idea di rispondenza fiduciaria sembrano mostrare che questi momenti non siano separati, così come la visione “tragica” suggerisce, ma che siano, al contrario, strettamente connessi, quasi conseguenza l’uno dell’altro. Perché fidarsi significa già ridurre i rischi della fiducia. È questo fatto che rende i fenomeni fiduciari intrinsecamente paradossali. Ma in fondo ogni relazione interpersonale è nel suo intimo paradossale. Andare alla ricerca delle radici di ciò che vuol dire “fidarsi”, ci sfida a gettare uno spiraglio di luce nell’ombra di questa intimità.