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Cosa è successo?

Per entrare subito nel vivo della discussione, e della polemica che numeri alla mano ha interessato una audience piuttosto ampia, copio qui il testo del mio post su Linkedin di giovedì mattina:

La reputazione spiegata semplice? Il caso di Bruce Springsteen in queste ore a Ferrara. Un mio ex studente, ora funzionario di rilievo in un associazione di categoria nazionale, mi ricorda che a Ferrara oggi è prevista la prima data italiana di Springsteen al parco urbano, a 3 Km dal Po in piena e a 50 km da Imola sott’acqua. L’organizzazione ieri ha detto che “si farà” e sono attese tra le 50 e le 60.000 persone che su un campo paludoso sono invitate a ballare (e tenere impegnati i soccorsi, che immagino in queste ore abbiano di meglio da fare…). Non ci sono più i ponti, le strade sono allagate, in buona parte dell’Emilia Romagna non transitano i treni. Si ferma il volley, si ferma in Gran Premio di Imola, ma il Sindaco di Ferrara Alan Fabbri (centrodestra) ha detto che non c’è problema per il concerto e che sarà – qui la grande illuminazione! – un grande rilancio per la città… Per non parlare dei giornali, che in prima pagina mettono il Boss di fianco a 50.000 sfollati, 48 comuni sott’acqua e 9 morti… (13, secondo gli ultimi aggiornamenti successivi alla pubblicazione di questo post, ndr) Il Presidente #StefanoBonaccini parla di “secondo terremoto per la Regione” mentre l’Assessore al Turismo di Ferrara #MatteoFornasini apre lo Springsteen Village. E l’ultimo post del Sindaco di Ferrara è per la Festa della mamma, dopo quello sulla retrocessione della SPAL in serie C: semplicemente, come se il disastro dell’Emilia Romagna non esistesse. Forse è solo mancanza di cultura istituzionale e mancanza di rispetto per le vittime, ma potrebbe anche essere (Dio non voglia) mancanza di capacità di previsione delle crisi… Già così lo “spettacolo” (sic) non è dei migliori, ma – nella speranza che tutto vada per il meglio – l’Italia si conferma tristemente un Paese a bassa sensibilità sul tema del reputation management e del crisis management. Anche perché di crisi reputazionale già possiamo parlare, se consideriamo i commenti poco lusinghieri che (giustamente) stanno venendo pubblicati sul profilo di Claudio Trotta, manager di Springsteen.

#Springsteen #Ferrara #concerto  #alanfabbri #cultura #emiliaromagna #alluvione

Su questi fatti, in generale, l’audience sui Social in questi giorni è parsa piuttosto frammentata, a sensazione posizionandosi come segue: una maggioranza di sentiment negativo circa la mancata cancellazione del concerto, una minoranza favorevole all’evento (anche in un’ottica di “ripartenza” post-disastro), alcuni, come vedremo, critici per la mancata cancellazione sotto il profilo etico-morale ma comunque “realisti” nel riconoscere la conferma dell’evento come l’unica opzione possibile, sia per motivi organizzativo-logistici, sia con riguardo alla mole dei fans comunque favorevoli alla manifestazione (tanto che i mancati arrivi e le disdette sono state poche, non rilevanti numericamente, fatta eccezione per qualcuna particolarmente “rumorosa” come quella del Presidente della FERPI Filippo Nani). In ogni caso, più avanti nell’analisiriporterò dati più affidabili, con relativa fonte; ora passiamo a un’analisi più articolata, che mi è stata richiesta da più parti.

La reputazione: sono solo numeri?

No, certamente, la reputazione, com’è evidente, è qualcosa di ben più complesso. Se il primo “pilastro” (letteratura pacifica) è quello della qualità del prodotto – e sotto questo profilo ci siamo, il Boss ha poco da imparare – il secondo pilastro è quello dell’autenticità.

Questa è la prima criticità che emerge riguardo alla mancata cancellazione (o rinvio) del concerto e che mette irrimediabilmente in crisi decenni di narrazione del grande artista. Fin dal lontanissimo 1975, Springsteen ha deciso di infarcire i suoi pezzi – da Born to Run a The Ghost of Tom Joad di denuncia sociale e valori morali d’ispirazione: l’esperienza americana ai tempi del Vietnam, il razzismo, le ingiustizie verso i ceti svantaggiati, la fine del sogno americano e la disillusione delle classi operaie, lo lotta all’AIDS (Streets of Philadephia, colonna sonora del film 3 volte Premio Oscar), la ribellione delle nuove generazioni, le ragazze madri (The River), i poveri, i migranti, e molto altro.

Il 19 maggio, con 14 persone decedute, 40.000 sfollati e una regione in ginocchio, Springsteen però non fa neppure un accenno all’emergenza ancora in piena gestione a due passi dal luogo del concerto, né ai morti, né al disastro: non dico per annunciare la tanto agognata (da molti cittadini) devoluzione in beneficenza dell’importo degli incassi della data di Ferrara, al netto ovviamente delle spese, donazione che avrebbe solo minimamente inciso sugli incassi di un tour Europeo con più di 30 date (a Roma ieri sera, tra l’altro), ma neppure – e questo è francamente sorprendente – per spendere una parola di solidarietà per i cittadini e le famiglie devastate dall’alluvione.

Anche sotto il profilo del terzo ed ultimo pilastro della reputazione, l’ascolto, il Boss (e/o il suo team di management, non fa alcuna differenza) dimostra evidenti lacune: della vicenda, e delle relative polemiche, hanno dibattuto non pochi utenti dei Social, ma anche la stampa nazionale e pure quella estera. Come poter affermare allora “non sapevo nulla?”. Crederlo è da ingenui.

Ed è bene ricordare che l’emozione è solo un driver, un acceleratore di reputazione, non certo un pilastro della stessa. Anche per questo è necessario riflettere a mente fredda, con accuratezza, avendo a riferimento una solida bibliografia, e andando oltre le “chiacchere da bar”.

Esisteva un’alternativa?

Il concerto si poteva/doveva cancellare? Su questa scelta, gli animi si sono anche accesi, ma vale la pena tentare una prova del nove: che sapore ci avrebbe lasciato in bocca una comunicazione – ad esempio – di questo tipo, direttamente da parte di Springsteen?

#EmiliaRomagna, alluvione. Impossibile cantare, ballare e festeggiare a due passi da una tragedia. Primo: agli alluvionati e le loro famiglie va la totale solidarietà e affetto da parte mia e di tutto il mio staff. Secondo: tutti i biglietti acquistati per questa data verranno rimborsati al 100%, con le scuse sentite per il disagio. Terzo, ai fans che hanno fatto chilometri per venire fin qui, dico: grande concerto a #Ferrara appena terminato il tour Europeo, dopo il 30 giugno, con l’intero netto ricavo donato in beneficenza per sostenere la #ricostruzione del territorio. I biglietti del #concertodellarinascita saranno in vendita da domani, e vi chiedo: comprateli come non mai!

Comunicazione non so se ipotizzata ma comunque mai confezionata né pubblicata: evidentemente, per il management di Springsteen, meglio stare “sotto tana”, aspettare che passi la buriana della polemica, e – soprattutto – portare a casa i soldi degli incassi.

Daniele Chieffi, un collega (e amico) che stimo, ha poi pubblicato ieri un post su Linkedin la cui sintesi (qui il testo completo) è che le “defezioni” dal concerto sono state scarsamente significative (ed è vero) quindi essendo lo stakeholder di prossimità – i fans del cantante – comunque tutto sommato soddisfatto, l’impatto reputazionale per il “brand Springsteen” non sarebbe poi così negativo. Ferma la stima incondizionata per l’autore di questa riflessione, che ha stimolato un intrigante (e sempre garbato nei toni) confronto on-line, la tesi non mi convince per tre motivi, due di metodo e uno di merito.

Sotto il profilo del metodo, queste conclusioni, pur pienamente legittime, sono – a mio avviso – disancorate da un approccio realmente scientifico. Anche senza scomodare John Nash, Robert Aumann e la Teoria dei Giochi, ed anche senza arrivare ad ipotizzare un’applicazione della stessa al dominio delle relazioni pubbliche, cosa che pure è stata fatta già nel lontano 2008, la domanda corretta da porsi per eliminare ogni fattore confondente sarebbe stata : “Quante persone avrebbero deciso di rinunciare alla partecipazione all’evento se gli fosse stato garantito il rimborso integrale del costo del biglietto?”.

Chiaramente a questa domanda non potremo mai dare risposta, dal momento che agli organizzatori non è venuto neppure in mente di ipotizzare un rimborso parziale o integrale del prezzo dei ticket acquistati dai fans.

La seconda osservazione sotto il profilo del metodo, e che il ragionamento logico secondo il quale accontentati i fans non si sarebbe concretizzata una crisi reputazionale, è un tipico esempio di euristica della rappresentatività, ovvero di quella distorsione cognitiva che ci porta a trarre conclusioni riferendoci a campioni parziali (rilevanti per noi, ai fini del nostro ragionamento, ma appunto non del tutto rappresentativi) senza prendere in considerazione dati statistici reali in grado di rappresentare esaustivamente tutta la popolazione. La gente comune, quindi, cosa dice?

Il reale sentiment della cittadinanza sull’affaire Springsteen

Ebbene, le analisi del sentiment online effettuate da Pier Luca Santoro di Data Media Hub paiono in parte confermare questa mia analisi: se è vero che il gruppo “fans” di Springsteen ha confermato la scelta di partecipare al concerto (seppure con l’elemento fortemente distorsivo che ho citato sopra, ovvero la mancanza dell’opzione del rimborso del biglietto, quindi “o partecipi o perdi tutto”), e se è vero che il sentiment degli sfollati non potrà che essere fortemente negativo, foss’anche solo per il fatto che ben un migliaio di addetti alla Protezione civile e alla sicurezza, Vigili del fuoco, Polizia, etc. sono stati distolti dalle operazioni di soccorso per prestare assistenza al concerto, scelta che di per se pare quanto meno inopportuna (resta un mistero la latitanza della Prefettura, che avrebbe potuto semplicemente interdire temporaneamente qualunque manifestazione pubblica non essenziale nel perimetro del disastro, ponendo fine a qualunque discussione), vediamo qual è nel concreto il sentiment diffuso sul web, per tentare di comprendere – sulla base di numeri statisticamente significativi – lo stato della reputazione di Bruce Springsteen e del suo management team.

Fonte: DataMediaHub

Sarebbe interessante avendone il tempo avviare una ricerca più approfondita off-line su un campione di almeno mille rispondenti: checché ne dicano gli esperti di web-reputation (qualunque cosa questa parola voglia dire…) la reputazione si costruisce anche (a volte soprattutto) nel mondo reale.

In ogni caso, l’analisi di DMH riportata sopra evidenzia come il sentiment riguardo a quanto accaduto sia – su un campione di 14.000 citazioni online da parte di 4.000 autori unici che hanno coinvolto nelle discussioni 70.000 utenti complessivi con un totale di 306,9 milioni di impression – per il 14,9% positivo e 17,9% negativo e il rimanente 67,2% neutrale. Questa situazione – con un sentiment negativo che prevale leggermente sul positivo, ci porta alla mia terza obiezione – forse la più sostanziale, relativa al merito del dibattito, perlomeno visto dal punto di vista di un relatore pubblico e di un comunicatore – ovvero l’esistenza o meno di uno stakeholder “strategico”.

Esistono dei pubblici influenti… o sono tutti – semplicemente – stakeholder?

Data ormai oltre una decina di anni fa l’avvio di un dibattito tra specialisti, non sopito e mai del tutto risolto, sull’esistenza di “uno stakeholder più strategico di altri” (nel miope e shortermista mondo del marketing, ad esempio, è il cliente acquirente dei prodotti/servizi dell’azienda o dell’organizzazione); personalmente pubblicai le prime riflessioni su questa tematica esattamente 11 anni fa.

Secondo l’approccio proprio della logica Aristotelica, basata sul vero/falso, giusto/sbagliato, bianco/nero, una cosa non può essere/non essere nello stesso tempo: ne deriva che, secondo questa visione, o si è stakeholder o non lo si è, e che quindi ci sarebbero soggetti influenti (per l’azienda/ organizzazione/ cantante/ influencer/ politico etc.) e soggetti che semplicemente non lo sono. Un approccio limitato e limitante, figlio di una visione dialogica e binario-sequenziale che francamente male si presta a descrivere l’estrema complessità del mondo in cui oggi viviamo.

Complessità meglio descritta, invece, dalla logica fuzzy a insiemi sfumati, codificata da Lofti Zadeth all’Università di Barkeley in California – la cui applicazione al settore delle relazioni pubbliche venne illustrata in Italia per la prima volta in un paper del 2010, poi di molto ampliato con ricerche successive – logica che prevede l’esistenza di “infiniti valori di verità”, e che applichiamo alla costruzione delle mappe stakeholder fin dall’ormai lontano 2013: vero è che “o sei vivo o sei morto” (valore o 0 o 1, in base alla logica Aristotelica), ma – come amo ripetere, forse banalizzando – “in mezzo succedono anche delle cose”. Ne deriva che non esiste “un punto oltre quale non si è stakeholder”: tutti sono pubblici influenti (o potenzialmente influenti) e tutti debbono rientrare egualmente nel campo visivo del nostro sguardo. Tutti, in buona sostanza, sono egualmente importanti (l’unica scriminante è la quantità di risorse finanziarie o professionali delle quali disponiamo per occuparcene qui ed ora).

Un esempio di fantasia, ma utile per rendere l’idea: quella sconosciuta anziana signora che abita a New York a 7.000 km. di distanza da noi, apparentemente per nulla “di prossimità” e di un’importanza prossima allo zero, potrebbe improvvisamente entrare nel nostro campo visivo come motore di una crisi reputazionale, se – avendo appreso dei fatti e urtata dall’accaduto, nel suo ruolo di moglie del capo-redattore del New York Times – decidesse di parlarne al marito spingendolo a dedicare una pagina intera alla mancata cancellazione della tappa di Ferrara del concerto del Boss (in passato si sono realizzate realmente situazioni imprevedibili come questa, diversi case-study lo confermano). Hai voglia a rasserenarci con la considerazione che “i fans non hanno poi avuto gran che di cui lamentarsi…”. Ebbene, quella signora è – eccome – un mio stakeholder, prima ancora che diventi un elemento di criticità, e sarà ben utile che “mi prenda cura di lei”. Come? Non badando solo, nel costruire il mio perimetro reputazionale, agli stakeholder appunto “strategici”, ma aumentando la mia consapevolezza e tendendo ad abbracciare con lo sguardo quanti più pubblici possibili (ad esempio, tornando al caso in disamina e adeguandoci a una lettura di tipo circolare e complesso, tutti quei cittadini che ora, dopo quanto accaduto, fans di Springsteen non lo diventeranno mai, e anzi “sporcheranno il campo della reputazione” del Boss parlando male di lui e del suo comportamento a chiunque incontreranno, per anni ed anni).

In buona sostanza, vi sono modi corretti e modi scorretti di gestire una crisi, e l’opzione va sciolta, per evitare sorprese, avendo a cuore per quanto possibile la contemperazione degli interessi di tutti gli stakeholder, in quanto ci è concretamente impossibile sapere a priori quali di essi potrebbe diventare un elemento di criticità. Il confezionamento e la diffusione di un messaggio di cancellazione (rectius, rinvio) del concerto come quello che ho ipotizzato sopra (o simili) avrebbe quindi molto probabilmente:

  • deluso qualche fan irriducibile o qualche straniero, con riguardo ai soldi spesi inutilmente per il viaggio;
  • grazie alla riprogrammazione dell’evento a breve, soddisfatto la maggior parte dei fans, i quali tra l’altro avrebbero rilevato la coerenza (autenticità) tra i messaggi sociali diffusi dal Boss negli anni e il suo comportamento in questa occasione;
  • soddisfatto la gran parte della cittadinanza non direttamente coinvolta nell’evento;
  • sollevato le autorità pubbliche dall’incombenza di dover garantire assistenza al concerto distraendo quasi 1.000 operatori specializzati dalla gestione dell’emergenza;
  • garantito una positiva copertura stampa e un generale rafforzamento del perimetro reputazionale dell’artista e del suo team di management.

I concetti su esposti – relativi all’approccio incondizionatamente multi-stakeholder alla costruzione di reputazione –  in Italia ancora faticano ad affermarsi anche tra addetti ai lavori, come dimostrano i dibattiti di questi giorni, ma sono dati sempre più per acquisiti in altre comunità professionali all’estero, se è vero com’è vero che persino il marketing (disciplina mono-stakeholder per definizione, perlomeno nelle sue versioni più ortodosse) ha iniziato a guardare con interesse a queste stimolanti “novità” (si fa per dire…) ammettendo un paper scientifico centrato proprio sul concetto di critica implicita al concetto di “stakeholder strategico” (sotto il profilo reputazionale) discusso in occasione della Internnational Marketing Trands Conference di Parigi a gennaio 2020.

Reputazione e complessità

La reputazione, com’è ben noto, è questione assai complessa, multifattoriale, che va oltre un ragionamento ancorato solo a pesi e numeri grezzi (chi è d’accordo e chi no, quanti hanno sentiment negativo e quanti positivo, etc.) ed è legata più a metriche afferenti alla qualità che non alla mera quantità.

Sul fatto che il Boss, e il suo management con lui (e forse più di lui), non abbiano fatto una bella figura, penso non esista discussione; sul fatto che poco ci sarebbe voluto a fare di meglio, penso altresì in molti possano essere d’accordo; circa poi il fatto che l’analisi del sentiment sulla nicchia dei soli suoi fans più affezionati non sia di per se una metrica adeguata a definire lo stato della reputazione dei protagonisti di questa vicenda, in quanto parziale e condizionata da bias evidenti, spero di aver chiarito maggiormente le idee ai lettori con questo mio articolo.

Il fatto, infine, che la nostra comunità professionale sia viva più che mai, e pronta a scendere in campo per difendere le proprie idee, apportando valore anche allo sviluppo delle competenze di ognuno di noi mediante un sano e schietto confronto, è comprovato dall’intrigante dibattito sviluppato sulla vicenda di Springsteen (e pochi giorni prima sulla assai criticata campagna di incoming “Open to Meraviglia”) sui vari canali Social, e non solo.

Che poi le organizzazioni e i brand – aziende, influencer, politici o cantanti che siano – stiano al passo con queste riflessioni e riescano a trarne concreto vantaggio per migliorare la percezione della loro reputazione presso i loro vari pubblici, è invece ancora, purtroppo, tutto da dimostrare.

Anche se probabilmente – mentre tutti noi ancora allibiti guardiamo scorrere in TV le immagini di un immane disastro ambientale ed umano – la chiosa più centrata e straordinaria, che forse calzerebbe bene come indiretto commento a questa vicenda del concerto di Springsteen, l’ha data poche ore fa il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quando ai cronisti che gli domandavano quando sarebbe andato a visitare le zone alluvionate, ha risposto con il solito garbo e con lucidissima correttezza istituzionale: “Spero presto, quanto prima possibile, non appena la mia presenza non sarà d’intralcio ai soccorritori che sono ancora molto impegnati sul territorio”


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