Ne hanno scritto e parlato tutti: esperti di comunicazione e sedicenti tali, relatori pubblici, digital strategist, Presidente del Consiglio, associazioni di genitori e di divorziati, partiti politici, financo filosofi e psicoterapeuti, impegnati a discettare, niente meno, sul significato metafisico della pesca, che nell’antica tradizione cinese richiama la durata e i legami forti, quelli che permangono, in contrapposizione alla mela, il frutto della rottura, del tradimento, dell’allontanamento (da Dio e non solo): un tale profluvio di articoli, di analisi più o meno dotte, di commenti, che neppure un feuilletton estivo sarebbe stato in grado di regalarci.
Anch’io vi dico la mia, in breve, ponendo alcune domande, e abbozzando una risposta alla fine di questo articolo.
È bello lo spot? Dal punto di vista pubblicitario, niente da dire, è impeccabile. Ha tutto: non è per nulla sguaiato, il racconto scorre bene, il brand è presente ma non è invasivo, e soprattutto emoziona (e le neuroscienze ci insegnano, da sempre, quanto le emozioni, negative o positive non importa, aiutino a fissare i ricordi nella memoria a lungo termine). Insomma, bravi i ragazzi di Small, l’agenzia con cuore italiano ma nata a New York 4 anni fa: promossi a pieni voti (pur perdonandogli il fatto che uno spot assai simile, seppur più cupo e triste, l’aveva ideato Ikea nel 2016).
È (troppo) lungo lo spot? Per favore, quelle cretinate assurde sulla curva dell’attenzione che dura pochi secondi ce le siamo per fortuna lasciate alle spalle da tempo, sono almeno 10 anni che, con altri colleghi, promuoviamo i long-form, perché è così evidente: il tema non è la lunghezza del messaggio, ma la qualità dello stesso, le persone ascoltano volentieri Podcast da 20 minuti, il tempo lo trovano eccome, e disdegnano (giustamente) messaggi molto più brevi ma banali e privi di significato. I cittadini paiono dire: dammi qualità, e io ti darò attenzione. Come dargli torto?
È divisivo lo spot? Un po’ si, è tautologico sottolinearlo, visto quanto ha diviso l’opinione pubblica tra fan della famiglia tradizionale, realisti della famiglia non convenzionale, e via discorrendo. Che bella questa scoperta dell’acqua calda, quasi bollente: in comunicazione, se si vuole fare hype è utile essere divisivi. E pensate: se si lancia un sasso in uno stagno si aumenta l’entropia e si ottiene movimento. Wow, benvenuti nel 2023.
Prende posizione, lo spot? Si, quindi? I precedenti certo non mancano (guardateli, questi brevi video, alcuni sono davvero magnifici): Che mondo sarebbe, splendido spot con correlata campagna multicanale di Telecom con protagonista il Mahatma Ghandi, sul tema del potere delle tecnologie di comunicazione come amplificatori mondiali di messaggi di pace, ed era il 2004; Where the hell is Matt, clip sponsorizzata dell’azienda di gomme da masticare USA Stridegum, centrato sul valori dei rapporti tra i popoli, anno 2008, un crescendo narrativo e musicale commovente; Dare è la migliore forma di comunicazione, eccezionale spot di un’azienda di telecomunicazioni Thailandese, centrato sul valore della generosità e del ritorno moltiplicato delle buone azioni, era se ben ricordo il 2011; Thank You Mom, altro potentissimo messaggio emozionale sul ruolo delle madri e sul rapporto con i figli come valori centrali per crescere nella vita e vincere le proprie sfide, prodotto da Procter&Gamble in occasione delle Olimpiadi 2012; e poi, avvicinandoci al presente, gli esempi davvero si sprecano, a decine, a centinaia, specie in termini di Brand Activism, tendenza in ossequio alla quale le aziende – giustamente – prendono posizione su tematiche di carattere sociale che interessano la comunità (e i loro stakeholder). Spot lunghi/film brevi, alcuni più riusciti, altri meno, altri ancora piccoli spettacolari capolavori: ma anche qui, qual è la novità?
Eppure, pare che in Italia, improvvisamente, a fine settembre del 2023, tutti – cittadini, analisti, esperti, comunicatori, docenti… – abbiano (ri)scoperto il valore dirompente dello storytelling. Una vera epifania…
Diversi colleghi che stimo hanno osservato come “Esselunga dovesse comunicare, dopo alcune beghe giudiziarie che l’hanno coinvolta”. Corretto, impeccabile: in questo mondo superficiale nel quale con uno spot su una famiglia divorziata (ve ne sono milioni) e su una pesca regalata si riescono (o si desiderano) far dimenticare pesanti accuse di frode fiscale “monstre” (ferma restando la presunzione di innocenza, secondo la Procura, che ha sequestrato al colosso della grande distribuzione oltre 47 milioni di euro, “sarebbe stata realizzata da Esselunga una complessa frode fiscale caratterizzata dall’utilizzo di fatture per operazioni giuridicamente inesistenti e dalla stipula di fittizi contratti di appalto per la somministrazione di manodopera”), l’apparenza ha la meglio sulla sostanza, e la comunicazione commerciale e quella politica si allineano armonicamente e trovano finalmente una sintesi, in una nobile gara a chi riesce a costruire la più efficace delle armi di “distrazione” di massa.
La reputazione, però è tutt’altra cosa – ben più complessa – rispetto alla comunicazione tout-court: è saper costruire relazioni autentiche con tutti i propri pubblici sul medio-lungo periodo; è non nascondere la polvere sotto al tappeto, fare auto-analisi e saper chiedere scusa; è anche generare fiducia con/tra i propri stakeholder mediante una rendicontazione trasparente, non solo sui plus, ma anche sulle criticità dell’azienda; ed è molto altro ancora, pilastri alla base della costruzione di valore nei quali credo e che chi mi legge da più tempo ben conosce. E chi pretende di costruire buona reputazione affidandosi ai comunicatori, ai creativi della pubblicità, agli esperti di immagine, e via discorrendo, ha davvero sbagliato strada ed è – credetemi – fuori dal tempo.
Chissà se delle vicende relative alla frode fiscale di Esselunga si parlerà con schiettezza sul loro bilancio di sostenibilità 2023, quando il documentone verrà pubblicato: son davvero curioso.
Nel frattempo, accontentiamoci, e parliamo di pesche.
AGGIORNAMENTO DEL 12/10/2023 h 19:06: mi hanno segnalato un interessante articolo (pubblicato peraltro già da tempo, mi scuso quindi con i lettori per non averlo rintracciato prima online) che confermerebbe la richiesta di Esselunga, autorizzata dal Tribunale di Milano, di accedere in via eccezionale a un inedito “contraddittorio al fine di monitorare i progressi di legalizzazione”, ovvero un procedimento in base al quale, anticipando gli sviluppi dell’inchiesta, Esselunga si impegnerebbe ad assumere direttamente 3.000 lavoratori, reinternalizzando attività sinora affidate all’esterno. Un buon segno, che non sana l’assoluta carenza di rendicontazione sui canali digitali di Esselunga riguardo a questa spiacevolissima vicenda, ma sicuramente un primo passo concreto verso la soluzione della vertenza. To be continued…