La mascolinità tossica è un costrutto sociale che danneggia l’uomo, descrivendolo come violento, non emotivo, sessualmente aggressivo, lazzarone e così via.
La mascolinità tossica è un nuovo modo di definire l’aspettativa nei confronti della virilità, o meglio, dello stereotipo maschile che ormai nutre da anni l’immaginario nostrano e non solo.
Spesso si parla della pressione che noi donne subiamo dai media e dalla cultura, ma altrettanta pressione ricevono i maschi che si vedono sempre descritti in modo ovvio: gli uomini sono quelli che non devono chiedere mai.
Siamo immersi e immerse in una cultura patriarcale che da sempre ha descritto le donne come asservite e assertive e il maschio come forte, dominante, quello che comanda, quello che lavora e porta a casa la pagnotta.
La mascolinità tossica è lo stereotipo della virilità: lui è quello che decide, l‘uomo nella stanza dei bottoni, quello su cui pesano oneri e onori, quello con le palle, insomma. La virilità come fattore dominante e di dominio, direttamente connesso al possesso. Intendiamoci: essere quelli che comandano rispetto a essere quelle a cui viene stampato il cognome dell’altro sulla scheda elettorale a molti fa comodo e ci sguazzano, del resto stare dalla parte di quelli che hanno sempre ragione a prescindere non deve essere poi tanto male.
Sta di fatto che anche loro, gli uomini, comunque, si trovano a dover sempre aderire a un modello, meno inarrivabile di quello femminile che ci vuole sempre giovani/belle/disponibili/assoggettate/pronte a sorridere esteticamente attraenti e a disposizione – ma comunque un modello mascolino che prevede irruenza e competitività, padronato e padronanza; nel loro immaginario spesso sono maschi ruspanti sulle ruspe, che scacciano non si sa che terribile nemico per tenersi le proprie femmine al focolare. Birra ghiacciata, rutto libero, e guai a parlare di sentimenti.
Virilità maschile: creiamone una nuova
Questo tipo di descrizione di virilità maschile ha tolto agli uomini la virilità emotiva, il diritto alla fragilità, alla gentilezza, alla sensibilità. L’empatia.
Mi è capitato di leggere dei meme ironici che dicono che gli uomini così esistono e si chiamano gay. Ora: non trovate tutto questo un attimo castrante?
Quanta ansia da prestazione mette il dover sempre aderire a quel modello? E ancora: quanto state facendo a cazzotti con una realtà che vede le vostre mogli/fidanzate/compagne altrettanto preparate carrieriste e giustamente capaci di rivendicare i loro ruoli e i loro spazi? Quanto vi disorienta?
Il ruolo maschile si sta ridefinendo non con qualche difficoltà: un dato per tutti – i femminicidi in continuo aumento sono un elemento a mio avviso chiaro, una cassa di risonanza di come molti non accettino il nuovo assetto femminile. L’incapacità di accettare l’indipendenza della compagna, il suo saper vivere senza un LUI al fianco.
Le donne si sono riscoperte, ridescritte, si stanno rivalutando e rimettendo in gioco.
Gli uomini arrancano dietro una visione di sé che non riescono a dare. Si vedono spodestare dal loro ruolo comodo e privilegiato, ma allo stesso tempo nessuno (o pochi) si sono presi la briga di dire loro: potete prendervi la libertà di essere anche altro.
Maschio non è solo quello del cielodurismo: maschio è un sacco di altre cose empatiche, responsabili, partecipate e partecipanti, belle e altrettanto gratificanti. Certo: tocca alzare il culo dal divano e fare fatica a metà con noi.
Il macho che rientra dopo il lavoro stanco e si mette in panciolle sul divano non ha diritti prioritari rispetto alla compagna che rientra a casa ed è stanca tanto quanto lui.
Quindi come si sentono gli uomini a cui chiediamo equità di diritti fuori e dentro le mura domestiche? Meno macho ma decisamente più uomo, nel senso alto del termine. Prendetevi la libertà di entrare più in contatto coi vostri sentimenti e sentitevi liberi di parlarne. Potreste scoprire che non è così male. E non c’è nulla di debole, di sconveniente o di sbagliato.
Gillette e la mascolinità tossica disinnescata
La comunicazione ancora fatica ad accettare una nuova narrativa del maschile, ma ci sono marchi dedicati prettamente a un target maschile che più che un posizionamento hanno scelto una posizione: quella di dire agli uomini che possono essere diversi. Migliori. E che è necessaria una nuova descrizione di cosa sia un uomo.
Gillette quella dei rasoi e degli spot ultra mascolini con super atleti tartarugatissimi che si radevano, quelli de “il meglio di un uomo” – hanno deciso di narrare in modo differente che cosa significa per loro il meglio di uomo. E sono scelte decisamente condivisibili.
Nello spot di lancio della nuova strategia, Gillet narra di uomini che non sono bulli che non hanno paura della loro sensibilità e della loro fragilità. Della loro capacità di dialogare, di comprendere, di confrontarsi civilmente. Perché quello che facciamo oggi sarà visto (e vissuto) dagli uomini di domani. Quindi basta nascondersi dietro alla scusante “sono ragazzate” o “sono maschi”. Gillette ha deciso di narrare un nuovo “Il meglio die un uomo” andando oltre.
Se tanto questo spot aveva fatto discutere – e soprattutto arrabbiare – gli uomini dalla cultura patriarcale – quelli che la sera rientrano nella grotta con la loro brava clava, Gillette è andata ancora oltre, facendo uscire uno spot che parla della prima rasatura di un ragazzo che ha fatto la transizione passando da donna a uomo.
Un video commovente, postato da Samson Bonkeabantu Brown, il protagonista, che mostra come il padre gli stia dando i consigli giusti per la sua prima volta col rasoio.
Epico. Immenso. Fuori ogni misura. Straordinario. Il ragazzo spiega che la sua transazione non riguarda solo se stesso, ma tutte le persone che gli sono attorno e che si è chiesto spesso che tipo di uomo volesse essere. La risposta che si è dato è che desidera essere una persona felice.
Tra le cose bellissime del video c’è il padre che gli dice “non aver paura. Lo stai facendo bene” perché in un certo senso la rasatura è una questione di fiducia in se stessi. È uno spot che emoziona tantissimo:
Questa è stata una presa di posizione storica che ha diviso il pubblico di Gillette.
In gergo si dice che ha polarizzato il target: una decisione importante da parte del brand che preferisce schierarsi in modo aperto e chiaro anziché restare su una descrizione della mascolinità che passa per una visione di virilità maschile vecchio stampo. E pace se non piace ai maschilisti: Gillette ha deciso di fare volentieri a meno di loro. Quelli non sono i veri uomini.
Ci vuole coraggio. E visione.
Voi cosa ne pensate? Il modo che hanno i media di raccontarvi, il modo che ha la società di dire come dovete essere non vi sta ormai stretta? Non trovate che strida anche rispetto al ruolo della donna?