Lo sciopero indetto domani da Ryanair, EasyJet e Volotea, il secondo episodio nel giro di pochi giorni, potrebbe mettere a rischio l’era delle compagnie low cost.
“Incomprensibile come societa’ di queste dimensioni possano trascurare in questo modo le ricadute reputazionali delle loro discutibili politiche di Hr”, sostiene Luca Poma, professore di Reputation Management all’Università Lumsa di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino. “Scegliendo di ignorare deliberatamente nel loro modello di business – che prevede una spregiudicata rincorsa al prezzo più basso – le conseguenze di queste politiche predatorie sulla percezione presso i cittadini, le compagnie aeree low cost pregiudicano così inevitabilmente il loro perimetro reputazionale e distruggono valore per gli azionisti”.
Proprio la reputazione aziendale impatta direttamente sul valore di mercato dell’azienda, toccando un insieme di fattori come l’identità, l’immagine, la notorietà e la riconoscibilità che influiscono sia sugli stakeholder, sia sul valore percepito dei clienti. Secondo una recente indagine di Weber Shandwick dal titolo ‘The State of Corporate Reputation’, il 63% del valore di mercato dell’azienda è infatti attribuibile alla reputazione.
“È vero che queste compagnie ci hanno permesso di volare a basso costo su molte destinazioni per anni, ma – paradossalmente – a quale prezzo? Il costo basso del biglietto e’ uno specchietto per allodole, questi comportamenti non creano valore nel medio-lungo termine, anzi, lo distruggono”, spiega Poma. Senza una buona reputazione, che si ostruisce con un comportamento aziendale in linea con principi etici condivisi dalla comunità, non bastano i soli prezzi stracciati per garantire la sopravvivenza dell’azienda nel lungo periodo. “Il modello di business delle compagnie aeree low-cost, basato su malpratiche gestionali verso la forza lavoro e nel contempo sull’incasso di sovvenzioni versate dagli Enti pubblici per ogni aeroporto di destinazione scelto dalla compagnia, è destinato molto probabilmente al declino: gli scioperi di quest’estate – per la prima volta così coordinati, evidenziando quindi un forte e diffuso disagio tra i lavoratori – possono quindi essere il primo scricchiolio di un edificio che avrà sempre più difficoltà a stare in piedi”, aggiunge Poma.
“La letteratura in materia è molto chiara, come anche i casi di studio nel mondo professionale: un’azienda che non si prende cura delle proprie risorse umane pregiudicherà la propria business continuity”, afferma Giorgia Grandoni, ricercatrice e specialista in gestione della reputazione presso la start-up innovativa Reputation Management. “I dipendenti sono uno stakeholder quanto mai centrale e sconcerta che queste imprese ancora non lo comprendano: un atteggiamento non etico nei loro confronti, comporta conseguenze sulla sostenibilità a lungo termine dell’azienda stessa, compromettendo anche l’engagement con la comunità. poi fin troppo evidente come una forza lavoro insoddisfatta non possa mantenere adeguati standard di qualità di servizio, che, a sua volta, è uno dei pilastri fondamentali del reputation management”.
Una situazione che non comporta solamente un rilevante danno economico per le aziende coinvolte, ma anche un notevole danno d’immagine. “L’impatto negativo in termini di uscite stampa è evidente e questo va a influire sia sul sentiment dei clienti sia in ambito di management aziendale intaccando il valore dalla brand reputation e la riconoscibilità dell’azienda. Marketing e comunicazione sono fattori chiavi per la reputazione di un’azienda ma quest’ultima deve essere fatta non solo nei confronti del consumer, ma anche degli stakeholder e dipendenti”, aggiunge Matteo Aiolfi, ceo di Espresso Communication, agenzia di comunicazione operativa nel campo delle media relation, digital PR e crisis management.