Le criptovalute di Stato potrebbero prendere corpo nell’America Centrale, nel Sudamerica e in Asia, senza, però, passare dall’Europa. In quest’ultimo caso, la Banca centrale europea intende rafforzare i controlli ed invita alla prudenza rispetto alla diffusione delle criptovalute.
Il punto di partenza della nostra disamina riguarda i dati concernenti l’adozione delle valute digitali, che, sin dall’anno scorso, ha registrato una sempre maggiore diffusione a livello internazionale, tale da indurre ad un affinamento della regolamentazione dei mercati. La società ChainAlysis ha rilevato che dal 2019 al 2021 l’utilizzo delle criptovalute è aumentato del 2500% con le piccole economie emergenti a guidare la speciale classifica delle economie nazionali. In testa troviamo il Vietnam, seguito da India, Pakistan, Ucraina e Kenya. Gli Stati Uniti, tra le economie avanzate, si piazzano all’ottavo posto, mentre la Cina al tredicesimo. Prima dello scoppio della guerra, l’Ucraina si è dotata di una serie di norme volte a regolamentare i mercati delle criptovalute.
Da cosa dipende l’accentuata diffusione delle valute digitali nei Paesi in via di sviluppo? La risposta risiede nella scarsa diffusione di infrastrutture bancarie e finanziarie. Le criptovalute sono un surrogato dei conti di deposito e con le stablecoin sono, nei Paesi in via di sviluppo, lo strumento più idoneo per trasferite valuta da e per l’estero con costi abbordabili, senza i paletti delle limitazioni previsti dalle autorità monetarie. In Sudamerica, come in Venezuela e Argentina, le criptovalute mirano a proteggere, non senza rischi e falle, il risparmio dai tassi di inflazione molto alti e dalla svalutazione della divisa domestica.
Il caso El Salvador
Qualche settimana fa Galoy, la piattaforma bancaria di El Salvador, attiva già dal novembre del 2020 con il lancio del Bitcoin Beach Wallet, si è detta pronta a far conoscere una nuova stablecoin legata al dollaro. Una modalità che ha come primo obiettivo la riduzione della volatilità rispetto alle criptovalute non ancorate come i Bitcoin. Le stablecoin sono nate per fronteggiare i rischi delle cripto-attività non garantite. Il loro valore è legato ad un’attività o ad un portafoglio a basso rischio. Tale contesto, però, richiede adeguata regolamentazione onde evitare che le stablecoin siano tali solo sulla carta e solo di nome. Le nuove monete, gli Stablesats, non hanno bisogno di token per funzionare e avrebbero il pregio di essere facilmente spendibili.
Galoy per sostenere questo nuovo progetto ha effettuato un aumento di capitale di 4 milioni di dollari. Il progetto intende essere autosufficiente al massimo. Per questo motivo il Centro-America si prefigge l’ambizioso traguardo di diventare un vero e proprio laboratorio per le cripto-attività. La piattaforma è stata aperta, oltre che in Costa Rica, a Panama con uno sguardo sempre più interessato ad altri Paesi del Sudamerica. Perno di Galoy la rete Lightning Network, con la quale ci si sgancia da soggetti terzi per svolgere controlli, con la possibilità per i Paesi con forte inflazione e grande esposizione in dollari americani di dotarsi di uno strumento gestibile solo da essi e la possibilità di avere un dollaro sintetico in grado di mantenere il proprio valore al di là del tasso di cambio di riferimento.
In merito all’interesse che si registra attorno alle criptovalute, nello scorso mese di maggio i rappresentanti delle banche centrali di 44 Paesi emergenti si sono riuniti a El Salvador nel corso del meeting dello “Sme Finance working group”. L’incontro a El Salvador non è stato casuale, dato che qui, neanche un anno fa, per la prima volta è stato adottato il Bitcoin come moneta a corso legale e conseguente equiparazione al dollaro statunitense.
Guardano con interesse alla svolta salvadoregna Paraguay, Argentina, Brasile, Nicaragua, Panama e Messico anche se in questi Paesi provvedimenti a livello centrale non se ne registrano ancora. Di sicuro una parte politica strizza l’occhio alle criptovalute di Stato.
Criptovalute al sole dei Caraibi
Restando nell’America Centrale, le Bahamas hanno aperto ai pagamenti con le monete digitali per il pagamento delle tasse. Si tratta di un inizio. La Banca centrale delle Bahamas ha emesso il Sand Dollar ed il governo ne ha autorizzato l’utilizzo. L’esempio delle Bahamas è stato definito un «disegno di criptovaluta progressista e lungimirante». Al sole dei Caraibi, dunque, potrebbe essere realizzato un vero e proprio hub crittografico, così come auspicato dalle autorità bancarie e finanziarie bahamiane.
L’approccio normativo internazionale
Se è vero che alcuni Stati stanno dimostrando interesse nei confronti delle criptovalute, è altrettanto vero che l’approccio normativo cambia da Paese a Paese. Divieto all’uso delle criptovalute da parte di Egitto, Marocco, Algeria, Bolivia, Bangladesh, Nepal. Alla Cina ci dedicheremo più avanti. Una sorta di sistema “misto” riguarda invece Nigeria, Namibia, Colombia, Ecuador, Arabia Saudita, Giordania, Turchia, Iran, Indonesia, Vietnam e Russia. In questi Paesi è limitata la possibilità per le banche di operare con cripto-attività o è vietato l’uso per effettuare pagamenti.
«Questa situazione – commenta Fabio Panetta del board della BCE – è insoddisfacente, poiché le cripto-attività rappresentano un fenomeno globale e le tecnologie sottostanti possono svolgere un ruolo importante, anche al di fuori del settore finanziario. L’azione regolamentare va coordinata a livello internazionale, al fine di far fronte a problemi quali l’uso delle cripto-attività per operazioni illecite transfrontaliere o il loro impatto ambientale. In tale ambito, la regolamentazione deve ricercare un delicato equilibrio tra rischi e benefici, evitando di soffocare innovazioni che possono innalzare l’efficienza sia nei pagamenti sia in altri comparti».
L’opera regolamentatrice sulle cripto-attività in Europa è in piena attività. Si pensi all’entrata in vigore del regolamento UE, denominato MiCA (Markets in crypto-assets).
Lo scenario mondiale
I cambiamenti in corso stanno inducendo le Banche Centrali a correre ai ripari considerato che dietro l’angolo non mancano dei rischi. Vediamo quali.
Una banconota costituisce un credito nei confronti di una Banca Centrale ed è, quindi, la forma di denaro più sicura. Bisogna però ricordare che solo le banche commerciali possono accedere alle riserve della banca centrale. Ecco, quindi, il primo rischio: una moneta digitale della Banca Centrale permetterebbe l’accesso a tutti. La conseguenza sarebbe che il pubblico potrebbe detenere conti presso la Banca Centrale. Altra conseguenza riguarderebbe la possibilità di tenere il denaro della Banca Centrale in portafogli emessi privatamente.
Di qui, dunque, un atteggiamento neutrale – di forza indifferenza potremmo dire – da parte delle Banche Centrali rispetto alla questione. Un approccio, in buona sostanza, volto a non caldeggiare l’uso della “moneta elettronica” per non destabilizzare la supremazia delle Banche Centrali sui mercati mondiali. A ciò si aggiungono altre preoccupazioni legate alla sicurezza, alla privacy delle transazioni e, per portare il ragionamento alle estreme conseguenze, all’esistenza e al ruolo delle stesse banche centrali.
Nel 2021 la Federal reserve statunitense ha svolto uno studio approfondito per delineare gli scenari futuri e individuare gli strumenti per intervenire in vari contesti. Anche la Banca Centrale Europea si è data da fare con l’approvazione dell’avvio «della fase di ricerca di un progetto di euro digitale». Bruxelles si è data una prospettiva temporale di breve termine per la realizzazione dell’euro digitale, facendola coincidere con l’anno 2026.
La Cina sembra essersi attrezzata meglio di tutti. La versione elettronica dello yuan è stata testata in alcune regioni e sono state messe in campo diverse iniziative per avvicinare i cittadini alla moneta digitale. Si pensi ai premi della lotteria e la creazione di un portafoglio digitale (e-CNY).
Gli Stati Uniti non hanno fatto mistero della loro preoccupazione provocata dalla creazione, già qualche anno fa, della moneta digitale cinese – lo e-yuan -, che mira ad internazionalizzare lo yuan e al tempo stesso a difendere la propria sovranità monetaria. L’esigenza è proteggersi dalle aziende tecnologiche statunitensi che a loro volta faranno leva sul dollaro. Ma non mancano iniziative volte ad arginare la diffusione delle cripto-valute stesso in Cina. La People’s Bank of China nel 2021 ha dichiarato illegali le transazioni di criptovalute, il mining e la pubblicità legata alla moneta elettronica. Considerata la corrispondenza di amorosi sensi con la Cina, anche Russia e India stanno assumendo un atteggiamento cauto.
E in Europa? In Spagna, alla fine della scorsa primavera, l’Agenzia delle Entrate ha espresso un parere vincolante secondo il quale gli NFT avranno una tassazione del 21% in relazione alle attività di creazione e compravendita degli stessi da parte di società o artisti. Il futuro sarà sicuramente caratterizzato dalla diffusione e dall’utilizzo della moneta digitale. Ciò però non fa dormire sonni tranquilli alle autorità finanziarie centrali, che si stanno attrezzando per creare una valuta digitale sostenuta da una Banca centrale (Central bank digital currency – CBDC) con il primario obiettivo di contrastare la volatilità cui sono sottoposte le criptovalute decentralizzate quali Bitcoin, Ethereum o le stablecoin. La BCE continua a rassicurare e ad affermare che la moneta digitale non manderà in pensione il contante. In gioco, dicono alcuni esperti, c’è anche la sovranità nazionale.
Nei prossimi cinque-sei anni sicuramente molte persone avranno portafogli digitali diversificati con denaro in conti bancari tradizionali e stablecoin gestiti da società private. Fare previsioni a lungo termine potrebbe comunque essere azzardato, considerato quanto accade in questi giorni. Il pensiero va subito ad alcuni programmi arenatisi. Meta (ex Facebook) intendeva lanciare la propria stablecoin; ha dovuto fare i conti con le autorità di regolamentazione statunitensi, che ne hanno bloccato il progetto. A preoccupare sono gli obiettivi di Meta e la possibilità che la stablecoin possa essere utilizzata per finanziare transazioni illecite all’interno e fuori dai confini nazionali.
Ecco perché la valuta digitale sostenuta direttamente dalle Banche Centrali (Central bank digital currency – CBDC) rappresenta, contemporaneamente, per i governi un baluardo e un trampolino per difendere e recuperare la sovranità perduta. Con l’aggiunta di bloccare la minaccia al monopolio statale presentata dalle criptovalute o quella legata ad operazioni come quelle messe in piedi da Facebook. Insomma, lo scenario è in divenire e i fatti del presente saranno preziosi per ogni iniziativa e strategia futura.